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I sogni d’Oriente di Cinello

I sogni d’Oriente di Cinello

Ha creato mondi popolandoli di donne fascinose, arlecchini, animali fantastici, architetture esotiche, nostalgie dell’infanzia. Una mostra rende omaggio – e il giusto riconoscimento – a questo sofisticato pittore piacentino.


La fantasia, il sogno, l’amore: sono gli spiriti guida della sofisticata pittura di Cinello, cresciuta in un paese felice e protetto dove non si conoscono il male e il dolore, un punto d’Italia fertile e tranquillo, com’è Piacenza. In una soffitta piena di poesia andai a trovare Gustavo Foppiani, in collezioni discrete vidi umanissime invenzioni di Luciano Spazzali, in un arioso e ordinato studio ho visitato in più occasioni Armodio.

Più episodicamente, raro nelle case, esule dai musei, ho visto Cinello, lirico dalla ispirazione estenuata, raffinato e sfinito sempre, la cui voce tenue si accorda, singolarmente, con quella di Leonor Fini: un sottile, felino erotismo, li unisce, senza una filiazione diretta. È un istinto, un’affinità sentimentale. Difficile dire da dove viene questa grazia, questo passo fievole d’Oriente. Certo, è la cifra di Piacenza: è una eleganza naturale condivisa con Foppiani, una euforia leggera, impalpabile, che vibra sulle immagini, una pittura di seta. È musica da camera.

Valgono per Cinello le parole del poeta tedesco Gottfried Benn per Fryderyk Chopin: «Mai composto un’opera, mai sinfonia, solo queste tragiche progressioni per convinzione d’artista virtuoso e con una piccola mano». Proprio così sono i dipinti, sempre di piccolo formato, di Cinello. E sono variazioni di un unico pensiero, di una ossessione, con infinite sfumature e screziature, in una luce d’alba, crepuscolare, con visioni orientali, fra cupole e minareti. Davanti a queste apparizioni danzano e suonano, con movenze di mimi, i suoi impalpabili personaggi, maschere di un personalissimo teatro.

Danzano in scena o si affacciano da finestre di torri, castelli o palazzi di forme esotiche come le città dello Yemen: Sana’a, Aden, Al Mukalla, Sayyan, Shibam, Tarim, Sayum. «Lo Yemen, architettonicamente, è il Paese più bello del mondo. Sana’a, la capitale, una Venezia selvaggia sulla polvere senza San Marco e senza la Giudecca, una città-forma, la cui bellezza non risiede nei deperibili monumenti, ma nell’incompatibile disegno… è uno dei miei sogni» scrive Pier Paolo Pasolini, e Cinello quei luoghi dipinge.

Sono mirabili intarsi, sogni, notti trasfigurate, fantasmi di un mondo perduto, figure femminili su trampoli o biciclette, in una perpetua danza. La dote prevalente di Cinello è la grazia. Essa appartiene alle donne, ai bambini, agli angeli. Forse all’orizzonte Cinello immagina una Venezia offuscata dalla nebbia, un Oriente domestico, dominato da cupole colorate. E in qualche modo bizantine sono le sue ieratiche Madonne con bambine, in troni maestosi contro città incantate. Immagini statiche e solenni per una religione inesistente. Idoli. Regine. Illustrazioni per codici miniati.

Cinello è orfano di Dio e continuamente lo evoca, con la fede cieca degli amanuensi. Nel suo immaginario le Madonne più maliziose e ammiccanti, ma sempre rigide, convivono con arlecchini e arlecchine, sinuosi e mossi, lontano omaggio a Pablo Picasso e a Gino Severini. Anche nelle opere più composite di Cinello non accade niente. Prendiamo Il leone e l’uccello contro una foresta di alberi come cupole di moschee, nel loro ritmo paratattico: sempre un sogno d’Oriente.

È un’invenzione del 1956 in cui si incrociano misteriosamente Paul Klee (amatissimo anche da Foppiani, negli stessi anni) e Zoran Music, nelle evanescenti nebbie del ricordo. Il sogno continua ne La serenata del 1957: due fanciulle discinte suonano un mandolino e un violino davanti a donne al balcone di un palazzo incantato. Esso si fa «casino», prima della abolizione nel 1958, in un prodigioso dipinto con ragazze nude alle finestre, due su un comò laccato e una danzante: una poetica e magica casa di tolleranza.

In altri dipinti Cinello si confessa, confessa le sue nostalgie infantili, nell’eterea purezza di Il mio mondo: tre bambini, di età diverse, su una sedia di paglia.Tutto il suo mondo è nostalgia dell’infanzia. In un altro fascinoso interno, con orizzonte di cupole, si vede una ragazza nuda distesa sul consueto comò: è pura poesia. Cinello è piu insinuante e sensuale del coevo Foppiani, coniuga incredibilmente, e con infinita grazia, Klee e Leonor Fini, mondi incomunicanti se non nel suo giardino incantato, il luogo della sua perpetua infanzia.

I mobili nascondono Veneri nei cassetti: nel suo sogno , tra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta, Cinello confina con Eugene Berman, con Domenico Gnoli. Così Laura Riccò Soprani sintetizza la sua produzione: «I suoi dipinti, affollati da svagate donnine quasi sempre nude, ma più ironiche che sensuali, da clown enigmatici e romantici pianisti, da suonatori di organetto, da diavoli, da cani scheletrici e da qualche animale estraneo all’ambiente, come un leone o un uccello fantastico, iniziarono a girare l’Italia con successo.

Cinello si distinse per la sua pittura originale, autonoma, unica, estranea agli schemi correnti, caratterizzato dalla costante negazione delle regole della prospettiva, dalla tecnica accuratissima e da una scrupolosa attenzione alla bontà dei materiali».
Sono passati quarant’anni dalla morte di Cinello, ma né mode né varietà di gusti hanno alterato la seduzione delle sue invenzioni senza tempo, irripetibili e inimitabili.

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