Si riaccende il dibattito sulla necessità di finanziamento ai partiti. Purtroppo, al di là della qualità di ciò che propongono…
Il finanziamento pubblico ai partiti? Pure quello? Davvero c’è un «consenso diffuso», come scrive il Corriere della Sera, per ripristinarlo? Davvero le forze politiche non vedono l’ora di tornare a riempire le loro casse con i soldi dei contribuenti? E davvero pensano così di salvare la democrazia, recuperando la fiducia dei cittadini? Sembra impossibile eppure è bastata un’indiscrezione per ringalluzzire il palazzo, risvegliando antiche brame mai sopite. Oddio, l’indiscrezione non è da poco: a pronunciarsi a favore di quel finanziamento, infatti, è stato niente meno che Stefano Patuanelli, capogruppo al Senato dei Cinque Stelle, il movimento nato e cresciuto proprio per tagliare i costi della politica. Che cosa l’ha convinto a cambiare idea, gli hanno chiesto. E lui: «L’esperienza». Che ci volete fare? Così va il mondo: l’occasione fa l’uomo ladro, e l’esperienza fa il politico con il finanziamento pubblico.
Va detto, a onore del vero, che Patuanelli, sconfessato dal suo leader Giuseppe Conte, ha provato a innestare la marcia indietro, cercando di salvare il salvabile. Ma non è l’incoerenza di chi è diventato casta urlando contro la casta che qui ci interessa. Dopo aver visto l’ex presidente della Camera Roberto Fico passare dal rifiuto dei privilegi (arrivò a Montecitorio in autobus) alla ricerca dei medesimi (s’è fatto dare un ufficio da ex presidente con tutti i comfort annessi) e dopo aver visto l’ex leader del M5s passare dal taglio delle poltrone all’accaparramento delle medesime (si può forse tornare a vivere da persona normale, senza 16 mila euro al mese?), non ci stupiamo più. Ma soprattutto pensiamo non valga la pena perdere altro tempo con simili personaggetti che, per mero interesse, hanno tradito la loro gente e la loro parola.
Ci vogliamo invece fare altre due domande. La prima è la seguente: davvero, come dice Patuanelli, il finanziamento pubblico è necessario per garantire la democrazia? Davvero versare soldi nelle casse dei partiti è l’unico modo per non avere partiti corrotti? Come è noto il finanziamento pubblico fu introdotto nel 1974, dopo il celebre «scandalo petroli». La motivazione fu proprio questa: diamo contributi, così i partiti non ruberanno più. Infatti: è nata Tangentopoli. I partiti incassavano i soldi dei contribuenti e continuavano a rubare come prima, anzi più di prima. Così nel 1993 un referendum abolì il finanziamento pubblico, ma i partiti, sempre in nome della democrazia, aggirarono la volontà popolare e si assegnarono finti rimborsi elettorali, che rimborsi elettorali non erano, ma contributi mascherati. E ancora più ricchi di prima. Che cosa non si fa per salvare la democrazia…
Nel 2013, sotto la minaccia della sollevazione popolare contro i costi della politica, il governo Letta abolì la legge-truffa dei rimborsi elettorali e istituì il finanziamento volontario, cioè il 2 per mille tutt’ora in vigore, che si fonda su un sistema, questo sì, davvero democratico. E cioè: i cittadini finanziano i partiti se questi li sanno conquistare con le loro idee, con le loro proposte, dimostrando di svolgere qualcosa di utile per la collettività. Ovviamente i partiti non sono stati in grado di conquistare una beata mazza di nulla. Ma anziché interrogarsi su questo fallimento, e sul fatto che la metà degli italiani manco va più a votare, che fanno i big del palazzo? Ovvio: pensano di reintrodurre il finanziamento. Che è un po’ come estorcere denaro a chi ha detto esplicitamente che non te lo vuol dare. Sempre in nome della democrazia, s’intende.
Ora è chiaro che se passa la giustificazione che vanno pagati i partiti altrimenti essi rubano, allo stesso modo dovremmo regalare un concessionario a tutti i ladri d’auto (altrimenti le rubano) e una banca a tutti i rapinatori che altrimenti andrebbero ad assaltare lo sportello. Un po’ esagerato no? Anche perché in nome della democrazia, forse, prima bisognerebbe chiedere cosa pensano gli italiani sull’argomento. Lo so che oggi suona strano, ma a noi riesce difficile, sarà colpa degli studi classici o della mancanza di fantasia, immaginare di salvare la democrazia calpestando la volontà del demos, cioè del popolo.
E a questo punto arriva la seconda domanda: davvero la lotta contro i costi della politica è da buttare alle ortiche? Davvero bisogna tornare indietro su tutto? Pensateci: i vitalizi tagliati sono già stati ripristinati, le Province saranno presto restaurate, gli stipendi degli eletti sono tornati a crescere, il taglio del numero dei parlamentari è messo in discussione e ora si ripropone pure il finanziamento pubblico ai partiti. Dunque era tutto sbagliato, tutto da rifare? Sbagliavano quei cittadini che chiedevano una politica più ricca di idee che di quattrini da sperperare? Davvero ora l’Italia è pentita di quelle richieste? Davvero quelli che oggi occupano i palazzi pensano di poter ripristinare l’ancien regime? Davvero pensano di poter passare da Beppe Grillo al marchese del Grillo, dal Vaffa Day al «voi non siete un cazzo», tornando agli sperperi di prima come se niente fosse? Se davvero pensano questo sono degli illusi. E io, nel mio piccolo, farò di tutto per svergognarli.