Una persona a me molto cara, con curiosa perfidia, ha commissionato all’Intelligenza artificiale una recensione del mio libro Nietzsche e Marx si davano la mano, uscito di recente. Anzi, ha commissionato ben tre versioni: una positiva, una stroncatura e una che mettesse in luce pregi e difetti dell’opera. Con la velocità sconvolgente che sappiamo, ChatGpt di OpenAi ha sfornato tre letture veramente notevoli, scritte bene, pensate meglio, rispondenti al testo, con ragionate critiche e ragionati elogi. Lasciatemi dire che non ho letto recensioni così valide, e non solo del mio libro. Anche la stroncatura sostiene argomenti e giudizi che non condivido, ma seri, credibili, comunque motivati.
La recensione elogiativa sottolinea lo stile «limpido e incisivo» e il contenuto «audace e chiarificatore» del testo, che «non indulge in semplificazioni né in forzature accademiche», sottrae Marx e Nietzsche alle caricature ideologiche e ne restituisce la complessità e le loro eredità. «Non offre soluzioni facili, ma pone domande essenziali… Un libro consigliato a chi cerca nella filosofia non un rifugio astratto, ma una lente per comprendere il mondo in cui viviamo».
La stroncatura invece accusa il saggio di essere ambizioso ma di risolversi in un esercizio retorico di divulgazione ideologica. La convergenza tra i due autori, a suo dire, viene enunciata ma non dimostrata in modo rigoroso. «Il risultato è una narrazione che procede per analogie, talvolta suggestive, ma spesso arbitrarie» che appiattisce le loro profonde differenze. Lo stile «spesso celebrato per la sua chiarezza, è qui anche un limite. La scrittura, elegante e assertiva, tende a sostituire l’argomentazione con l’aforisma, producendo un effetto di persuasione più emotivo che razionale…La filosofia, più che interrogata, viene narrata».
La lettura in chiaroscuro riconosce all’autore il merito di affrontare il paragone «senza timidezza, con uno stile riconoscibile e una forte personalità intellettuale»; rende accessibili concetti complessi. Ma, di contro, Marx e Nietzsche paiono più figure simboliche che pensatori; prosa seducente, stile brillante e assertivo ma «l’aforisma prende spesso il posto dell’analisi». Il libro peraltro non vuol essere un testo accademico, nota, né pretende di essere neutrale, ma si sporge in un’interpretazione, e questo è il suo pregio e il suo limite. In definitiva è «un’opera di riflessione civile che usa la filosofia come strumento per interrogare il presente». Non mi capita di leggere recensioni così precise negli elogi e nelle critiche. Di solito si leggono sbrigativi giudizi a priori o banali “marchette”. Sono diminuite le letture critiche, anzi le letture in generale, quasi nessuno “perde più tempo” a leggere e comprendere testi altrui; quasi nessuno si espone a esprimere giudizi severi e articolati, solo per amor di verità. Scompare sia la civiltà della critica che la civiltà del commento: di un libro di solito si pubblicano anticipazioni, stralci o interviste all’autore in modo da aggirare la lettura e le mediazioni. È triste ammettere che per avere una lettura onesta e credibile di un libro devi commissionarla all’Intelligenza artificiale. Resta un mistero da dove attinga quei giudizi, e come riesca a fare una sintesi di letture altrui decisamente migliore di quelle che ha usato. Quando arriveremo a dire che pure il libro sarebbe stato migliore se l’avesse scritto l’Ia, allora certificheremo la superfluità dello scrivere, e forse del pensare.
Il tema, come ben capite, non riguarda il mio libro e nemmeno solo i libri in generale. Investe il rapporto tra l’Intelligenza artificiale e l’intelligenza umana, tra algoritmi e senso critico, tra stile, scelte, creatività e tecnologia. Ma alla fine la domanda che resta è una, con infinite implicazioni: l’Ia ci salverà o ci renderà inutili? Ovvero sarà lei a salvare il senso critico, a leggere le opere, a supplire alle mancanze umane, e dunque a compensare all’imbarbarimento progressivo, all’annientamento critico e mentale che stiamo vivendo, oppure sarà lei ad accelerare il declino e la sostituzione dell’umano, atrofizzando le facoltà intellettuali finora usate, se non addirittura a spingere l’umano verso la «barbarie rinnovata», per dirla con Vico?
La tecnologia ci renderà più primitivi e più animali e automi, o spingerà l’intelligenza su percorsi più raffinati e più alti, finora intentati, lasciando i lavori ordinari alle macchine cerebrali? Il dubbio è se sia l’intelligenza critica a scemare, lasciando così spazio all’Ia, o al contrario se sia l’Ia a rendere superflua la mente pensante. Qual è la causa e qual è l’effetto, o è il loro intrecciarsi? Per rendere più chiaro il quesito torno all’esempio concreto della recensione di Ia: dobbiamo esser grati all’Intelligenza artificiale che rimedia a lacune, veti e disattenzioni della civiltà letteraria, compensa le perdite e le umane défaillance e offre risultati preziosi a chi voglia avere solide conoscenze e giudizi; o quel che ci dà, in realtà, è quel che ci toglie, rende superflui i passaggi della lettura, della riflessione, fino a cancellarli nei nostri percorsi mentali? Questione aperta. Intanto, coltiviamo la speranza che l’abolizione o l’estinzione del critico almeno non preluda all’abolizione o l’estinzione dell’autore.
Alla fine i libri si faranno da soli, come le recensioni, e si leggeranno da soli, senza più lettori umani?
