Rafael Ramírez, ex capo della compagnia petrolifera PDVSA, uomo di riferimento nel potere economico e politico del Venezuela rivoluzionario, utilizza il nostro Paese come base per i suoi traffici. Non è l’unico: a Roma hanno trovato accoglienza altri personaggi con gravi crimini alle spalle, stavolta legati all’attuale regime di Nicolás Maduro.
Le virgolette sono d’obbligo, visto il sospetto che sia stato ucciso. Márquez Cabrera era la mente organizzativa del sistema di frodi e corruzione che ha divorato la PDVSA all’epoca di Rafael Ramírez, come assicura una fonte militare dal Venezuela e anche un agente dell’intelligence europea. «Oggi Ramírez risulta residente a Roma o per lo meno lo è stato fino a poco tempo fa» rivela a Panorama Alek Boyd, giornalista investigativo venezuelano che da anni vive a Londra. Cosa Ramírez faccia in Italia nessuno lo sa.
Alek Boyd nel 2013 fu anche il primo reporter a intervistare Alex Saab, narco imprenditore colombiano-venezuelano al centro di scandali da miliardi di dollari legati al governo di Maduro. Anche lui, prima di finire in carcere a Capo Verde, ha avuto domicilio fiscale ai Parioli. Saab potrebbe essere estradato negli Stati Uniti nei prossimi giorni, ma il presidente venezuelano con i suoi appoggi spagnoli – a cominciare dall’ex giudice Baltasar Garzón, a capo del team dei suoi difensori e dell’ex premier iberico José Luis Rodríguez Zapatero – stanno facendo di tutto perché sia liberato e rispedito a Caracas.
Comprensibile. A Roma, oltre al domicilio fiscale, Saab aveva anche una moglie commessa, Camila Fabbri, diventata di colpo proprietaria di un lussuoso appartamento da 5 milioni di euro in via Condotti; ma il suo business è a Caracas. Se a Roma il sospetto è che abbia una base di riciclaggio, è in Venezuela che gestisce l’oro che triangola, tramite la statale Minerven, e poi contrabbanderebbe: «Il 90% non dichiarato alla Banca centrale del Venezuela» dice a Panorama il deputato italo-venezuelano Américo De Grazia, da anni perseguitato dalla dittatura e costretto a rifugiarsi in Spagna. «Così come è Saab a gestire le casse alimentari del CLAP, le pompe di benzina e i “bodegones” di Caracas, ossia i supermercati extralusso per gli arricchiti del regime».
Se Saab è in carcere a Capo Verde, Ramírez «si muove intorno al Vaticano» aggiunge Boyd, minacciato di morte per le sue inchieste. «Il suo nome è riconducibile a una struttura alberghiera nei dintorni di Roma». Suo cognato Baldo Sanso «ha appoggi importanti anche a Milano e Torino». A fine luglio, Caracas ha minacciato di chiedere al governo italiano l’estradizione di Ramírez per «peculato doloso, evasione e associazione a delinquere» ma vedremo se seguiranno i fatti. Dubbi leciti anche perché, spiega Boyd, «una recente proposta di ristrutturazione annunciata da PDVSA ha messo in luce un’interessante connessione con la società italiana APS spa, in cui detiene il 49,95% delle azioni. Non esiste documentazione di tale associazione nei libri contabili di PDVSA ed è probabile che APS sia una delle società che Ramírez e Sanso hanno usato in Italia per attività non legittime».
Di certo c’è che a guidare la Corte Suprema di Maduro, responsabile di «fare giustizia», attivare gli «allarmi rossi» dell’Interpol e chiedere le estradizioni di soci caduti in disgrazia come Ramírez o finiti in carcere come Saab, c’è un altro soggetto con legami italiani: Maikel José Moreno Pérez, pluriomicida reo confesso, ex 007 accusato di essere il boss di una gang criminale che in Venezuela da quasi quattro anni guida la Giustizia, piegando condanne o assoluzioni agli interessi di Maduro e sodali.
La storia di Moreno, su cui pende una taglia da 5 milioni di dollari degli Stati Uniti per «gestire il crimine con la giustizia», ha dell’incredibile. Il primo omicidio lo commette a 22 anni, nel 1987, quando uccide una giovane a Ciudad Bolívar, capitale dell’omonima regione nel sud del Venezuela. Essendo uno 007 esce subito e diventa guardia del corpo dell’allora presidente del Venezuela Carlos Andrés Pérez. Nel 1989 uccide di nuovo, a Caracas, e la vittima è il giovane Rubén Gil Márquez. Dopo neanche un anno è di nuovo fuori, ma deve lasciare i servizi segreti e inizia a studiare da avvocato.
La sua seconda carriera decolla l’11 aprile 2002, quando un nugolo di chavisti spara a Caracas dal ponte Llaguno sui manifestanti dell’opposizione. È Moreno che assume le difese dei killer, riuscendo a farli assolvere (nel frattempo, il regime lo aveva nominato giudice del processo). Il giudice è anche accusato di aver fatto parte della Banda dei Nani, una gang di magistrati che copriva la corruzione chavista. Chávez lo premia spedendolo a Roma nel 2007 come addetto commerciale all’ambasciata del Venezuela. Moreno in Italia ha fatto molti soldi finendo con l’innamorarsi anche delle donne italiane. Tornato in Venezuela sposerà Debora Menicucci, con famiglia originaria di Lucca ed ex Miss Venezuela: anche lei ora, a causa del marito, è ricercata dagli Stati Uniti per «corruzione e violazione dei diritti umani».