Imbrattare (di nascosto) vagoni della metro ed edifici, pubblici o privati, è un atto vandalico sia contro l’estetica sia contro le regole della convivenza civile.
Con i graffitari o writers che dir si voglia non c’è nulla da fare, è una battaglia che non finirà mai e, come ormai è dimostrato in moltissimi comuni del paese, piccoli o grandi che siano, come si abbassa anche minimamente il livello di repressione di questi atti vandalici, questi ricominciano sia a danno di edifici pubblici sia di edifici privati.
Qui non è in discussione l’estetica e cioè la bellezza o meno di questi graffiti. È noto, infatti, che spesso raggiungono livelli artistici considerevoli, su di essi esistono scritti, cataloghi, sono stati esposti anche in alcune mostre perché certamente contengono una vena artistico-creativa che è fuori discussione. Tant’è vero che alcune città hanno dedicato spazi appositi per questo tipo di espressione artistica se davvero è tale (in tanti casi di artistico non c’è proprio nulla ma solo la voglia di imbrattare illegalmente qualcosa senza sapere neanche il motivo per cui lo si fa). Ebbene, gli spazi dedicati esplicitamente dalle pubbliche amministrazioni ai writers hanno, talvolta, ravvivato spazi abbandonati, in pieno degrado.
Ma quando, come è successo di recente a Milano dove un gruppo spagnolo di writers ha rivendicato i danni prodotti alla linea metropolitana M4, diventa un reato di deturpazione di proprietà pubblica, allora l’estetica non c’entra niente. E nulla cambierebbe se si trattasse di proprietà privata, perché pubblica o privata la proprietà è inviolabile. Mentre i graffiti la violano palesemente, tra l’altro, inducendo le amministrazioni pubbliche o i proprietari a spese non indifferenti spesso non risarcite da chi ha commesso il reato, con profonda ingiustizia. È noto che i writers si chiamano così perché sono nati nei ghetti newyorchesi negli anni Settanta e immediatamente, sempre negli anni Settanta, il fenomeno ha cominciato a diffondersi anche in Italia, in particolare a Milano. È evidente – e tutti lo sanno – che indipendentemente dal valore artistico o meno dei graffiti, il graffitismo, al di là della creatività, contiene una componente di ribellione che si esprime nel non rispetto delle regole come manifestazione di dissenso nei confronti della società e della cultura in cui ciò avviene.
Tutta la tradizione liberale, cioè quella che mette la libertà individuale al centro come valore fondante della stessa convivenza civile, ci insegna che il dissenso, il disaccordo, la discussione o la protesta pubblica, la controversia e anche la discordia (tutte intese in senso pacifico) non sono qualcosa che va in senso contrario alle dinamiche della democrazia ma ne costituiscono l’anima, in qualche modo la ragion d’essere. D’altra parte, tutto ciò è contenuto nella stessa parola democrazia, che a sua volta è composta da due parole greche: demos e kratéo ovvero «potere del popolo». E che democrazia sarebbe una democrazia nella quale non esiste in dissenso? Ma proprio in Grecia questo dissenso, o talora il consenso, venivano espressi all’interno dell’agorà, cioè della piazza, cioè di fronte a tutti, senza maschere, senza nascondimento; in altre parole mettendoci la faccia e non facendolo di soppiatto, magari nelle ore notturne, quando, non visti da nessuno, si fa quel che si vuole andando contro le regole che tutti devono rispettare.
Quindi non è una questione di estetica ma è una questione di legalità e di rispetto della medesima. Potrebbe sembrare oscurantista affermarlo, ma non è così. È il contrario. Vengono dettate non dalla volontà di rimuovere il dissenso ma di «illuminare» il dissenso, cioè renderlo esplicito, alla luce del sole, giocando in prima persona e all’aperto, sotto gli occhi di tutti, istituzioni comprese.
Perché se è vero che il dissenso è l’anima della democrazia secondo la concezione liberale, è anche vero che tale dissenso, sempre secondo la stessa concezione, non può essere lesivo della libertà altrui, ivi compresa la libertà fondamentale che si chiama proprietà privata. Altrimenti non è dissenso bensì azione illegale. E allora sì che la democrazia viene svilita, e se tutti si comportassero in quel modo sarebbe il caos. Questo cosa vuol dire? Semplice, non si può e non si deve mai abbassare la guardia nei confronti di questi signori. È un atto dovuto, se non altro nei confronti dei cittadini che hanno pagato quei beni sfregiati dai graffiti (anche se belli), perché quei beni se sono pubblici sono stati pagati dai cittadini attraverso le tasse e le imposte, se sono privati sono sempre stati pagati da cittadini che li hanno costruiti o acquistati.
