L’Occidente non ha compreso a pieno la portata dell’intesa siglata lo scorso 4 febbraio tra Vladimir Putin e Xi Jinping. E il cui esito si sta dispiegando con l’appoggio incondizionato – anche finanziario – della Cina all’Orso russo.
Distratto dai cupi rumori della guerra, il mondo non sembra essersene accorto. Eppure, in questo 2022 percosso da inquietudini e insicurezze, una certezza esiste: l’invasione dell’Ucraina, che Vladimir Putin ha iniziato nella notte tra il 24 e il 25 febbraio, non è stata il suo passo più folle e pericoloso. Tre settimane esatte prima di dare l’assalto a Kiev, lo zar russo ha fatto una mossa ben più azzardata.
È accaduto dopo l’inaugurazione delle Olimpiadi invernali di Pechino, il 4 febbraio, quando Putin si è seduto nel palco d’onore accanto al presidente Xi Jinping, tra i pochi capi di Stato presenti alla cerimonia. Poche ore dopo, in una grande sala senza finestre dello Zhongnanhai, l’imponente palazzo anni Cinquanta tutto colonne e cemento armato che sorge a poca distanza dalla Città Proibita ed è sede del governo e del Partito comunista cinese, è andata in scena una cerimonia decisamente più intima e meno festosa. È stato lì che Putin prima ha avvisato Xi di quanto avrebbe fatto in Ucraina, e poi ha fatto il passo che nessuno dei suoi predecessori al Cremlino, da Ivan il Terribile al più duro dei capi dell’Unione sovietica, avrebbe mai arrischiato: il presidente russo ha siglato un accordo con Xi, e si è legato indissolubilmente alla Repubblica popolare. Oggi quella firma, per le sorti della pace nel mondo, crea problemi ancora più preoccupanti della guerra d’invasione che rischia di coinvolgere l’Europa.
Intitolato Una nuova era nelle relazioni internazionali, il documento non ha precedenti e crea un vero asse d’acciaio Mosca-Pechino, un’intesa strategica che lega i due colossi. L’accordo è anche la plateale dimostrazione dell’inadeguatezza dell’amministrazione statunitense sotto Joe Biden, e fin qui forse il suo errore più tragico, peggiore perfino della disastrosa ritirata dall’Afghanistan. Perché non era mai accaduto che Cina e Russia fossero così vicine tra loro, tanto da stringere addirittura un’alleanza. Nessun altro presidente americano l’avrebbe mai permesso. Anche nei momenti più neri della Guerra fredda, Washington ha fatto di tutto per tenere distanti le due capitali del comunismo realizzato in terra, giocando sul loro tradizionale antagonismo.
Il 4 febbraio, Putin e Xi con un solo tratto di penna hanno posto fine a quell’èra e a un passato di rapporti controversi. L’Orso russo ha superato ogni paura di essere inghiottito dal Drago cinese ed è divenuto il suo primo alleato. Per comprenderlo basta leggere le 13 pagine della «dichiarazione congiunta» (la sua sola parte resa pubblica dell’accordo) dove si spiega che «le nuove relazioni tra Russia e Cina sono superiori alle alleanze politiche e militari della guerra fredda» e che «l’amicizia tra i due Stati non ha limiti, non ci sono aree di cooperazione proibite». Quindi gli scambi potranno essere di ogni tipo: economico, tecnologico e militare.
Ancora peggio di così, Mosca e Pechino si sono impegnate in un esplicito do-ut-des in termini di influenza politica e territoriale. In un paragrafo si legge che «le parti riaffermano il loro forte sostegno reciproco per la protezione dei loro interessi fondamentali, la sovranità statale e l’integrità territoriale, e si oppongono all’interferenza di forze esterne nei loro affari interni». Poco dopo, con chiarezza disarmante, si affiancano e s’intrecciano i due temi dell’influenza russa sull’Europa orientale e della riconquista cinese di Taiwan. Da una parte, Mosca e Pechino stabiliscono di «opporsi congiuntamente» a ogni allargamento della Nato negli Stati che un tempo facevano parte della Cortina di ferro, invitano l’Alleanza atlantica «ad abbandonare i suoi approcci ideologizzati da guerra fredda», e le intimano di «rispettare la sovranità, la sicurezza e gli interessi degli altri Paesi», cioè della Russia. Questo significa che Xi sarà al fianco di Putin e contrasterà ogni mossa strategico-militare che gli Stati Uniti dovessero tentare in Europa.
In cambio, Putin «afferma il suo sostegno al principio di una sola Cina, conferma che Taiwan è parte inalienabile della Cina e si oppone a qualsiasi forma di indipendenza di Taiwan». Se non fosse chiaro, il documento prosegue con due righe dal tono perentorio: «La Russia e la Cina si oppongono ai tentativi di forze esterne di minare la sicurezza e la stabilità nelle loro comuni regioni adiacenti, e intendono contrastare ogni interferenza». Il mondo non pare aver colto la vera portata di questo patto, che modifica in profondità i rapporti di forza globali. Alexey Muraviev, docente all’Università australiana di Perth e tra i massimi specialisti di studi strategici russi, sostiene che è soltanto grazie all’intesa del 4 febbraio «se Putin ha potuto trasferire le sue truppe in Bielorussia, sottraendole dai distretti orientali e dalla Siberia, al confine con la Cina». Del resto, quando Putin ha cominciato ad ammassare i suoi carri armati attorno all’Ucraina, gli Stati Uniti hanno potuto inviare nell’Europa orientale appena 8 mila uomini: non hanno potuto fare di più perché impegnati a bilanciare l’aggressività della Cina nel Pacifico.
Non è poi un caso se, nascondendosi dietro a una neutralità di facciata, dal 25 febbraio a oggi il governo cinese sia stato tra i pochi a non condannare l’aggressione dell’Ucraina, e il solo che non abbia mai usato la parola «invasione». È vero che poi Xi si è proposto come mediatore per un cessate il fuoco. Ma certo non è stata una coincidenza se il 26 febbraio, mentre Putin rispondeva alle prime sanzioni dell’Occidente allertando le difese nucleari russe, il numero uno di Pechino ha lanciato imponenti esercitazioni navali nel Mar Cinese Meridionale, spingendosi a sole 6 miglia dalle coste di Taiwan.
Da quel giorno, i caccia della Repubblica popolare sono tornati a forzare lo spazio aereo di Taipei, potenziando lo stillicidio di missioni che dura da mesi, con provocazioni che hanno il doppio scopo di innervosire il nemico e capire i tempi di reazione della sua antiaerea. Né è un caso che il 28 febbraio, con le sanzioni occidentali più stringenti, il governo cinese si sia perfettamente allineato alla Russia, dichiarandole «illegali» e annunciando che con Mosca «continuerà a svolgere la normale cooperazione commerciale nello spirito del rispetto, dell’uguaglianza e del reciproco vantaggio». Lo farà anche in base all’accordo del 4 febbraio.
È molto probabile che, nel caso in cui le sanzioni dovessero diventare insostenibili per Mosca, Pechino sosterrà l’alleato coprendone i vuoti in modo simmetrico: acquisterà il gas e tutte le merci che la Russia dovesse faticare a vendere altrove, e le cederà la tecnologia che l’Occidente le negherà. Da questo nuovo ordine mondiale, insomma, Xi Jinping ha tutto da guadagnare. Mentre l’Occidente ancora non lo sa, ma forse ha già perso.