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Il restauro del retablo di Tuili ne ha recuperato la brillantezza dei toni

Il restauro del retablo di Tuili ne ha recuperato la brillantezza dei toni

A Tuili, in Sardegna, c’è un’opera di un grande e sconosciuto pittore spagnolo, che racchiude straordinarie influenze pittoriche e geografiche. Un restauro lo ha valorizzato, conservandolo fortunatamente nel luogo originale.


Tra gli splendori di Sardegna, nella bellissima città di Tuili, in provincia di Cagliari, abbaglia, stretto in una cappella della chiesa di San Pietro apostolo, il polittico più integro e prezioso del Maestro di Castelsardo. Poesia nascosta nella semplice chiesa, in un paese piccolo e lindo, con l’armonia delle case e dei discreti palazzi signorili, dove ancora si percepisce l’orgoglio di conservare, come una presenza divina, la misteriosa e trascendente luce di un capolavoro. Meglio, di un creazione di Dio calata nell’uomo.

Un dipinto entusiasmante di un grande e sconosciuto pittore spagnolo, probabilmente di Saragozza, che si misura con i più grandi italiani del suo tempo. Un tempo perfetto, poi, se apre «il secolo d’oro» dell’arte europea, in una data tonda: 1500. È in quell’anno che i coniugi Giovanni e Violante Santa Cruz, signori di Tuili, sottoscrivono l’atto notarile per il pagamento del retablo terminato.

Per avere il pittore, i proprietari di una poeticissima rocca al culmine della Marmilla – la zona nel centro-sud della Sardegna – chiedono un finanziamento di 200 lire a un facoltoso amico. In particolare Violante rinuncia a tutti i privilegi che riguardano le donne e a quelli relativi alla dote.

Dialogano con le cose del cielo, vogliono il dipinto che testimoni per loro oltre la vita, con santi come idoli variopinti, la cui luce vinca la notte del tempo in cui loro non vogliono scomparire. Per Giovanni e Violante parla una macchina travolgente e musicale che erompe nello spazio della cappella. E loro, in lei, vivono.

Lo schema decorativo è quello tipico dei retabli, dove nello scomparto centrale, abbagliante, nella «pessa migana», è la Vergine in trono fra angeli musicanti, e nello scomparto superiore la Crocefissione. In quelli laterali, splendenti, nella «pessa forana de ma squerra», San Michele e San Pietro; nella «pessa forana de ma dreta», San Giacomo e San Paolo. Nella predella momenti della vita di San Pietro e nei «polvaroli» undici figure di santi.

Il retablo di Tuili è opera del Maestro di Castelsardo, un pittore spagnolo trasferito in Sardegna dove lavorò, in particolar modo nella località di Castelsardo, nel nord dell’isola. Si è proposto anche di identificarlo con Gioacchino Cavaro (padre o zio di Pietro), pioniere della Scuola di Stampace, con Giacomo da Milano, ma anche con il maiorchino Martì Torner, o con il sardo stesso Giovanni Muru, che si firma nel polittico di Ardara. Sue opere si trovano in Sardegna, Spagna (Barcellona), Corsica (Tallà), Inghilterra (Birmingham, Madonna con bambino, porzione del retablo di Santa Rosalia a Cagliari), a Cagliari, Sassari, Castelsardo, Codrongianos e Ardara.

Il Maestro, che viaggiò tra Catalogna, Baleari, Sardegna e Italia centro-settentrionale, dimostra di possedere profondamente i canoni della cultura umanistica. Nella sua esperienza si legge la conoscenza di Antonello da Messina, del mondo fiammingo, con aperture al Rinascimento lombardo, in particolare Zanetto Bugatto, e a quello ligure, soprattutto a Carlo Braccesco, e a quello dell’Italia centrale, a Bartolomeo della Gatta, cui si aggiungono le innovazioni e l’originalità della nascente scuola di Stampace.

La decisione di mantenere l’opera nel suo luogo d’origine, piuttosto che trasferirla in un museo, si è rivelata una scelta saggia. L’unica volta che il retablo fu portato fuori (per un restauro nel 1914) andarono perse le cornici (che pare si trovino ancora nei locali della Pinacoteca di Cagliari in un deposito ), e venne riportato in Marmilla dopo lunghi anni. È stato restaurato più volte, a partire dal 1914, a Tuili. Il più recente intervento, eseguito a Torino, risale invece al 2018.

L’opera è dunque una straordinaria macchina scenica, di travolgente coinvolgimento devozionale ed estetico. Il termine «retablo» è spagnolo (deriva dall’espressione latina retro tabula altaris, cioè tavola collocata dietro l’altare) e indica una grande pala d’altare, composta da diverse tavole collegate fra loro da cornici e fregi architettonici. L’insieme delle tavole è circondato dagli elementi di «polvarolo» (sorta di cornice aggettante agganciata obliquamente alle tavole dipinte, così chiamata perché la sua funzione era quella di proteggerle dalla polvere).

Il Retablo di San Pietro di Tuili è certamente l’opera più matura dell’ignoto maestro, e mostra compiutamente la fusione tra la cultura quattrocentesca italiana e il gusto per il dettaglio propriamente fiammingo. Sono indiscutibili i riferimenti anche alla pittura umbra e toscana nei paesaggi e nella prospettiva del trono e dell’archivolto cassettonato con la costruzione prospettica dei modelli rinascimentali italiani. È certamente questo retablo il più significativo di tutta la Sardegna.

Il nome convenzionale di Maestro di Castelsardo fu attribuito all’artista all’inizio del secolo scorso e si deve a Enrico Brunelli (1907). La piena consapevolezza dell’importanza del pittore si deve invece a Renata Serra, impeccabile conoscitrice, e a Corrado Maltese. L’intera letteratura critica è stata riesaminata da Marco Antonio Scanu (2017), che si applica in particolare proprio all’opera di Tuili, l’unico retablo del maestro giunto completo fino ai giorni nostri. Lo studioso propone la nuova ipotesi della provenienza dell’anonimo artista dalla capitale dell’Aragona, Saragozza, mentre la quasi totalità degli studi precedenti aveva individuato piuttosto la Catalogna (con influssi valenzani e maiorchini) come ambito di formazione del maestro.

Lo spostamento dell’asse tradizionale della ricerca, dalla Catalogna e dal Valenzano all’Aragona, è stato reso possibile grazie a un’accurata indagine documentaria condotta su archivi sardi e aragonesi che hanno evidenziato nomi di illustri personaggi coinvolti nella commissione o nel pagamento delle opere del maestro. Tra questi il notaio Giovanni Carnicer, aragonese che redige l’atto per il pagamento del retablo, commissionato appunto da Giovanni e Violante Santa Cruz, che il 4 giugno 1500 accendono il fatidico censo annuo perpetuo di 20 lire, corrispondente al capitale di 200 lire.

Il recente restauro ha recuperato la splendida tonalità dei verdi che costituiscono la nota cromatica dominante dell’opera e che rappresentavano il punto di più evidente debolezza della pellicola pittorica. Infatti la presenza di un importante sollevamento e ingiallimento della cromia, probabile conseguenza di un legante troppo oleoso, aveva completamente occultato la brillantezza dei toni e la loro gradazione. La luce di Dio parla della vita degli uomini.

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