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Montante: gli affari della finta antimafia

Montante: gli affari della finta antimafia

Si stanno concludendo le indagini sull’ex numero uno di Confindustria Sicilia: già condannato a 14 anni per dossieraggio, deve rispondere alle accuse di corruzione, truffa, traffico di influenze illecite. Dietro al finto vessillo di «paladino della legalità», le intercettazioni raccontano di un potere politico e imprenditoriale che arriva in Vaticano come all’Expo… E, fra gli indagati,
c’è anche l’ex governatore Rosario Crocetta.


Avrebbe governato la Sicilia e un pezzetto d’Italia a colpi di scudisciate antimafia. I capelli impomatati, l’aura del vendicatore, la scorta ad aprire il passaggio. Dopo essersi sistemato per l’ennesima volta gli occhialetti con l’indice, Antonello Montante ordinava. E gli altri, scrivono i magistrati, eseguivano: politici, poliziotti e burocrati. L’ultimo avviso di conclusione delle indagini inviato all’ex vicepresidente di Confindustria, già condannato in primo grado a 14 anni per dossieraggio, non è un compendio di imposture dell’uomo che volle farsi domineddio. È il possibile prodromo del processo al potere che s’è perpetrato nell’isola per quasi un decennio, attraversando governi d’ogni foggia.

La legalità issata come tartufesco vessillo. È la lunga stagione dell’antimafia, riscritta e riveduta dalla procura di Caltanissetta. Al centro dell’inchiesta ci sono i pupi e il puparo, con le loro supposte malefatte. Assessori asserviti, indagini contro i nemici, raccomandazioni per i fidati, omaggi sartoriali al Vaticano e le manovre sull’Expo milanese. La sentenza del primo processo ha già definito il protagonista: «Auto insignitosi paladino dell’antimafia» Montante aveva «esteso tale etichetta ai suoi amici e sodali, dichiarando mafiosi i suoi avversari, in difetto di qualsivoglia prova di mafiosità». E l’inchiesta bis adesso ne racconta parole, opere e omissioni.

Così, i magistrati finiscono per riformulare la stagione politica apparentemente personificata dall’ex governatore siciliano, Rosario Crocetta, tra i 13 indagati per corruzione. Si sarebbe messo a disposizione di Montante «asservendo agli interessi di quest’ultimo, e dei soggetti a lui legati, gli apparati dell’amministrazione regionale». In cambio avrebbe ottenuto dall’allora capo di Sicindustria e dal suo successore, Giuseppe Catanzaro, 400.000 euro, serviti a finanziare la campagna elettorale del 2012. Montante avrebbe anche evitato «la diffusione di un video a contenuto sessuale che ritraeva Crocetta in atteggiamenti intimi con soggetti minori, di nazionalità tunisina, non meglio identificati». L’ex governatore replica: «Da questi signori non ho ricevuto neppure un centesimo». E il video non esiste: «Anzi se qualcuno ce l’ha, sono disposto a pagare di tasca mia per la pubblicazione».

Le colorite intercettazioni dell’inchiesta dimostrerebbero invece, per i pm nisseni, il presunto patto. «Non gli abbiamo mai fatto sbagliare una mossa» spiega, con orgoglio, Montante. Che dedica comunque a all’allora presidente della regione parole poco lusinghiere. Dopo aver spiegato che Matteo Renzi, a quei tempi segretario del Pd, s’era «lavato le mani» dell’ennesimo rimpasto siciliano, definiva il governatore un «c…». «Si potrebbe comprare tutti i deputati che vuole…» dice in dialetto all’interlocutrice, Mariella Lo Bello, all’epoca assessore regionale allo Sviluppo economico, «nominata da Montante», pure lei indagata. La donna rettifica l’insulto: «È lagnusu». Pigro, insomma. «Mentre lui parla di parmigiana», riferisce, gli altri trattano con i politici.

L’ex vice presidente di Confindustria, con delega alla Legalità, però insiste: «È un c… di dimensione cosmica». Non saprebbe nemmeno pubblicizzare i suoi mirabolanti risultati. «Un governo si mantiene con la comunicazione!» sbotta Montante. «Renzi risolve indirettamente» sostiene. «Perché dà i soldi ai giornali… Come glieli dà? Te lo dico io. Con Eni, Poste, Finmeccanica, Enel. Sono le sue società. Gli fa fare sponsorizzazioni…». Crocetta dovrebbe comportarsi allo stesso modo. «Ma è un cretino» insiste. Invece, basterebbe poco: «Vai, gli dai due milioni e quattrocento mila euro all’anno di pubblicità e non rompono i coglioni!».

Montante si sarebbe dato da fare anche con il predecessore di Crocetta, Raffaele Lombardo, tentando «di condizionarne l’operato» per «la cura dei propri interessi economici e dei soggetti a lui maggiormente vicini». Lo racconta Gaetano Armao, allora assessore all’Economia e adesso vice presidente della Regione, diventato uno dei grandi accusatori. Così come l’ex collega di giunta con delega allo Sviluppo economico, Marco Venturi, già dirigente dell’associazione degli industriali. Ai pm riferisce che gli orditi (letteralmente, stavolta) di Montante arrivavano persino in Vaticano: «Sollecitarono me e altri imprenditori a versare un contributo in denaro, per acquistare capi di vestiario e accessori destinati a Papa Ratzinger».

Venturi rivela di aver sborsato 10.000 euro: «So che anche gli altri hanno contribuito, poiché nell’estate del 2008 fummo ricevuti dal Papa in udienza privata». Il contributo, aggiunge, era da collegare all’amicizia tra Ivan Lo Bello, già vice presidente di Confindustria, con il «cardinale Tarcisio Bertone, che veniva descritto da Montante come persona estremamente influente». Quella del segretario di Stato vaticano emerito, non sarebbe l’unica strada che, nelle carte dell’indagine, porta alla Santa Sede. Dopo essere stato ricevuto dal Pontefice, Montante avrebbe organizzato una cena a Roma. Partecipa pure Vincenzo Conticello, ex titolare dell’Antica Focacceria San Francesco, noto per le sue denunce anti racket e poi assunto alla Regione grazie alla legge sui testimoni di giustizia. È un altro dei testimoni chiave dell’inchiesta.

L’avvocato Francesco Agnello, «che per me è prestanome di Montante», l’avrebbe messo a «conoscenza di una serie di operazioni, nelle quali mi voleva coinvolgere, poiché stavano acquistando immobili in Umbria, Toscana, Roma a prezzi bassi, in conseguenza della dismissione di proprietà del Vaticano». Ricorda: «Mi offrirono anche la gestione di un bistrot in via della Conciliazione». Gli assicurano che l’Opera romana pellegrini, non coinvolta nelle indagini, «sarebbe stata il miglior cliente, perché i pellegrini avrebbero ricevuto un buono pasto da undici euro convenzionato con il ristorante». Ma c’era una clausola: «Una percentuale del buono, circa il 20 per cento, l’avrei dovuta girare a una società riconducibile ad Agnello, emettendo fatture per servizi resi». Conticello, dunque, rifiuta. «Successivamente» aggiunge «Agnello e Montante mi proposero un’operazione che riguardava un monastero acquistato in Umbria da trasformare in albergo, ma poi non se ne fece nulla».

L’ex patron dell’Antica Focacceria San Francesco denuncia pure «evidenti anomalie» nell’Expo di Milano. Per esempio, «la Regione Siciliana e l’assessorato all’Agricoltura hanno affittato stand separati». Inoltre, rammenta, «il Trentino-Alto Adige ha affittato spazi di medesime dimensioni, ma loro l’hanno pagato 250.000 euro e noi 800.000…». L’esposizione universale sarebbe stata insomma, un’imperdibile occasione per affidare commesse e incarichi a professionisti e amici. Anche diverse fatture emesse, in occasione dell’evento, da Unioncamere Sicilia sarebbero «anomale».

I magistrati contestano pure la corruzione di alcuni superpoliziotti, a suon di regalie o graditi trasferimenti di sede. Anche Arturo De Felice, già a capo della Direzione investigativa antimafia, finito tra gli indagati. È accusato di aver esercitato «le proprie prerogative istituzionali, sia investigative che direttive» per soddisfare «gli interessi personali di Montante». In cambio, avrebbe ricevuto «incarichi retribuiti» per il figlio in Confindustria e nell’università Luiss e l’assunzione della figlia «presso la Brunello Cucinelli spa». Insomma, bisognava scavare nelle vite dei nemici di Montante. «Indagini di polizia giudiziaria» o «misure di prevenzione patrimoniali». Per colpire editori, imprenditori, avversari. Mascariati, ovvero insudiciati, per sempre. Grazie a uomini in divisa compiacenti e ben ricambiati, ipotizza la procura.

E persino per saltare la fila in aeroporto, Montante avrebbe corrotto un vice questore dell’aeroporto di Fiumicino, a Roma. Una bicicletta, una raccomandazione, una vacanza a Cefalù, una minicar per il figliolo. Il poliziotto avrebbe poi ricambiato i favori. Prelievo ai piedi della scaletta, nessun passaggio dalla dogana, imbarco a gate ormai chiuso. Paladino siciliano dell’antimafia, innanzitutto. Ma anche, in omaggio alla solita italietta, un po’ marchese del Grillo.

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