Uno degli incubi in cucina si manifesta quando, nella preparazione della maionese, si esagera con l’olio: impazzisce. A Roma è successa la stessa cosa: se all’olio sostituite quantità esagerate di fraintendimenti, narcisismi ed egoismi tra i partiti del centrodestra, il risultato è quello dell’impazzimento di una coalizione che invece sa qual è l’unica ricetta da rispettare se si vogliono vincere le elezioni. E cioè l’unità, granitica, di un blocco politico condannato viceversa a perdere, stretto com’è dalla tenaglia Pd-Cinque Stelle.
È talmente elementare e sperimentata, questa formula, che un qualsiasi elettore di centrodestra di fronte alle capriole di Matteo Salvini e Giorgia Meloni sulla candidatura di Guido Bertolaso (accettata da entrambi in pompa magna e poi rinnegata) sa già che se dovesse scegliere sulla scheda tra più aspiranti sindaci dello stesso schieramento si troverà a un bivio con destinazione finale la sconfitta certa. Che sarà ancora una volta figlia della frammentarietà e dell’insipienza di alcuni suoi leader.
Il centrodestra non può viaggiare a ranghi separati, alle amministrative così come in qualsiasi altro appuntamento futuro. Se questo centrodestra vuol davvero essere rappresentante di un’Italia moderata che è maggioranza nel Paese, ancorché lontana e disillusa dalla politica, deve darsi una regolata. Con una chiara rotta per il futuro prossimo, a cominciare dal referendum sulle riforme istituzionali di ottobre per proseguire con le molto probabili elezioni politiche nel 2017. Ogni partito, da subito, dia il suo contributo di idee figlie delle diverse sensibilità politiche: si mettano in fila i valori condivisi e si tracci la rotta. Con l’ingresso di personalità nuove, certo, e un ricambio della classe dirigente.
In caso contrario non resta che rassegnarsi e magari rivivere questo balletto offensivo e inconcludente, com’è accaduto a Roma. Tutto ciò mentre il Paese è fermo, imbambolato dalle chiacchiere di Matteo Renzi. Non credete a me, ma ai documenti ufficiali della Banca d’Italia, dell’Istat, di Unimprese, di Confcommercio o Confesercenti: il debito pubblico è aumentato di 21,6 miliardi in gennaio; il Prodotto interno lordo è asfittico e proietta nel primo trimestre una crescita vicina allo zero; in febbraio siamo tornati in deflazione con una diminuzione dei prezzi al consumo dello 0,3 per cento, mentre i consumi delle famiglie che dovrebbero dare il segno della ripresa sono inchiodati. Con tutto il rispetto, e giusto per restare nel territorio della Capitale, ripesco una battuta fulminea di Alberto Sordi in un suo film, quando si accorge di essere preso in giro e sbotta: “Ma che me stai a cojonà?”. Ecco, appunto. Vale per Renzi, ma veltroniamente parlando anche per il centrodestra.
