Inizia l’estate e gli esercenti non trovano personale. Eppure ci sarebbe, ma chi percepisce il reddito di cittadinanza…
Ci risiamo. Comincia la stagione del turismo che tra l’altro – Russia a parte – dà anche segnali positivi e le aziende sono a caccia di 390 mila tra cuochi e camerieri che non riescono a trovare. E non stiamo parlando solo di stagionali, ma anche di 200 mila lavoratori a tempo indeterminato che, a causa della pandemia, hanno cercato un altro lavoro. Chi è diventato autista, chi si è inventato muratore, chi si è prestato a fare il magazziniere, chi ha cercato posto come corriere. E quante volte la Fipe-Confcommercio, cioè l’associazione dei pubblici esercizi, tra i quali una parte rilevante spetta ad alberghi e ristoranti oltre ai bar, aveva messo i governanti sull’avviso: state attenti perché se chiude l’attività, o se viene troppo ridotta e non ci sono ristori e casse integrazioni sufficienti, ci troveremo senza manodopera perché per sfuggire alla mancanza totale di reddito gli italiani, come sempre, si arrangeranno e cercheranno posto altrove. Poi saranno problemi, perché un cuoco e un cameriere non sono lavori di serie B, esigono professionalità, esperienza, soprattutto in un Paese come il nostro dove il turismo è una parte fondamentale della benzina che c’è nel distributore della nostra economia nazionale.
Niente, non furono mai ascoltati, anzi furono esclusi, non consultati quando si dovettero scrivere le norme di sicurezza che li riguardavano e che furono redatte a tavolino. Chi non ricorda i famosi due metri che dovevano separare un tavolo dall’altro e poi, per uno sprazzo di ragionevolezza e soprattutto per le proteste vibranti e giuste della categoria, furono ridotti alla metà, cioè a un metri. Se fosse rimasta la distanza originale sarebbero riusciti ad andare avanti soltanto pochi ristoranti, anche perché ciò avveniva d’inverno e quindi nell’impossibilità di ampliare lo spazio disponibile all’esterno. Ebbene, ora al posto della meraviglia ci vorrebbe un solenne «mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa» da parte di tutti coloro che hanno fatto male ciò che hanno fatto, e non hanno fatto ciò che dovevano fare: garantire una continuità dei professionisti che lavoravano in questi esercizi per essere pronti a una prossima – o remota – ripresa.
Ma ci rendiamo conto che stiamo parlando di cose troppo concrete e la concretezza spesso non abita nelle stanze di chi decide per gli altri. Sono stanze nelle quali si vive in un clima sospeso tra la realtà e l’immaginazione, dove al posto del ragionamento sui casi reali si preferiscono quelli astratti e spesso nocivi, dove invece di ascoltare chi è sul campo si sale sull’albero e si guarda il campo dall’alto. Poi, talvolta, arriva un po’ di vento, qualcuno casca dall’albero, si sveglia dal sonno, vede la realtà com’è e dice: «Perbacco, ma allora siamo nella cacca». Ma purtroppo alla constatazione non segue l’azione.
Capite cosa significa che mancano all’appello quasi mezzo milione di operatori in uno dei nostri settori più strategici? Lo sanno a Roma che se questi esercenti continueranno a non trovare manodopera dovranno rinunciare ai loro clienti e dunque al fatturato? Andrebbe preso un decisore qualsiasi, portato in un ristorante e fargli servire 50 tavoli. Poi, tornato a Roma, obbligarlo a scrivere un diario della sua giornata lavorativa. E dopo fargli stendere una relazione su tutte le bischerate che ha stabilito (da un punto di vista normativo) e fargli prendere le decisioni per il futuro.
C’è poi la questione del reddito di cittadinanza. Come è noto a molti – ormai lo sanno tutti perché lo hanno ripetutamente dichiarato gli stessi percettori dell’assegno – è preferibile il reddito di cittadinanza che dura tutto l’anno a un lavoro stagionale di pochi mesi. Per il secondo anno di seguito poniamo una domanda semplice semplice: se i percettori del reddito di cittadinanza abitano in zone vicine agli esercizi commerciali che cercano personale, ovviamente pagati regolarmente, e magari hanno anche qualche competenza specifica, non si potrebbe pensare a un’interruzione temporanea per i mesi del lavoro stagionale, per poi riprendere con il reddito a stagione terminata? Per carità, senza sottoporli a viaggi troppo stressanti – diciamo entro la mezz’ora (quella che, normalmente, ci s’impiega a Milano per arrivare al lavoro) -, in luoghi accessibili. Chi ha voluto il reddito ha sempre dichiarato che si trattava di un sostegno temporaneo in caso non ci fosse lavoro. Qui di offerte ce n’è circa mezzo milione. Non stiamo parlando di cifrette e neppure di lavori mediamente sottopagati e comunque, se si teme che qualcuno faccia il furbo, si effettuino controlli, si comminino sanzioni a coloro che non rispettano le regole, ma si faccia tutto il possibile per offrire un lavoro, sia pure stagionale, anche ai percettori del reddito di cittadinanza. n
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