Nella nuova, intensa opera della novantenne Liliana Cavani, una meditazione sul tempo fa emergere grandezze e miserie di noi esseri umani.
Si può derivare un film da un saggio? Gore Vidal sosteneva, in polemica con me, che un film è tutto nella sceneggiatura. Intendeva nella storia, nel racconto, considerava le immagini, che sono la sostanza di un film, una conseguenza. Io gli opponevo che la parte del regista è quella visiva, nella quale contano la scelta degli attori e le definizioni degli ambienti per dare volto e sostanza alle parole. Gli dicevo: «Come sarebbe Il Gattopardo se il regista non fosse stato Visconti?». È talmente inevitabile l’immaginazione, fondata sull’esperienza storica, sul gusto e sulla sensibilità di Luchino Visconti che sarebbe assai difficile concepire altri volti e ambienti per i personaggi di Tomasi di Lampedusa.
Regista e attori sono fondamentali, perfino più della storia. Come può essere il Principe di Salina se non Burt Lancaster, e come Tancredi se non Alain Delon, e come Angelica se non Claudia Cardinale? Il rispecchiamento tra romanzo e film va oltre la traduzione dello sceneggiatore. Nel caso di cui vi voglio parlare la sceneggiatura non esiste, i personaggi rappresentano i pensieri e i concetti di Carlo Rovelli, l’autore del saggio L’ordine del tempo che esamina la natura del tempo da vari punti di vista e le evoluzioni della sua comprensione nello sviluppo del pensiero scientifico. Lo scienziato pone l’accento sul fatto che lo scorrere del tempo non è uniforme nei diversi luoghi dell’universo e che in molte delle equazioni alla base della fisica moderna la variabile tempo non compare affatto. La sua conclusione è che ciò che noi siamo abituati a chiamare tempo è in realtà un prodotto della mente umana: «L’emozione del tempo è ciò che per noi è il tempo. Il tempo siamo noi».
Liliana Cavani ha letto il saggio, ne è rimasta suggestionata e ha deciso di trarne l’omonimo film. Il soggetto è dunque di Rovelli, la sceneggiatura è della Cavani stessa, con Paolo Costello. Il risultato è molto diverso dalla posizione filosofica di Rovelli: si avvale di un’intuizione che riduce la storia a niente. L’intuizione della Cavani è far coincidere la preoccupazione di una cameriera peruviana, che ha indiscrezioni quasi superstiziose su una prossima fine del mondo, e la fondata preoccupazione di un fisico, Enrico, dubbioso e tormentato, interpretato da Edoardo Leo, per l’accertamento scientifico della minaccia di un asteroide diretto verso la Terra. Dalla sovrapposizione di due diverse ansie, una mitologica, l’altra fondata, derivano singolari comportamenti che agitano in diverso modo un gruppo di amici, prevalentemente coppie, che si trovano per un breve periodo di vacanze in una villa al mare sulla spiaggia di Sabaudia.
La Cavani fa interpretare il clima di ansia e di turbamento ad attori di consumata esperienza teatrale che recitano come vivono, e si muovono nello spazio molto ristretto di una casa come sul palcoscenico. Particolarmente bravi sono Claudia Gerini e Alessandro Gassmann, il cui principale timore, per buona parte del film, è il rientro della figlia da un’uscita serale in discoteca. Non un tema particolarmente avvincente, ma che consente alla Gerini di calarsi nella madre apprensiva che prima insegna alla figlia i termini greci per definire il tempo, Kronos, Kairos e Aion, lo strumento per introdurre il tema del film, poi si diffonde presto nel racconto di Alcesti che, nell’amore per Admeto, il marito, supera ogni altro parente, pronta a sacrificarsi per lui, come nessuno degli amici e neppure i genitori.
Noi entriamo in quella casa, siamo coinvolti negli episodi della vita familiare, con grande naturalezza. Potremmo essere lì, tra gli ospiti, fino a che, richiamato dal nome di Paola, Enrico non decide di raggiungere gli altri amici. La storia sembra cominciare lì, tra sguardi, ansimi, sfioramenti di mani dei due ex fidanzati che si ritrovano con intatta emozione. Ed è vero che il rapporto fra Enrico e Paola è una delle piste della trama inesistente. Ma è l’allarme della cameriera che fa scatenare la sostanza filosofica del film, grazie alla conferma dei suoi sospetti da parte di Enrico, che ha notizie certe sulla realtà del pericolo.
Da qui inizia la diffusione di un panico che attraversa in diverso modo tutte le coppie; e in quel momento anche noi entriamo nel film. La possibilità che l’asteroide distrugga la vita sulla Terra è certamente una finzione narrativa, ma riguarda anche noi, che diventiamo attori inconsapevoli e veniamo coinvolti nella preoccupazione che gli interpreti rappresentano. La forza della Cavani è coinvolgerci. Le riserve che ho letto sul film, penso a quella di Giorgia Terranova, mi sembrano approssimative perché chiedono quella drammaticità e quella gravità che la Cavani riesce a evitare, nell’apparente normalità e banalità dei comportamenti dei protagonisti. La preoccupazione che tormenta Enrico non può cambiare la normalità di quelle vite ma, semplicemente, metterle davanti a un potenziale redde rationem relativo ai modesti accadimenti delle loro vite. Scrivere: «I personaggi sono però solo parzialmente preoccupati dal meteorite che potrebbe ucciderli, cercano di risolvere i propri problemi personali privati prima ancora di sapere che quello è forse il loro ultimo giorno sulla Terra, come se quella notizia non cambiasse realmente il corso degli eventi», vuol dire non aver capito la formidabile capacità della Cavani di non enfatizzare, di non drammatizzare.
Da qui il giudizio negativo: «Nonostante gli ottimi attori italiani che compongono il cast, anche la recitazione in L’ordine del tempo risulta approssimativa. Il film non indaga le reali difficoltà, le incertezze e i dubbi che fanno parte della quotidianità di ogni essere umano. Neanche l’imminente distruttivo meteorite provoca reali sconvolgimenti, né porta a galla verità destabilizzanti, che invece dovrebbero stupire, affascinare o appassionare. Ogni protagonista, essendo senza dubbio L’ordine del tempo’ un film corale, non è abbastanza caratterizzato». Un esempio singolare di incomprensione per eccesso di aspettativa, che va al di là dei confini di un saggio sul nostro essere al mondo, per pretendere la dimensione della tragedia. L’incomprensione continua in considerazioni come: «la sceneggiatura, estremamente semplice, sfiora il banale e spesso manca di un significato e un sottotesto più profondo, che ci si aspetterebbe da un film del genere».
Perché? Io mi aspettavo esattamente quello che ho visto. La conclusione è ancora più sfasata: «Il film L’ordine del tempo nel complesso non funziona né convince; non analizza la psicologia dei personaggi né le loro relazioni interpersonali. La riflessione a cui punta la pellicola di Cavani è senza dubbio: come ci comporteremmo se venissimo a sapere che un meteorite sta per distruggere la Terra? Un tema forte che viene però qui espresso senza pathos, senza alcun coinvolgimento né intensità emotiva. La stessa ambientazione, scelta per dare un’idea di contrasto tra bellezza della natura e incombente devastazione non rende quel senso di minaccia opprimente, del non poter fuggire, del dover soltanto aspettare e attendere che una forza invisibile cancelli per sempre l’umanità».
La forza del film è invece proprio questa: non enfatizzare, non drammatizzare, scatenare reazioni non estreme, non apocalittiche, non titaniche. Escono verità rimosse sulle vite dei protagonisti anche insignificanti, ma esattamente come sono le loro vite. Formidabile ancora una volta è il dialogo fra il sereno e bonario Pietro con la moglie Elsa (Gassman e la Gerini): i tradimenti di lui e l’innamoramento di lei per Giulia (interpretata da Francesca Inaudi). La verità delle loro reazioni e confessioni è la miglior traduzione possibile della condizione in cui tutti ci troviamo in quella emergenza eventuale. Ripeto: eventuale. Alla quale non c’è risposta e reazione nel potere degli uomini, se non che non accada. Infatti non accade. Ma, nel timore e nell’attesa, difficile rappresentare meglio la rivelazione di verità mai dichiarate tra Greta e Iacob (Valentina Cervi e Fabrizio Rongione); e il dialogo tra certezza e dubbi, tra assoluto e precario, della monaca clarissa suor Raffaella (Angela Bolina) con Giulia. La Cavani mette in campo esempi di vite davanti all’ipotesi di un momento estremo. Tutto può accadere, ma nulla accade. E proprio in coincidenza con il rientro notturno della figlia di Elsa e di Pietro. Un bagliore improvviso di luce, un punto in cui nulla accade. La vita riprende. Come tutti loro, anche noi siamo stati in attesa di quel momento. Quando nulla è accaduto ci siamo sentiti liberati. Cos’altro doveva mostrare la Cavani?
Quali reazioni avrebbe dovuto fare esibire ai suoi meravigliosi attori, così puntuali nel recitare la normalità e l’impotenza? A nessuno di noi è consentito di dominare l’ineluttabile. Era quello che voleva dire Rovelli? È certamente quel che ci ha raccontato una regista capace di far diventare comportamenti un’idea, raccontare stati d’animo, desideri, tradimenti, rimpianti, con straordinaria naturalezza. Il film sono quegli attori, quella capacità di racconto, il lieto fine. La storia si riassume nella posizione della cameriera peruviana: all’inizio partiva per paura, volendo riabbracciare suo figlio prima della fine del mondo, in un tempo ristretto; alla fine parte serena per rivederlo senza ansie. Il mondo continua. Per loro, come per noi.
