Pare strano che chi dice di voler difendere la libertà e la democrazia di un Paese aggredito poi invochi la censura. Per impedire che opinioni diverse trovino spazio su giornali e tv.
Non conosco il professor Alessandro Orsini. Prima che diventasse famoso per le sue posizioni sulla guerra in Ucraina e venisse conteso dai talk show, di lui avevo letto qualche commento sui giornali e sfogliato uno studio sulle ragioni ideologiche del terrorismo. L’ultimo suo libro, Viva gli immigrati, un’opera in cui sostiene la tesi che la gestione dei flussi nel Mediterraneo sia una grande opportunità per il nostro Paese, avevo invece preferito lasciarlo sullo scaffale, in quanto l’idea non mi era parsa originalissima, ma in linea con la teoria che gli extracomunitari ci salveranno, pagando le nostre pensioni.
Insomma, l’impressione che avevo di lui è che il professore appartenesse alla nidiata di docenti progressisti, vezzeggiati dalla stampa di sinistra e usati al momento buono a sostegno di alcune tesi, come appunto quella sulla necessità dell’immigrazione. Non avevo però messo in conto l’invasione dell’Ucraina e le opinioni del prof sulle origini della guerra scatenata da Vladimir Putin contro Kiev.
Sono infatti bastate poche sue apparizioni in tv, prima nel programma di Corrado Formigli e poi in quello condotto da Bianca Berlinguer, per cambiare completamente lo scenario e il destino del poco conosciuto docente. Da coccolato e rispettato che era, Orsini è infatti diventato una specie di appestato, in quanto le sue tesi gli hanno fatto guadagnare la nomea di filo-putiniano, il che ormai equivale a dare del fascista a chiunque.
Naturalmente si può dissentire da quanto ha sostenuto e sostiene il professore della Luiss, ma non si può dire che egli non argomenti le proprie opinioni, dimostrando di avere una discreta conoscenza della materia. Del resto, prima che il ciclone lo travolgesse, era direttore di un Osservatorio sulla sicurezza stimato e finanziato da molte aziende. Ma poi, come dicevo, è scoppiata la guerra e il conflitto lo ha catapultato in prima linea, mettendo a dura prova la sua reputazione.
In Rai, dove è abitudine fare un contratto agli ospiti per evitare che partecipino a dibattiti della concorrenza (succede anche in altre tv), il Pd si è chiesto se fosse lecito pagare Orsini, cioè un putiniano, per i suoi interventi. Così il professore, per evitare polemiche ma rispettare il suo impegno con Bianca Berlinguer, ha rinunciato al compenso. Questo non è bastato, perché il tema non era la retribuzione per la partecipazione alla puntata, ma la presenza stessa di Orsini in un programma della tv pubblica.
Risultato, la Vigilanza, ossia la commissione parlamentare che si occupa dell’indirizzo dei servizi televisivi, ha chiesto un parere al Copasir, cioè al comitato che veglia sui servizi segreti, per sapere se gli ospiti della tv di Stato siano da considerarsi rappresentanti della stampa o non piuttosto agenti di Vladimir Putin. Ovviamente la Vigilanza non fa cenno a Orsini, ma più in generale parla di opinionisti che ripropongono la propaganda del Cremlino, e tra questi Nadana Fridrikhson. Tuttavia, è difficile non scorgere nella manovra un tentativo di mettere il bavaglio a chi non è allineato nella difesa dell’Ucraina senza se e senza ma, prova ne sia che a corredo della notizia Repubblica ha messo la foto di Orsini, non quella di Vladimir Solovyov.
Del resto, quando un giornalista d’esperienza come Toni Capuozzo si è azzardato a porsi domande sulla strage di Bucha è finito nel mirino della stampa più ortodossa, accusato di diffondere le fake news di Putin. Avere un pensiero diverso sulla guerra, interrogarsi se sia giusto armare l’Ucraina per avere la pace, invocare il compromesso per fermare gli eccidi o anche solo riflettere sui rischi di un’estensione del conflitto e sulle conseguenze economiche rischia di far finire all’indice.
Come scrivevo, si può dissentire da ciò che pensa Orsini e anche non condividere i dubbi di Capuozzo o di altri, ma pare strano che chi dice di voler difendere la libertà e la democrazia di un Paese aggredito poi invochi la censura, per impedire che opinioni diverse da quelle ritenute «giuste» trovino spazio su giornali e tv. Da quando Putin ha invaso l’Ucraina, i media si sono occupati spesso dell’informazione in Russia, descrivendo un sistema che alimenta la «disinformatia», e fa passare un pensiero unico, ovvero che Kiev è governata dai nazisti e i carri armati russi sono impegnati in un’operazione speciale.
Però, quegli stessi giornali e quelle stesse trasmissioni tv che denunciano la censura di Mosca, insieme a partiti che si riempiono la bocca con concetti come libertà e democrazia, alla fine invocano il bavaglio e accusano chiunque abbia idee diverse di essere un agente al soldo di Putin. Inseguire le spie di Mosca, sospettare che un giornalista sia al servizio della propaganda russa, mi fa venire in mente una vecchia ossessione del regime fascista, che durante la Seconda guerra mondiale arrivò ad affiggere manifesti in tutto il Paese con l’immagine di un soldato alleato: «Taci, il nemico ti ascolta». Di questo passo presto si dirà: zitto, il russo ti paga.