A Londra, sigarette bandite per tutti i nati dal 2009. Il bene pubblico al di sopra di tutto, però, è molto rischioso. L’idea di uno Stato che impone ai singoli comportamenti virtuosi, che ordina che cosa fare o non fare, che cosa bere o mangiare, che vizi avere o non avere, è aberrante
Mio suocero fumava «MS». L’abbiamo seppellito con il suo amato pacchetto. È morto a 81 anni, dopo aver eliminato dalla sua vita, una dopo l’altra tante sue passioni: aveva rinunciato ai viaggi, alle passeggiate, all’amato teatro. Solo a una cosa non ha mai rinunciato: alle sigarette. Hanno provato a togliergliele in ogni modo. Gliele centellinavano. Gliele sequestravano. Niente da fare: ha vinto lui. Ha fumato fino all’ultimo giorno. Mio padre fumava «HB»: era una marca piuttosto strana, lui ne andava orgoglioso. Teneva una stecca nel ripostiglio di casa. Mai che mi sia venuto in mente di rubargliene una. Finita la cena cominciava ad aspirare e soffiare, e noi inevitabilmente respiravamo un po’ di quella nicotina, nel piccolo tinello, davanti al Carosello, prima di andare a dormire. Forse è per quello che non mi è mai piaciuto fumare. Ho provato una volta sola da ragazzino, mi ha fatto schifo. E così per tanti anni, felicemente, ho risparmiato soldi e polmoni.
Sono convinto da sempre, infatti, che mandare in fumo i propri risparmi e la propria salute sia una cosa scema. Ho cercato, per quanto mi è stato possibile, di preservarne i miei figli, e mi spiace di non esserci riuscito del tutto. Quando vado in giro a parlare, sulle piazze del Paese, e qualcuno mi dice che in Italia non cambia mai nulla, dico che non è vero, e per testimoniarlo cito l’atteggiamento che abbiamo verso il fumo. È cambiato, eccome. Infatti 40 anni fa era normale, entrando in un bar o in un cinema, essere avvolti da una nuvola tossica. Oggi nessuno si accende una sigaretta in una sala gremita. Nei locali è più facile trovare persone con in mano una pistola piuttosto che un accendino.
Ho fatto questa lunga premessa per far capire quanto io sia nemico delle sigarette e quanto le consideri cretinate autodistruttive. Eppure vi devo confessare che quando ho letto della decisione di Londra di mettere al bando le sigarette per tutti i nati dal 2009 (divieto assoluto) per arrivare entro il 2030 a dichiarare la Gran Bretagna «Paese totalmente libero dal fumo» ho fatto un salto sulla sedia. E ho pensato di accendere per un attimo una vecchia pipa che deve essere rimasta in qualche cassetto. Meglio fumarsi un po’ di tabacco, infatti, che fumarsi del tutto il cervello.
L’idea di uno Stato che impone ai singoli comportamenti virtuosi, che ordina che cosa fare o non fare, che cosa bere o mangiare, che vizi avere o non avere, è aberrante. È vero che, essendo passati per l’esperienza devastante del Covid, siamo ormai vaccinati (mai parola fu più adeguata) anche alle peggio cose. Ma voi capite che questa è una strada pericolosa: perché se fumo in un luogo pubblico posso fare del male agli altri (dunque sono giusti i limiti), ma se fumo nel mio salotto, da solo, faccio solo del male al massimo a me stesso. Che senso ha il divieto?
La deriva è dietro l’angolo: se lo Stato oggi si arroga il diritto di impormi di non fumare, nemmeno nel mio salotto perché faccio del male a me stesso, allora poi tra breve si arrogherà il diritto di impormi di non mangiare patatine fritte o merendine o carne rossa o torte al cioccolato. O magari di non bere vino. Tutte cose che, potenzialmente, potrebbero farmi male. Potrà anche impormi, sempre per legge, di camminare per un certo numero di chilometri ogni giorno e fare ginnastica per un certo numero di ore ogni settimana. Potrà dirmi come dormire, a che ora alzarmi, a che ora andare a letto, chi frequentare, quante volte fare all’amore: tutto in nome della mia salute, si capisce. Uno scenario da incubo.
Conosco l’obiezione: chi fuma è un costo per la sanità pubblica. È la stessa obiezione che fanno a Londra per giustificare la loro iniziativa. Certo: in genere chi fuma ha bisogno di essere curato di più di chi non fuma. Si ammala più facilmente. Ma anche chi viaggia in motocicletta rischia di cadere e, in media, ha bisogno di essere curato più frequentemente di chi viaggia in tram: che facciamo? Proibiamo le moto? E chi va a sciare? Ovvio che se sto in poltrona a guardare un film non rischio di rompermi una gamba, se faccio la pista 7 del Ventina da Plateau Rosà a Cervinia, invece sì. Che facciamo? Proibiamo lo sci? Per non dire del parapendio o del rafting o dei lanci con il paracadute: io passo la domenica a scrivere la rubrica del Grillo parlante che, per quanto spericolata, non mi espone a rischi di frattura del perone. Perché devo pagare le cure a chi si è fatto male oggi lanciandosi da quattromila metri? Non glielo si poteva vietare come si vietano, per lo stesso motivo, le sigarette?
Come vedete ci si incammina in direzioni spaventose. Senza contare che tutte le cose vietate in modo totale, diventano subito attraenti. Infatti io, come dicevo, appena sentita la notizia che Londra vuole vietare il fumo, mi sono messo a cercare la vecchia pipa. Se qualcuno lanciasse una proposta così in Italia, giuro che ritrovo da qualche parte persino una «HB» di mio papà. n
© riproduzione riservata