Le recenti gaffe (con clamorose scuse) sul lockdown da parte della cancelliera sono un altro segnale delle difficoltà del Paese nella pandemia. E tra misure sanitarie contraddittorie, scandali sulle forniture anti-Covid, incertezze economiche, è in corso la lotta per la successione alla sua storica leader.
Il più noto gesto di scuse da parte di un cancelliere tedesco è stata la cosiddetta «genuflessione di Varsavia». Nel corso di una visita ufficiale nella capitale polacca il 7 dicembre 1970, il socialdemocratico Willy Brandt si inginocchiò a sorpresa davanti al memoriale che ricorda gli ebrei del Ghetto di Varsavia ribellatisi alla furia nazista. Silenzioso quanto clamoroso, quell’atto è rimasto negli annali di storia: mettendosi in ginocchio, il cancelliere della Germania occidentale si assumeva la responsabilità degli spaventosi crimini contro l’umanità commessi però una trentina d’anni prima da un regime che lui aveva sempre combattuto.
Di norma il cancelliere tedesco non si scusa, godendo di un’aura di infallibilità tipica di governanti e sovrani occidentali. Dunque non stupisce che le parole pronunciate lo scorso 25 marzo da Angela Merkel abbiano lasciato il segno. In conferenza stampa la cancelliera ha dapprima revocato le misure annunciate 36 ore prima per un mini-lockdown draconiano da Giovedì Santo a Pasquetta (con anche i supermercati chiusi); quindi si è assunta la responsabilità dell’errore «per il quale chiedo perdono a tutte le concittadine e a tutti i concittadini».
Conosciuta e apprezzata per i suoi toni mai sopra le righe, stavolta la cancelliera figlia di un pastore protestante ha messo i puntini sulle i: «L’errore è solo mio, perché sono io che ho la responsabilità ultima di tutto». Anche Konstantin Vössing, politologo tedesco della City University of London, è rimasto colpito dal suo riconoscimento di colpa: «Quasi nessun politico al mondo parla così a meno di non essere colto con le mani nel sacco» osserva, ricordando a Panorama il caso di Bill Clinton e di Monica Lewinsky. «Merkel avrebbe potuto addossare le responsabilità della confusione al sistema federale che non le permette di decidere da sola, ma non lo ha fatto. Ne consegue che la cancelliera è libera di scusarsi solo perché non si ricandiderà».
Ascesa al ruolo politico più prestigioso nel lontano 2005, la leader tedesca lascerà il potere dopo le elezioni del prossimo 26 settembre, alle quali non si ricandida. Finiti i vertici europei, i G20, i summit al Cremlino o alla Casa Bianca, al ritorno a casa Merkel avrà più tempo a disposizione. E potrà dedicarsi alla propria salute.
L’esplosione del coronavirus e il conseguente calo degli incontri ufficiali l’hanno aiutata a insabbiare definitivamente la questione dei forti tremori di cui è stata vittima – e di cui non si conosce l’origine – in alcune occasioni pubbliche fra 2017 e 2019. Dopo l’ultimo malessere, Merkel ha cominciato a ricevere i suoi ospiti su una sedia nel cortile della cancelleria. In barba al protocollo, la leader tedesca e i suoi omologhi ascoltano gli inni dei rispettivi Paesi comodamente seduti. Merkel lascia anche una Germania più ricca di quella che ha trovato. Se 16 anni fa il reddito pro capite medio dei tedeschi era 38 mila euro, nel 2019 era salito a 48 mila euro mentre la disoccupazione è scesa, nello stesso periodo, dall’11 a poco più del 4 per cento. Dati, questi, al netto della pandemia esplosa a inizio 2020.
La crisi del coronavirus, riprende Vössing, ha messo in luce le difficoltà della Repubblica federale. Problemi da affrontare se il Paese vuole restare alla guida dell’Ue. L’accademico elenca il miglioramento delle infrastrutture fisiche e digitali, «dai ponti alle strade al funzionamento della macchina amministrativa»; la sfida del cambiamento climatico; la ripartenza dell’economia nel post coronavirus; e infine la crescente diseguaglianza sociale. «Tutti problemi che andrebbero affrontati simultaneamente, mentre i principali partiti si concentrano su una questione alla volta: i Liberali sulle infrastrutture, la Spd sul sociale, il blocco moderato Cdu-Csu sull’economia e i Verdi sul clima, anche se provano ad accreditarsi quali partito di massa del futuro».
Presi alla sprovvista dalla pandemia, i partiti continuano a proporre in gran parte le stesse ricette del Dopoguerra, dimenticando che l’emergenza sanitaria ha cambiato le carte in tavola: secondo l’istituto di ricerche Ifo di Monaco, il conto del coronavirus fra il 2020 e il 2022 arriverà a 405 miliardi di euro.
Il Pil tedesco dovrebbe toccare il+3,7 per cento già nel 2021, ma la corsa con Cina e Usa, più veloci nel controllare i contagi, è persa in partenza. Agli imprenditori tedeschi brucia anche come la Gran Bretagna della vituperata Brexit cominci a intravedere la fine dell’emergenza del virus. Né va meglio a quel 15,9 per cento di cittadini e residenti stranieri minacciati dalla povertà. Secondo Paritätische, che riunisce le organizzazioni assistenziali private tedesche, si tratta di un record storico e il fenomeno è addirittura precedente alla pandemia, che ha peggiorato le cose.
Merkel si è dunque scusata per salvare la propria immagine davanti a un Paese arrabbiato e unito nel respingere la serrata pasquale. Commercianti ed economisti hanno segnalato che la cura avrebbe ammazzato il cavallo: il lockdown di Pasqua si sarebbe aggiunto a quello durissimo decretato lo scorso 16 dicembre e rinnovato almeno fino al 18 aprile con la chiusura degli esercizi che non vendono beni di prima necessità. L’opposizione ha tuonato contro un governo pressapochista, incapace di spiegare se il Giovedì Santo di chiusura sarebbe stato feriale o festivo, e i virologi hanno segnalato che cinque giorni di serrata totale non sarebbero comunque bastati a fermare la «terza ondata». E invitare tutta la Germania ad andare al supermercato lo stesso giorno avrebbe potuto complicare le cose.
Merkel aveva già sbandato giorni prima, permettendo al ministro della Salute, Jens Spahn, di sospendere per alcuni giorni la somministrazione del vaccino AstraZeneca sulla base di una raccomandazione non vincolante dell’Istituto Paul Ehrlich sulle biomedicine.
Il prevalere del principio di precauzione ha fatto a pugni con l’immagine della cancelliera-scienziata che, forte di un dottorato in chimica quantistica, decide in base ai numeri e dialoga con epidemiologi e virologi su un piano di parità. Bloccando AstraZeneca, Merkel ha rinvigorito le correnti no-vax che attraversano la Germania: dagli ultraortodossi dell’omeopatia forti a Stoccarda, ai complottisti ossessionati dalle presunte trame di Bill Gates e Big Pharma. Secondo il Tagesspiegel, a fine marzo circa il 30 per cento dei berlinesi titolati a ricevere l’iniezione con il siero anglo-svedese non si è presentato al centro vaccinale.
Il nodo immunizzazioni riflette il più generale fallimento della strategia merkeliana di affidare l’approvvigionamento del siero per tutta Europa alla Commissione Ue guidata dalla sua ex ministra Ursula von der Leyen, un’onesta lavoratrice priva di particolari doti di leadership.
E mentre in Germania il numero dei casi sale (ma l’età media degli ammalati scende), cresce anche l’insofferenza: sia la Baviera del conservatore Markus Söder sia la Turingia del socialcomunista Bodo Ramelow hanno chiesto a Berlino di autorizzare l’importazione e la produzione del vaccino russo Sputnik V sul suolo tedesco senza aspettare Bruxelles.
La cancelliera non è troppo filo-europeista: teme però di legarsi troppo a Mosca proprio ora che alla Casa Bianca c’è un presidente aperto al dialogo. In ballo c’è anche il raddoppio del gasdotto russo-tedesco Nord Stream completato al 95 per cento ma bloccato con sanzioni dall’ex presidente Donald Trump. Intanto anche i veterinari tedeschi si sono arrabbiati con Merkel per aver ignorato l’offerta di mettere a disposizione i loro 10 mila ambulatori per vaccinare due milioni di persone al mese. «Il nostro aiuto dello scorso dicembre è stato ignorato, proprio come quella della passata estate sui tamponi nei laboratori veterinari accreditati», ha affermato alla Neue Osnabrücker Zeitung il presidente dell’Associazione federale dei veterinari (Bpt), Siegfried Moder.
Ciliegina sulla torta , la stampa ha svelato una serie di scandali in cui deputati della Cdu e della formazione sorella Csu (il partito cristiano-sociale presente solo in Baviera) sono accusati di aver intascato tangenti da aziende «amiche», tutte vincitrici di commesse per la fornitura di mascherine a Stato e Länder. Anche il ministro della Salute Spahn ha dovuto difendersi dall’accusa di aver ordinato milioni di mascherine a un’azienda in cui lavora il marito Daniel Funke. Berlino non è così lontana da Roma.
In questo clima da basso impero non c’è da stupirsi se oggi l’Unione Cdu-Csu è in netto calo. Secondo due diversi sondaggi di fine marzo (Allensbach e Forsa), i moderati sono scivolati fra il 26 e il 28 per cento dei consensi (a febbraio avevano otto punti in più) mentre i Verdi fortissimi fra il 21 e il 22 per cento potrebbero in teoria governare con Spd e Liberali dopo le prossime elezioni. Abbandonata al suo destino da una cancelliera che non intende essere trascinata nel fango da scandali e tangenti, la Cdu è priva di bussola: non ha ancora un programma elettorale né ha deciso se alle legislative il suo candidato cancelliere sarà il neo presidente del partito e governatore renano, Armin Laschet, oppure il «Ministerpräsident» bavarese Markus Söder.
Il primo gode dell’appoggio dei quadri del partito ma non ha il carisma per guidare i moderati al voto; il secondo, molto più gradito agli elettori, è alla testa di un partito leader negli scandali-mascherine. Così, mentre i socialdemocratici hanno già candidato il vicecancelliere Olaf SchoIz e stabilito un programma elettorale chiaro, e i Verdi ci arriveranno presto, Laschet e Söder rischiano di fare la fine dei capponi di Renzo. La Cdu appare logorata da 16 anni di guida del governo, e agli elettori è solo capace di dire «votate per noi perché siamo competenti». Troppo poco per la nazione-locomotiva d’Europa in cui Bmw ha appena annunciato l’apertura di sei nuove fabbriche di batterie elettriche entro il 2030.
L’evoluzione verso il futuro ha bisogno di una visione che oggi la Cdu non ha. Non è un caso se alle recenti elezioni in Baden-Württemberg – il ricco Land dove hanno sede Mercedes e Porsche – i Verdi al potere dal 2011 hanno migliorato il proprio risultato per la terza volta consecutiva. Oggi le case automobilistiche si fidano dei Grünen. Una buona notizia sia per il leader del partito Robert Habeck, che studia da cancelliere, sia per il bavarese Söder: ormai dal 2019 il governatore ha spostato la sua Csu su posizioni che più verdi non si può.
In una Germania in transizione, le scuse della cancelliera non basteranno a far dimenticare ai tedeschi gli errori della Cdu e del governo. Oggi Merkel può salvare solo se stessa.