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In classe ci vuole Socrate

In classe ci vuole Socrate

Ora si obietta che il brutto voto non sia educativo per lo studente. Ma, come sempre, dipende soprattutto da chi lo dà.


Circola, in un impazzimento generale, con il mondo che sembra alla rovescia, la proposta di abolire, a scuola, i voti sotto il «quattro» perché sarebbero inutilmente umilianti per i ragazzi. L’ideona viene da un assessore della provincia di Bolzano, Philipp Achammer, che sostiene: «Non hanno alcun valore pedagogico». Per carità, non è che un voto definisca i confini della personalità e delle capacità di uno studente. E non è neanche che il professore possa pensare di esaurire il suo giudizio attraverso un numero, alto o basso che sia. Il professore passa in media alcuni anni con una classe e durante quegli anni (ammesso e non concesso ne sia all’altezza, cosa che spesso non è ), può conoscere i punti di forza e di debolezza dello studente stesso, confrontarsi con gli altri colleghi e poter così valutare quella giovane personalità in modo più completo.

Ma dobbiamo chiarire subito una questione fondamentale a cui abbiamo già accennato. Mi chiedo: i docenti sono davvero in grado di avere sufficiente visione pedagogica e culturale per valutare quell’oggetto così complesso e in evoluzione che sono i bambini, gli adolescenti e i giovani in generale? Perché nel caso non dispongano di questi strumenti – e sovente non li possiedono e hanno una sensibilità di tipo pedagogico-educativo con un’empatia verso gli studenti pari a quella di una lavatrice -, ebbene in questo caso veramente il voto può essere una umiliazione. Ma si tratta di una conseguenza: la causa risiede nella loro incapacità radicale di insegnare, di educare, di entrare in quel rapporto particolarissimo che lega il docente e il discente e del quale hanno scritto in modo insuperabile i filosofi dell’antica Grecia, a partire dal maestro di tutto ciò, e cioè Socrate. Senza questo tipo di considerazioni preliminari qualsiasi discorso non ha sostanza perché è il presupposto senza il quale tutta la discussione sui metodi scolastici, voti compresi, non ha alcun senso.

Detto questo, però, c’è da sottolineare che questa teoria – definiamola così anche se è un’evidente esagerazione – per cui una valutazione fortemente negativa sia antipedagogica e possa provocare ferite gravi nella psiche o nell’animo dello studente, francamente fa un po’ ridere. Certo, se il professore è un incompetente non gliene frega niente di quello che fa, salvo lo scarno stipendio a fine mese; e se per giunta è anche un po’ stupido nel senso che ha carenze lui stesso nella comprensione della realtà (a partire da quella umana impersonata dagli studenti), allora la questione non è che sia offensivo il voto, ma l’insegnamento che viene impartito da persone che invece di fare i docenti dovrebbero svolgere lavori dove il cervello sia utilizzato il minimo indispensabile. Il voto è solo il risultato di una persona sbagliata (il docente) che si trova nel posto sbagliato. Di più non si può.

Dopodiché si ha l’impressione che, soprattutto nei confronti delle cosiddette «generazioni digitali», ci sia spesso un atteggiamento profondamente sbagliato e questo sì, antieducativo, quasi a proteggerli dall’impatto anche duro con la realtà (esiste forse un impatto con la realtà che non presenti asprezze e salite?), abituati come sono – e in misura non inferiore i loro genitori – a vivere gran parte del tempo nella realtà virtuale a svantaggio della vita reale. In quella virtuale è quasi sempre «discesa»; non ci sono grandi ostacoli e sofferenze, è tutto è più facile, più semplice e agevole.

Ecco, di fronte a genitori e figli che vivono in questa realtà, un «tre» o un «quattro» a scuola può essere un problema. Ma non v’è il minimo dubbio che il problema sono loro, non il brutto voto che, in un percorso scolastico ben gestito, ci sta, eccome se ci sta. Ed è anche educativo, nel senso della relazione che c’è tra impegno e risultato e che costituisce una delle fondamenta della vita lavorativa e della vita in generale. Come spesso accade, qualcuno dice una bischerata e su di essa se ne accatastano un’infinità di altre, perché quella affermazione diventa subito «ideologia» e fa divampare una guerra di religione basata sul nulla, dove per trovare un ragionamento che fili ci vuole la lente di ingrandimento. Che, spesso, non serve comunque a un bel niente. n

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