Home » Attualità » Esteri » Perché tra Roma e Londra ora c’è feeling

Perché tra Roma e Londra ora c’è feeling

Perché tra Roma e Londra ora c’è feeling

Giorgia Meloni sa che il Nord e l’Est dell’Europa guardano al Regno Unito. Che a sua volta, dopo il travaglio della Brexit, cerca una sponda tra i «big» dell’Unione. Sta maturando un’intesa.


Il «bilaterale» tra il presidente del Consiglio italiano e il premier inglese Rishi Sunak alla prova dei fatti si è rivelato molto più concreto e ricco di implicazioni rispetto alle aspettative iniziali, sorprendendo gli osservatori. Sarebbe tuttavia sbagliato attribuire questo affiatamento all’affinità ideologica tra i due leader e i rispettivi schieramenti. Certo, i conservatori europei (Ecr) oggi guidati da Giorgia Meloni fino alla Brexit erano pur sempre il raggruppamento dei Tories inglesi, e può darsi che questa circostanza eserciti ancora un certo peso. Così come non vi è dubbio che a cementare l’incontro contribuisca una buona «chimica» personale tra i due leader. È probabile, tuttavia, che a pesare in maniera decisiva siano altri fattori, di tipo più impersonale.

Per un verso, Meloni ha correttamente individuato nel Regno Unito il principale riferimento di Paesi nordici, di quelli baltici nonché di buona parte del fianco orientale dell’Unione europea. Non che ci si possa stupire più di tanto: da sempre, Londra pratica una dottrina strategica della fermezza rispetto alla Russia. Per quanto riguarda la guerra russo-ucraina Londra è per esempio più determinata di Washington nel sostegno offerto a Kiev. E ciò benché l’Inghilterra abbia un calendario elettorale pericolosamente coincidente con quello delle Presidenziali a stelle e strisce sull’altra sponda dell’Atlantico.L’esecutivo guidato da Sunak ha infatti una scadenza naturale all’inizio del 2025, ma il nodo delle elezioni può venire al pettine anche prima. Cionondimeno, Londra non intende forzare un accordo di pace a spese dell’Ucraina per accomodare agende politiche interne. La stella polare, per quanto riguarda Mosca, resta ancora una risoluta dottrina anti-russa. C’è dell’altro: la «pax americana» non riesce più ad assicurare un intervento in prima linea nella totalità dei teatri di guerra.Nel Golfo Persico e nel Levante, con un robusto dispiegamento di forze navali, Washington ha infatti segnalato una chiara disponibilità a entrare direttamente in azione. Lo stesso, molto probabilmente, vale anche per la delicata situazione di Taiwan. In Ucraina, invece, gli Stati Uniti non hanno mai dato questo tipo di segnali, preferendo armare e addestrare gli ucraini. In tale teatro, quindi, la fermezza inglese si nota di più e in effetti conta di più.

A prospettiva rovesciata, Londra punta su Roma per poter disporre dopo la travagliata Brexit di un qualche ancoraggio all’interno del nucleo centrale dell’Unione. Ancoraggio che, nel caso dell’Italia, è senz’altro possibile, mentre Parigi non è disposta a offrire alcun tipo di sostegno. Se non siamo al «perfida Albione» di napoleonica memoria, davvero poco ci manca. Roma, quindi. Non sarebbe la prima volta che Londra cerca un rapporto forte con l’Italia dopo l’uscita dall’Ue. Ci provò addirittura quando i grillini fecero il pienone alle elezioni politiche del 2018 e in una fase iniziale tra i maggiorenti dei Cinque stelle figurava ancora Davide Casaleggio. Sul suo passaporto inglese, così come sugli inviti all’ambasciata britannica, le cronache giornalistiche del tempo indugiarono un po’, attirando gli strali di Beppe Grillo. Acqua passata.

L’Italia, d’altra parte, ha aderito ormai da qualche anno all’ambizioso programma «Tempest» per la realizzazione di un super-caccia di sesta generazione. A Meloni va dato atto di aver fatto l’uso migliore delle eredità di chi l’ha preceduta, intuendo l’importanza dei dossier della difesa e la loro centralità nel nuovo contesto geopolitico. Lo testimonia anche il formato con cui Meloni ha scelto di gestire il «bilaterale» con la Germania, e in particolare il risalto offerto a difesa e tecnologia. Proprio alla luce di questi indizi, in molti si chiedono adesso se Roma stia lavorando di sponda con Londra e Berlino su dossier strategici. Finora del «Tempest», oltre al nostro Paese fanno per esempio parte il Regno Unito e il Giappone. È ipotizzabile un allargamento alla Germania, da poco tornata a fare robusti investimenti nel comparto sicurezza? Per loro natura, programmi di questo tipo presuppongono intese profonde. Il momento appare propizio.

Francesco Galietti è esperto di scenari strategici, fondatore di Policy Sonar

© Riproduzione Riservata