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Discutere per sempre, costruire mai

Discutere 
per sempre, costruire mai

Il Ponte tra Calabria e Sicilia, ora riesumato da un esponente Cinque stelle, è l’esempio invariabile – con rare eccezioni – dell’attitudine italiana alle grandi opere.


E rieccoci con il Ponte sullo Stretto di Messina. Questa volta, udite udite, a rilanciarlo è nientepopodimeno che il movimento Cinque stelle secondo le dichiarazioni del sottosegretario alle Infrastrutture e alla mobilità sostenibile, E rieccoci con il Ponte sullo Stretto di Messina. Questa volta, udite udite, a rilanciarlo è nientepopodimeno che il movimento Cinque stelle secondo le dichiarazioni del sottosegretario alle Infrastrutture e alla mobilità sostenibile, Giancarlo Cancelleri, leader dei Cinque stelle nell’isola, il quale ha sostenuto che i siciliani gli chiedono perché l’alta velocità arrivi solo fino a Reggio Calabria. E ha anche detto che se vogliamo diventare un Paese più forte dobbiamo colmare il gap tra Nord e Sud. Infine: «Dobbiamo dimenticarci il ponte di berlusconiana memoria con una campata sola. Ora serve un altro progetto».

Francamente io non conosco quale sia l’ideologia o più semplicemente il pensiero politico a cui si rifaccia il Cancelleri, né se appartenga a una particolare scuola architettonica che non prevede i ponti a una campata. Può darsi che sia così e chiedo venia per la mia ignoranza. Altrimenti la cosa è chiara: lo vogliamo costruire secondo l’idea che venne formulata nel 1952 dall’Associazione dei costruttori italiani in acciaio, dopo le precedenti di epoca romana, borbonica e sabauda. Lo vogliamo costruire esattamente come voleva Berlusconi ma, a proposito di campate, vogliamo continuare a campare e fare praticamente quello che facevano o volevano fare gli altri; però poiché siamo al governo e ci vogliamo saldamente rimanere, anche imperiosamente consigliati dall’Elevato Grillo, dobbiamo dire che facciamo cose diverse. Cioè, in due parole: facciamo lo stesso ma proviamo, in barba al ridicolo, ad affermare che faremo cose diverse.

Vi pare che in questo momento di discussione, di crisi profonda dell’economia pubblica e privata, di ricerca affannosa di fondi europei per la ripresa – ivi comprese le grandi infrastrutture – sia da sottolineare che il ponte sarà fatto ma non a una campata? Sarebbe come dire c’è un incendio, chiamate i vigili ma ditegli di cambiare il colore dei loro giubbotti. Cioè il niente. A oggi tra progetti, studi, stipendi, prebende, consulenze e tutte le altre amenità del genere la Corte dei conti ha calcolato che degli 8,5 miliardi di euro che sarebbe costato il vecchio progetto del ponte, ne abbiamo già speso un miliardo fra 1981 e 2013. E non finisce qui, perché è tuttora in corso una vertenza giudiziaria avviata da Eurolink che ha chiesto 700 milioni di risarcimento, avendo vinto l’appalto per la progettazione e la costruzione del ponte.

Dunque, dicevamo che l’idea dell’opera viene rilanciata nel 1952, nel 1955 la Regione Sicilia commissiona uno studio geofisico, nel 1981 è costituita la società Stretto di Messina S.p.A. con dentro Italstat, Iri, Ferrovie dello Stato, Anas, Regione Sicilia e Regione Calabria che deve seguire tutte le fasi del progetto, mai realizzato, fino al 15 aprile 2013, giorno della sua messa in liquidazione. Nel frattempo, Berlusconi rilancia l’idea nel 2003 e nel 2005 Impregilo avrebbe dovuto presentare il progetto definitivo e quello esecutivo; ma nel 2008 i deputati approvano una risoluzione con cui si blocca l’iter. Ci riprova il ministro Altiero Matteoli e nel frattempo la Commissione europea fa sapere che il ponte non rientra tra i progetti prioritari. Nel 2012 Monti lo ferma. Nel 2013 viene chiusa la società dello Stretto; nel 2015 Renzi dice che si farà di certo e che il problema è solo il quando; nel 2019, Nello Musumeci – contro la posizione del ministro pentastellato Danilo Toninelli per il quale non è una priorità – lancia l’idea di un referendum in Sicilia; nel 2020 spunta addirittura l’idea di un tunnel sottomarino.

Capite che siamo nel ridicolo. Non solo per la posizione di un grillino che riscopre il ponte sullo Stretto di Messina dopo anni in cui era stato avversato come un esorcista avversa il diavolo (rappresentato in parte dall’opera ma soprattutto da Berlusconi), ma anche per questo modo di procedere tutto italiano sulle grandi infrastrutture con l’eccezione, più unica che rara, della ricostruzione del ponte Morandi a Genova (si potrebbe includere anche l’alta velocità, se non fosse che dopo la prima tratta sono rimaste incompiute quelle che riguardano il Sud).

All’estero si procede così: si discute molto, si sente anche il parere della popolazione (in gergo tecnico si chiama architettura o urbanistica partecipata), si affida il progetto e non si discute più. Si fa. Qui, da noi, si discute all’infinito, si considera cosa l’opera potrà generare in termini di consenso politico, se ne continua a parlare, si spende un miliardo di euro e poi non si fa. Andate a vedere, per curiosità, come e in che tempi hanno deciso le opere pubbliche a Parigi, a Berlino, a Birmingham, a Barcellona, nella più vicina Lione e rimarrete schifati per la nostra incapacità decisionale.

Purtroppo, questa incapacità significa soldi spesi e Paese lasciato nelle medesime condizioni.

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