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La sicurezza battuta dall’impunità

La sicurezza battuta dall’impunità

Le forze dell’ordine vedono sempre più spesso come i responsabili di atti gravissimi non ne pagano il prezzo. Così, però, c’è la rinuncia dello Stato.


A Palermo un agente della polizia è stato accoltellato da un immigrato. Lo aveva arrestato qualche giorno prima. Daouda Kader Doumbia, ivoriano, 24 anni, senza fissa dimora, in Italia con uno di quei permessi (protezione speciale) che si danno a chi, a rigor di logica, non avrebbe diritto a nessun permesso, era stato fermato. Ma ovviamente era subito tornato libero. E così ha aspettato il poliziotto sotto casa e l’ha colpito con un coltello. Per vendicarsi. Già che c’era ha ferito anche un passante.

Pochi giorni prima, a Fara Vicentino, in provincia di Vicenza, un marocchino vestito con una lunga tunica si è messo a correre per le strade gridando Allah Akbar. Dava segni di squilibrio. Sono intervenute le forze dell’ordine: lui ha sottratto una pistola, ha sparato a un vigile ferendolo gravemente, poi si è avventato sopra per finirlo. Solo per miracolo non c’è riuscito. A questo punto è intervenuto un carabiniere che ha sparato e l’ha ucciso. Ha salvato il vigile, ha evitato una probabile strage. Ora il carabiniere è indagato. Dicono che si tratta di un atto dovuto.

Ricordo questi due episodi, distinti e distanti, eppure così vicini nel loro significato, perché mi pare evidente che dal dibattito pubblico sulla sicurezza manca un tassello fondamentale: dobbiamo ripartire dalle nostre forze dell’ordine. Chiaro, no? Non ci può essere ordine senza forze dell’ordine. Abbiamo migliaia di agenti preparati, coraggiosi, generosi, abbiamo uomini che ogni giorno rischiano la vita per una paga da fame, ma dobbiamo metterli in condizioni di agire. Senza paura. Dobbiamo dare loro mezzi, protezione, sicurezza, dobbiamo dare la garanzia che, se rispetteranno e faranno rispettare la legge, avranno sempre lo Stato dalla loro parte. E non contro di loro.

Oggi, purtroppo, sembra il contrario. Si è diffusa l’impressione, infatti, che lo Stato stia dalla parte dei delinquenti. Se un agente arresta un vagabondo pericoloso, quest’ultimo viene subito rimesso fuori e così lasciato libero di organizzare la vendetta: chi glielo fa fare a quell’agente, o ai suoi colleghi, la prossima volta di procedere con le manette? Se un carabiniere interviene e sventa una strage, anziché ricevere una medaglia riceve la visita della Procura che lo pone sott’indagine: la prossima volta chi glielo fa fare a quel carabiniere, o ai suoi colleghi, di intervenire con la stessa prontezza? Ci sarà un’esitazione, una riflessione. Magari il delinquente sparerà per primo. Ucciderà il carabiniere e altre persone. E tutti si chiederanno: com’è possibile?

È possibile perché stiamo permettendo tutto questo. Stiamo permettendo che le forze dell’ordine abbiano le mani legate, o almeno (ed è grave uguale): che sentano di averle legate. Le forze dell’ordine infatti hanno sempre più la sensazione che non serve arrestare qualcuno, perché tanto torna libero. E hanno la sensazione che è meglio evitare di fermare qualcuno, anche se è pericoloso, perché se bisogna usare le maniere forti si finisce indagati. Magari pure accusati di essere aguzzini. Chi viola la legge ha sempre una protezione, chi difende la legge no. Chi difende la legge è indifeso. Gli vengono dati mezzi spesso scadenti, stipendi da vergogna. E se poi viene ucciso, il suo assassino non finisce in carcere. Come è successo a Trieste.

Era il 4 ottobre 2019. Alejandro Augusto Stephan Meran, 33 anni, di origine dominicana, arrestato per rapina, sottrae la pistola a due agenti, mentre è in Questura, spara e li ammazza. I video lo inquadrano mentre esce dal palazzo pistole in pugno, cerca di rubare una volante, minaccia i passanti. Sembra lucidissimo nella sua violenza assassina. Ebbene: è stato assolto in primo grado e poi anche in appello. Non farà nemmeno un giorno di carcere. Vizio di mente. È stato giudicato incapace di intendere di volere. Gli hanno dato trent’anni al Rems, residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza per essere curato. Scommettiamo che guarirà in fretta? E che potrà riprendere la sua vita di prima a differenza dei due agenti?

Ogni tanto, quando i politici si dimenticano l’armocromista e le polemiche sulle vacanze, nel nostro Paese si riaccende per un attimo il dibattito sulla sicurezza. Si promettono misure, interventi, pugni duri che poi, puntualmente, non si verificano. Domandiamo: non sarebbe meglio permettere alle forze dell’ordine di fare bene il loro mestiere? Non sarebbe l’intervento più serio e strutturale (come si usa dire oggi)? Dare loro mezzi e strumenti (anche di legge)? Non sarebbe giusto aiutare chi ogni giorno affronta i delinquenti? Non sarebbe l’ora di far capire che lo Stato sta dalla loro parte e non da quella dei criminali? Il governo di centrodestra batta un colpo. Se ce la fa.

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