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Straniero in terra straniera, il capolavoro di Heinlein che ossessionò Charles Manson

Straniero in terra straniera, il capolavoro di Heinlein che ossessionò Charles Manson

Robert Heinlein è il tipico caso di genio inattuale. Straniero in terra straniera, come il suo romanzo, ha ispirato scrittori e criminali fin dagli anni Sessanta. Poi l’oblio, nonostante milioni di appassionati.

La potenza autoriale e il genio di Robert Heinlein sono direttamente proporzionali alla leggerezza con cui trattava come note a margine idee e spunti su cui altri avrebbero costruito interi romanzi. Forse intere carriere. Era come se avesse una sovrabbondanza di visioni ad affollargli il cervello: doveva farle uscire per forza ma non aveva il tempo di elaborle tutte pienamente. Straniero in terra straniera – il suo clamoroso e purtroppo un filo dimenticato capolavoro che Fanucci ripubblica in nuova edizione, con prefazione di Kurt Vonnegut – a tale riguardo è emblematico. Qui e là nelle pagine sono come abbandonate piccole perle di preveggenza. Minuscole pennellate di colore utili a creare l’atmosfera, dettagli secondari che hanno però la forza di spalancare mondi. Un esempio. A un certo punto, due dei protagonisti sono a cena in un ristorante e da uno schermo televisivo giunge il messaggio gioioso di uno spot: «La NWNW, New World Networks, e il suo sponsor Confetti Malthusiani Ragazza Furba sono lieti di presentarvi una storica intervista effettuata dal governo della Federazione. E ricordate, amici: ogni ragazza furba usa i confetti Ragazza Furba. Facili da portare, buoni da masticare, dall’effetto garantito e in vendita senza bisogno di ricette in virtù della legge 1312. Perché rischiare con metodi antiquati, antiestetici, dannosi e insicuri? Perché rischiare di perdere il suo amore e il suo rispetto? Ricordate…».

Il romanzo di Heinlein è del 1961, la pillola anticoncezionale era stata approvata e messa in commercio negli Stati Uniti appena qualche mese prima. Prevederne la diffusione endemica (e sostenuta dal sistema politico-economico) non era piccola cosa, dopo tutto. Se però Straniero in terra straniera è una cattedrale, questa storia dei confetti malthusiani non è che un chiodino piantato e dimenticato dal carpentiere. Infilato di sfuggita ma utilissimo a disegnare il contesto di una società distopica che controlla i corpi, le menti e i comportamenti anche se in modo tutto sommato dolce. Heinlein immagina un Occidente futuro non troppo diverso dal nostro, appena più avanzato tecnologicamente, e lo usa come scena per il suo teatro satirico della modernità e dell’America.

Lo faceva spesso: Starship troopers, da cui Paul Verhoeven ha tratto un film di culto nel 1997, è una riuscitissima caricatura dei totalitarismi, anche se ambientato per lo più nello spazio. Straniero in terra straniera, in ogni caso, è diverso da qualsiasi altra cosa Heinlein abbia mai scritto (e che voi forse abbiate mai sfogliato): il lettore viene accompagnato alla scoperta di questo mondo di domani da un «uomo di Marte», ovvero Valentine Michael Smith. Costui ha origini umane ma è stato cresciuto sul Pianeta rosso e a un certo punto viene riportato sulla Terra, dove inizialmente si muove come un bambino per cui ogni cosa è meravigliosa, compresi gli umani senza scrupoli che vogliono sfruttarlo. Finirà per fondare una sorta di nuova religione vagamente new age, che Heinlein tratteggia pescando a piene mani dalla tradizione esoterica occidentale di cui era grande conoscitore. Anche per questo retroterra occulto – fondamentalmente invisibile a occhi non esperti – il libro di Heinlein colpì profondamente un tale dall’aspetto trasandato che nel 1963 era in galera nello Stato di Washington.

Costui si chiamava Charles Manson. Come ha scritto Jeet Heer su The New Republic, il futuro guru assassino della Manson Family fu quasi ossessionato dall’opera di Heinlein e da un libro di Ron Hubbard, anche lui scrittore di fantascienza e poi fondatore di Scientology. «Manson era a malapena alfabetizzato, quindi probabilmente non si immerse troppo in nessuno di questi testi. Ma era dotato di un talento nell’assorbire informazioni attraverso le conversazioni, e parlando con altri prigionieri raccolse abbastanza da entrambi i libri da sintetizzare una nuova teologia», dice Heer. «Il suo incontro con gli scritti di Heinlein e Hubbard fu un evento cruciale nella sua vita. Fino ad allora, era stato un piccolo criminale e un vagabondo che trascorreva la sua vita dentro e fuori dal carcere. Ma quando Manson fu rilasciato da McNeil Island nel 1967, era una figura nuova: un carismatico predicatore di strada che raccolse un gruppo di seguaci tra gli hippy di Haight-Ashbury a San Francisco». Manson volle farsi messia imitando Valentine Michael Smith, predicando come lui l’amore libero e cercando di costruire in una disastrata fattoria una specie di vita comunitaria (basata in realtà su paura e vessazione). Le storie ovviamente hanno epiloghi differenti: Manson diviene un plagiatore e assassino, il personaggio Smith nel romanzo viene cacciato dagli umani che non lo comprendono. E non c’è dubbio che a sua volta il diabolico Charlie si sia sentito incompreso e ingiustamente condannato. Manson dal libro ricavò una ispirazione malata e mortifera, lontana anni luce dagli intenti di Heinlein. Il quale puntava soprattutto a diffondere una visione libertaria e anti autoritaria che in effetti fu molto apprezzata dalla controcultura statunitense. Non è un caso che egli – nonostante avesse curiose e ambivalenti idee politiche – fosse tanto ammirato da un altro formidabile satirista libertario, ovvero il già citato Vonnegut (di cui proprio in questi mesi Bompiani sta rieditando i capolavori), autore di una prefazione che è una dichiarazione d’amore. Vonnegut non si capacitava del fatto che Heinlein non fosse considerato un gigante delle lettere. «Un numero enorme di lettori ha trovato questo libro un brillante rompicapo, eppure dubito che il nome di Heinlein sia mai stato pronunciato in una riunione del Pen o nelle sale dell’American academy and institute of arts and letters», scriveva. «Nonostante abbia scritto questo libro e circa altri quaranta (La Luna è una severa maestra, Non temerò alcun male, I figli di Matusalemme, Il terrore della sesta luna e così via), questo uomo straordinario, che non ho mai incontrato, è stato inserito solo nel Who’s who in Science Fiction ed è morto senza essere stato ritenuto degno di una voce nel più inclusivo annuario Who’s who. Il presidente dell’American poultry association è sicuramente presente, da qualche parte, nel grande Who’s who. Come è potuto accadere?», si chiedeva Vonnegut. «Santo cielo, il nome del protagonista di Straniero in terra straniera è familiare a milioni di lettori quanto Oliver Twist o Holden Caulfield. Si tratta di Valentine Michael Smith, ma è stato cresciuto dai marziani su Marte senza aver mai visto un altro essere umano e questo è assolutamente intollerabile per coloro che hanno il diritto di dire quali romanzi siano seri o no; parlo di quei critici professionisti e insegnanti di letteratura, di autori di romanzi sull’ascesa o la caduta di persone comuni nelle società di provincia». In effetti, Straniero in terra straniera merita un posto tra i grandi classici della letteratura occidentale. Ha venduto molto, poi è stato quasi dimenticato. A rileggerlo appare incredibilmente vicino a noi eppure ancora misteriosamente lontano. Una creatura aliena, marziana appunto, in cui utopia e distopia si intrecciano e sono molto difficili da distinguere.

Lo stesso Heinlein resta un oggetto difficile da decifrare. Prima faro della controcultura, poi conservatore che nel 1980 dichiarava: «Ho ritratto ogni sorta di cultura nel corso delle mie storie. Non sono necessariamente a favore di quella particolare cultura di per sé. Ma credo nella punizione. Non credo che il nostro attuale metodo di dare una pacca sulla testa ai criminali e dire “Ora, caro ragazzo, non farlo più” funzioni. Abbiamo troppe persone che commettono omicidi dopo averne già commessi. In California li abbiamo a plotoni. E non credo che la storia abbia dimostrato che la punizione non funzioni. Una cosa che la storia dimostra è che se impicchi un assassino, non commetterà mai più un altro omicidio». Non sono certo le frasi di un libertario vagamente fricchettone. Ma questo è il bello dei grandi: possono essere stranieri anche a sé stessi.

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