Appena nato, il suo partito sembrava destinato a vita breve. Oggi è stimato sopra il 15%. Certo, le verifiche si fanno solo a urne aperte. Tuttavia, un dato è indubbio: della piccola Giorgia in futuro si dovrà tenere conto.
Quando nacque, pochi giorni prima del Natale di otto anni fa, Fratelli d’Italia sembrava destinato a una vita breve. Fondato da Ignazio La Russa, Guido Crosetto e Giorgia Meloni, il partito pareva destinato a fare la fine di tutti i gruppi nati da una scissione della casa madre, ovvero sparire. Così è accaduto fin dalla prima Repubblica con le costole della destra e della sinistra e dunque non c’era motivo di ritenere che «Gnazio» e i suoi fratelli potessero avere un destino diverso. Quando alle prime elezioni, quelle in Europa, il neonato movimento si contò, scoprì di non arrivare neppure al 4 per cento, soglia minima per accedere al Parlamento di Bruxelles. Tuttavia, i transfughi del Popolo della Libertà, fuggiti dalla casa di Silvio Berlusconi per non votare la fiducia a Mario Monti e alle sue politiche di rigore, non si persero d’animo.
Nonostante il partito fosse lontano dalle percentuali raggiunte in passato sia dal Movimento sociale di Giorgio Almirante che da quelle conquistate da Gianfranco Fini dopo che la storia della destra italiana era stata risciacquata nelle acque di Fiuggi, gli scissionisti non smobilitarono. Forse ritenevano fosse meglio comandare in un movimento del 4% che fare i camerieri in uno che avesse più del 20. Fatto sta che il gruppuscolo scelse di stare all’opposizione e di non appoggiare alcun governo che non fosse quello di centrodestra. Certo, rimanere fuori dalla stanza dei bottoni era un rischio, perché significava contare meno di una cippa ed essere costretti ad anni di opposizione. Tuttavia, bisogna riconoscere che il gruppo dirigente non traccheggiò, ma scelse da subito la via della minoranza.
Per gente che tutta la vita era stata esclusa dall’arco costituzionale con l’accusa di essere eredi di quel crapone di Benito Mussolini non dev’essere stato facile. Per la stragrande maggioranza della stampa italiana, Fratelli d’Italia era il partito dei nostalgici, una formazione che pur non indossando il fez e senza sfilare con labari e fasci littori, era fuori dalla storia. Per di più, il neonato schieramento aveva scelto di farsi rappresentare in Parlamento non dai vecchi volponi della politica, ma da una ragazzina che all’attivo aveva solo un periodo da ministro delle Politiche giovanili. Sì, all’inizio tutti pensarono che Giorgia Meloni sarebbe stata mangiata in un sol boccone dai gerarchi in camicia nera. In realtà, i colonnelli di Gianfranco Fini, quelli che dominarono la scena all’inizio del decennio del Duemila, furono a uno a uno degradati dalla «ragazzina», la quale in pochi anni si è ritrovata padrona indiscussa di Fratelli d’Italia.
Destra protagonista, la corrente più forte di Alleanza nazionale, si è divisa in vari tronconi. C’è chi è rimasto con Silvio Berlusconi (Maurizio Gasparri), chi se n’è andato con Gianfranco Fini, suicidandosi con il contributo di Mario Monti (Italo Bocchino), e chi ha scelto di provare a rifondare la destra. A distanza di otto anni dalla nascita di Fratelli d’Italia, il leader incontrastato del partito è dunque lei, la pischella, una che fino al giorno prima non era ritenuta all’altezza, forse anche per questioni di statura. I giornali della sinistra, quelli sempre pronti a ergersi a paladini delle donne, contro ogni discriminazione di genere, l’hanno via via definita in vari modi, tutti in negativo, arrivando a nominarla Regina di Coattonia, quasi che venire da una famiglia popolare fosse un handicap per essere ammessi nei circoli culturalmente più elevati. Sul suo capo sono piovute le accuse di xenofobia, di aver sfoggiato l’armamentario politico più retrò e aver guidato rivolte anche in posti in cui non è mai stata. Sì, Giorgia Meloni deve aver trangugiato amaro per mesi, anzi, per anni, sopportando un bullismo giornalistico senza decenza.
Tuttavia, oggi, pur avendo preso in mano un partito che in principio sembrava avere più il valore di una testimonianza che quello dei numeri, è a capo di un movimento stimato sopra il 15%, una soglia che Alleanza nazionale raggiunse una sola volta, cioè prima dei voltafaccia di Fini. Oggi la leader di Fratelli d’Italia se la gioca: ha scavalcato Forza Italia, doppiandola, e tallona il Movimento 5 Stelle, per il posto di terzo partito. Si dirà che per ora questi numeri sono virtuali, in quanto le elezioni non sono alle porte e i sondaggi spesso si sono rivelati poco veritieri. Certo, ragioniamo per ipotesi, come quando si parla del consenso del presidente del Consiglio: le verifiche si fanno solo a urne aperte. Tuttavia, un dato è sicuro: della piccola Giorgia in futuro si dovrà tenere conto. Il che è già una novità.
Disprezzata e irrisa fino a ieri, Meloni rappresenta nella storia repubblicana la prima donna leader di un partito. Se si esclude Emma Bonino, che a parte l’exploit del 1999 però non è mai andata lontano dal 2%, lei è la prima gonnella che si sia accomodata in un mondo dominato da politici con i pantaloni. Potrà piacere o no, ma è un fatto. Anni e anni di femminismo e di rivendicazioni per ottenere, con una legge, le quote rosa e poi il cambiamento lo ha fatto, da sola e senza il conforto della grande stampa, una quota nera. In questo numero di Panorama spieghiamo come tutto ciò sia stato possibile, chi c’è dietro questo fenomeno e chi lo appoggia. Ma soprattutto, che cosa Giorgia Meloni intenda fare per il futuro. Buona lettura.
