Tanto lo stress di chi, in pandemia, ha lavorato nella prima linea dell’ospedale. Ma non dimentichiamo la sofferenza dei pazienti, spesso trattati in modo brusco e sbrigativo, ben prima del Covid.
Un medico intervistato da un quotidiano nazionale ha affermato che dopo mesi passati vestiti come palombari nelle corsie degli ospedali, tra i letti dei contagiati, nelle terapie intensive, spesso addirittura nei corridoi (soprattutto in alcuni ospedali del Sud) l’impatto psicologico, sia per loro sia per gli infermieri, è stato devastante. «Diventi intollerante» ha affermato «verso chiunque faccia richieste o si lamenti, i pazienti ti danno fastidio, li trovi insopportabili». Sono parole dure come pietre e meritano qualche riflessione che proviamo a fare senza alcun spirito di critica animato da pregiudizi, ma tentando di considerare la tragicità della situazione in cui gli operatori sanitari, a ogni livello, si sono trovati a operare.
Partiamo dalle condizioni reali, che potremmo definire disastrose. Sono fatti che non vanno dimenticati e ci aiutano a capire, sia pure in parte, le affermazioni del medico. Ricordate le mascherine irreperibili anche per loro? Ricordate la mancanza di camici adeguati per chi doveva curare i contagiati, sovente gravi, dal Covid? Ricordate il numero dei posti insufficienti nei reparti di terapia intensiva? La mancanza di operatori sanitari a causa del ritardo e delle inefficienze con cui furono indetti i concorsi per avere nuove unità operative che, alla fine, arrivarono solo nell’ottobre 2020?
Ricordate ancora l’assenza di linee guida per la gestione del coronavirus perché in Italia, non in un Paese sottosviluppato, non c’era da vent’anni un Piano pandemico nazionale? Ricordate i turni estenuanti cui furono sottoposti i medici e infermieri, testimoniati da quelle due fotografie, rimaste nella memoria di tutti? E l’infermiera stremata addormentata sul suo computer e quella con il volto tumefatto per aver indossato mascherine e visiere di protezione per un numero di ore oltre il sopportabile?
Mentre la Protezione civile alle ore 18 di ogni giorno, con una capacità di divulgazione inferiore a quello che avrebbe potuto gestire uno studente al primo anno di Scienza della comunicazione, come una campana che suona a morto ci ricordava il numero di vittime e contagiati, e mentre il presidente del Consiglio Conte uno e Conte due, a scadenza plurisettimanale, verso l’ora di cena, a reti unificate, ci diceva che tutto era sotto controllo e parlava di fiumi di soldi che sarebbero stati riversati sugli italiani in difficoltà, ebbene, mentre avveniva tutto questo negli ospedali si viveva la situazione descritta. E, lo specifichiamo, descritta solo in parte, ma in realtà molto più grave e complicata non solo per il personale sanitario – medici e infermieri – ma, di conseguenza, anche per i poveri pazienti.
Per non parlare della gestione della campagna vaccinale targata Domenico Arcuri. Meno male che a un certo punto, per iniziativa di Mario Draghi, è arrivato il generale Francesco Paolo Figliuolo, altrimenti a questo punto, forse, sarebbe stato vaccinato solo il 20% degli italiani. Non bisogna dimenticare che tra i sanitari non ci sono solo quelli ospedalieri, ma anche i bistrattati medici di base che avrebbero potuto svolgere un ruolo fondamentale di prevenzione e cura. Se in molti lo hanno fatto, è potuto avvenire solo grazie alla loro professionalità e al rispetto severo della deontologia professionale, accollandosi la responsabilità delle terapie e non potendo contare, fino a tutt’oggi (ed è uno scandalo) su un protocollo che consentisse loro di seguire le linee guida.
Fatte queste considerazioni, bisogna però farne un’altra. Nelle regole e nelle consuetudini delle professioni sanitarie è contemplato anche il momento emergenziale. Certo, il governo e le regioni devono metterli in grado di poter operare e ciò, in molti casi, non è avvenuto. Ma c’è un ma che non possiamo sottacere: se la psicologia di chi opera in corsia è stata devastata, bisogna anche pensare alla psicologia e all’umanità dei poveri pazienti. Troppo spesso abbiamo assistito, in passato e in assenza di pandemia, a comportamenti di medici e infermieri, ma soprattutto i primi che, sia nei loro studi che in ospedale, mostravano comportamenti sbrigativi, di poche parole, a volte persino bruschi.
Magari saranno una minoranza ma è una minoranza che fa molto male a pazienti e malati che dipendono da un camice bianco per sapere qualcosa della loro salute, di quella dei loro cari e cosa ne sarà del loro futuro. E questo è inammissibile perché chi cura un corpo non può non sapere che in quel corpo abita una psiche, un’anima o uno spirito che dir si voglia. Di tutto ciò occorre essere consapevoli perché una cura fisica che non sia anche una cura della persona nel suo complesso è una terapia monca che contraddice il giuramento di Ippocrate che, da oltre venti secoli, i medici sono tenuti a onorare.