Ha ancora senso parlare di populismo e sovranismo? Negli ultimi tre anni il mondo è cambiato profondamente sia perché sono emersi definitivamente cambiamenti di lungo periodo – come il protezionismo e un paradigma economico diverso da quello neo-liberale – sia perché gli eventi hanno condotto l’ordine globale su nuove tracce, non soltanto la guerra in Ucraina ma un processo di deglobalizzazione che passa per le materie prime, la logistica, la ricerca di sovranità energetica e tecnologica da parte delle aree regionali. Sovranismo e populismo sono due termini vaghi, applicati a tutti i partiti e candidati non centristi e in continuità con il trentennio appena passato, emersi negli ultimi dieci anni e che segnalavano lo scetticismo nei confronti dell’architettura politica, economica ed istituzionale della globalizzazione, una sfiducia generalizzata nei confronti delle élite di governo.
Oggi quell’architettura è completamente cambiata e la politica cambia con essa. Si è passati in un decennio da una domanda di liberalizzazione e apertura ad una domanda di sicurezza e assistenza. L’Europa è l’esempio delle contraddizioni insite in questi cambiamenti. L’Unione Europea è più stretta e solidale, ma anche più dirigista e interventista. Ciò dipende sia dalla risposta alla pandemia, emergenza che ha costretto ad accantonare l’austerity anche su impulso americano dove l’amministrazione Biden ha varato un enorme piano di stimoli, sia dalla pressione dei partiti populisti e sovranisti. Il risultato è che l’argomento che questi ultimi usavano per delegittimare l’Europa e mostrarne i limiti si è tradotto per gran parte in nuove politiche pubbliche europee, come il Qe prolungato e il Pnrr. Al contrario, i partiti centristi si sono trovati ad attuare programmi che pochi anni fa avrebbero considerato populisti e anti-establishment. Anche se quasi nessuno è disposto a riconoscerlo pubblicamente, il sistema europeo si è ibridato, costringendo l’alto – le istituzioni dominate dai partiti moderati di destra e sinistra – a fare ciò che chiedeva il basso – i partiti populisti e sovranisti – al fine di mantenere la sua posizione.
Populismo e sovranismo sono stati combattuti con le loro stesse armi. Nel frattempo, dopo la pandemia è evoluto anche lo scenario internazionale. Il confronto tra Cina e Stati Uniti si è fatto più serrato, con ricadute protezionistiche e l’affermarsi ovunque del mondo occidentale di uno Stato protettore; la finanza ha coltivato l’opportunità di poter creare una nuova bolla per gli investimenti spingendo la transizione ecologica, d’accordo con i governi che vedevano nel green un modo per legittimare nuove forme di spesa pubblica; l’aumento della domanda provocato dalle politiche fiscali, la necessità di materie prime per le nuove tecnologie e il restringimento dell’offerta dei fossili proprio per raggiungere gli obiettivi ecologici hanno creato le premesse sia per la crescita dell’inflazione sia per una “militarizzazione” delle catene di approvvigionamento; è aumentata progressivamente la sovranità sui confini di tutti i paesi occidentali per fronteggiare ondate migratorie sempre più ingestibili; infine è arrivata la guerra, che ha rimodulato l’ordine internazionale recidendo i rapporti orientali (russi ma anche cinesi) dei paesi europei e aggravato la crisi energetica in Europa.
Siamo, dunque, dentro una fase nuova. In questo capitolo, le vecchie categorie non hanno più senso. Non si tratta più di avversare la globalizzazione senza confini o chiedere una redistribuzione dei diritti e dei privilegi, ma di sviluppare nuove categorie in un mondo diverso. Sul piano economico sta emergendo un nuovo consensus a destra e sinistra sul ritorno dello Stato e sugli investimenti, i debiti pubblici si sono così ingigantiti che pensare un ritorno all’austerity nel breve termine è illusorio, allo stesso modo lo è l’idea di uscire dall’euro o far retrocedere l’integrazione sul piano economico.
La realtà impone di riconoscere sia la forza dell’ordine stabilito dalle istituzioni sovranazionali sia i rischi di un ritorno al passato. Inoltre, il vincolo atlantico si è nuovamente ristretto e le possibilità di andare al governo per forze smaccatamente filo-russe e filo-cinesi si ridurranno così come l’Europa, indebolita dalla sua staticità e dalla scarsa disponibilità di materie prime, sarà chiamata ad una convergenza di mercato con gli Stati Uniti. Il conflitto politico ci sarà, le divisioni anche, ma all’interno di queste nuove coordinate in un mondo più regionalizzato, più securitario e meno globalizzato. Il populismo, il sovranismo e anche il vecchio progressismo liberale sono destinati a trasformarsi o sparire nel nuovo scenario. Che tipo di raggruppamenti e ideologie ci aspetteranno è difficile ipotizzarlo, ma le nuove linee di frattura già si scorgono: ruolo dello Stato nell’economia e nella Difesa, estensione dei confini dell’Unione europea, politiche ambientali, gestione delle disuguaglianze economiche e sociali, posizione geopolitica e immigrazione. È su questi nuovi binari che si intrecceranno i conflitti del futuro, troppo diversi dal recente passato per insistere con categorie oramai esauste.
