Durante la pandemia sono cambiati i modi di interagire nelle arene digitali e ne sono nate altre, con logiche inedite. Ai commenti scritti, alle chat e alle foto, si è aggiunta una centralità: la voce. Neppure i video sono come prima ai filmati brevi, si preferiscono i lunghi contenuti in diretta.
Sarà il desiderio di un intrattenimento che abbia uno spessore e una durata, il tentativo di spezzare la boria unidirezionale delle serie tv per trovare altre forme d’interattività, il bisogno urgente di sensazioni accessorie di contatto, fatto sta che i social network più in forma al momento riflettono bene il periodo storico. Non sono, né possono essere, i soliti noti. Hanno altri nomi, funzioni ripensate, modalità d’uso differenti.
Le lunghe obbligatorie permanenze domestiche, la mobilità ridotta e azzoppata, hanno scalfito lo strapotere delle storie Instagram fugaci, reso meno splendente il fulgore dei video flash su TikTok, fatto avvertire come insufficiente il diluvio di parole sulle bacheche di Facebook. La brevità, la semplificazione, finanche l’evasione nella banalità, non sono più abbastanza. Meglio l’approfondimento. All’attrattiva della differita, alla comodità dell’on demand, si affianca il bello della diretta, il fascino del qui e ora; l’immagine non sarà diventata periferica, però non è l’unica centralità possibile. Si recupera il gusto di chiudere gli occhi, almeno di tenerli lontano da uno schermo.
Una somma di caratteristiche che si ritrovano nelle stanze virtuali di Clubhouse, lo Speakers’ Corner contemporaneo, l’applicazione in cui si va a dire la propria opinione e sentire quella degli altri. In cui si discute, con la voce, di tutto: sport e bellezza, cibo e viaggi, identità di genere e parità salariale. Si replica, senza repliche: è un agglomerato gigantesco di piccole stazioni radio che trasmettono live, dove chiunque può avere il doppio ruolo di conduttore e ascoltatore, fruitore del dibattito e suo protagonista.
È il social del momento: è passato dalle briciole alla massa, dai 2 mila download dello scorso settembre ai 994 mila di dicembre, dai 2,4 milioni di gennaio ai 10 di febbraio, come ha riassunto il magazine economico Fast Company. Una progressione furiosa e in apparenza poco significativa, se paragonata alle grandi piattaforme che hanno sfondato il miliardo di utenti. Una statistica che invece guadagna possanza se si considera che Clubhouse è disponibile solo su iPhone e per cooptazione: ogni utente ne può invitare pochi altri, dando vita a un flusso esponenziale che non smette di allargarsi.
«Colma un vuoto evidente. Dà la sensazione di ritrovarsi al bar, in un momento in cui al bar, in gruppo, non ci si può andare. La voce, poi, restituisce un senso d’intimità» ragiona Vincenzo Cosenza, chief marketing officer della società di influencer marketing Buzzoole e tra i più quotati esperti di social network in Italia.
Clubhouse non è neutro né innocente, «ripete le dinamiche di altre arene dove i leader fanno proseliti e guadagnano follower», però è un rifugio per chi non vuole essere travolto da emoji, gif e meme idioti. Un tetto in sé precario, giacché Twitter, Facebook e dintorni hanno già preso a insidiarlo e copiarlo: «Si tratta di un sistema facilmente clonabile dal punto di vista tecnologico. Presto, la voce sarà una modalità aggiuntiva, consolidata su tutte le principali piattaforme». Già lo è nei podcast, che ora attraggono pure gli youtuber; assieme alle videochiamate trionfa su Discord, app per comunicare gettonatissima tra giovani e adolescenti, che al solito cercano, invano, di fuggire dalle piazze frequentate dagli adulti.
L’altro boom riguarda i video lunghi, trasmessi in diretta: c’era una volta la televisione, adesso tocca a Twitch, di proprietà di Amazon. Qui, Bobo Vieri si attarda per due ore a commentare il campionato, Fedez sfora le cinque giocando ai videogiochi, perfetti sconosciuti diventano fenomeni: uno dei più famosi è un altro gamer, «Pow3r», con quasi 1,5 milioni di seguaci. L’elemento social vive sulla destra dello schermo, dove scorre un diluvio di commenti: qualcuno viene letto in diretta, altri generano un botta e risposta tra gli spettatori. È un modo per partecipare e sentirsi parte di una community. Come essere seduti, tutti insieme, su un enorme divano. Una maniera per avvicinarsi, almeno virtualmente, a celebrità e influencer, inevitabili miti contemporanei.
Su OnlyFans, piattaforma che la propensione al fanatismo l’ha messa nel nome, ci sono per esempio già 1 milione di creatori che dispensano foto e video esclusivi, anche a pagamento, ai loro follower, un pubblico potenziale di 100 milioni di persone. All’inizio trionfavano i contenuti vietati ai minori, poi con la salita a bordo di star dello sport o della musica quali Cardi B, DJ Khaled e il rugbista Chris Robshaw, più chef e designer assortiti, si sono aggiunti backstage di eventi, filmati di allenamenti, frammenti di vita quotidiana. Un servizio di messaggistica dà, ai più fortunati, la possibilità di ricevere una risposta dal proprio beniamino. A tutti gli altri la possibilità di provarci. «Una naturale evoluzione dei social network, un loro ormai necessario prerequisito» commenta Cosenza, autore del libro Marketing aumentato (Apogeo, 2021) «è integrare opportunità di monetizzare dedicate ai talent che li popolano».
Nel calderone della ricerca dell’inedito rientra pure la voglia di movimentare le abitudini. Uscire dai soliti recinti digitali, in un presente in cui lo spettro perenne dei lockdown tiene tutti in scacco. Ecco Triller, che strizza l’occhio a TikTok rendendo semplice, pure ai totali neofiti, creare un video musicale convincente; Signal, alternativa a WhatsApp per chat e videochiamate con privacy di livello militare; Dispo, che come scriveva pochi giorni fa il New York Times, «sta decollando». È parecchio simile a Instagram, però a scoppio ritardato: le foto scattate al suo interno sono disponibili la mattina successiva, così le si posta con calma. E ci si gode meglio il momento mentre lo si sta vivendo, anziché distrarsi per pubblicare storie o applicare filtri durante un pranzo o davanti a un paesaggio.
Quanto al futuro, Cosenza preconizza un ingresso prima lento, poi massiccio, della realtà aumentata e virtuale: «I contatti saranno in un ambiente non bidimensionale, nel quale immergersi e interagire a distanza con gli altri». Probabilmente è ciò che avverrà, si spera in parte. L’auspicio, in questa caccia al nuovo, è che torni ad affermarsi la dinamica più vecchia di tutti: parlarsi e guardarsi di persona, non soltanto in streaming. Incontrarsi sotto la luce del giorno, non tra i riflessi di un display. Ridere assieme, meno tramite le faccine. La vita reale è il social network che ci manca di più.
Clubhouse
È il social di cui tutti parlano e dove ci si ritrova per parlare: anziché pubblicare foto e scrivere commenti, si utilizza la voce per esprimere la propria opinione. Oppure si resta ad ascoltare quella degli altri.
Discord
Un club virtuale, dove incontrare gli amici o altri iscritti che condividono passioni in comune con le nostre. Si entra dentro canali tematici, si partecipa con la voce oppure mostrandosi in video. È molto usato dai giovanissimi.
Dispo
Combatte l’immediatezza di Instagram. Trasforma il telefono in una vecchia macchina fotografica: le immagini da postare sono disponibili il giorno dopo lo scatto, come quando bisognava aspettare per sviluppare il rullino.
OnlyFans
Nato soprattutto per ospitare contenuti per adulti, oggi accoglie celebrità della musica, dello sport, della moda. Li si può seguire per vedere immagini, video e contenuti esclusivi, sia gratis che a pagamento.
Signal
Un sistema per scriversi, fare telefonate o videochiamate in sicurezza e in piena privacy. Le comunicazioni vengono tutte crittografate e si possono inviare messaggi che scompaiono in automatico.
Triller
Uno degli emuli più accreditati di TikTok. Al centro rimane il concetto di creare, modificare e condividere video musicali. O di mettersi a scoprire quanto lontano riesca a spingersi la creatività altrui.
Twitch
Ricorda YouTube, però i video di qualsiasi argomento, dal calcio ai videogiochi, sono trasmessi in diretta. Così scatta la componente social: li si commenta in una chat pubblica, che scorre in contemporanea con le immagini.