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Il lockdown è strategia da governi deboli. La scienza non è politica

Il lockdown è strategia da governi deboli. La scienza non è politica

La scienza al comando non ha dato buona prova di sè. Poiché non ci sono dati che possono sostenere o sostituire il coraggio politico. Una crisi richiede sempre decisioni che sappiano tenere insieme l’irrazionale e il razionale della maggioranza dei cittadini, specie in uno scenario in cui le certezze scientifiche sono scarse o in divenire. Ogni mese in più di restrizioni significa la necessità per lo Stato di impiegare maggiori risorse economiche per sostenere l’occupazione e le attività sottoposte a chiusura.


Nell’ultimo anno abbiamo sempre sentito parlare di decisioni politiche prese in base ai dati e alle evidenze scientifiche. Tuttavia, dopo tredici mesi di chiusure sono ancora dubbie, e spesso oscure al pubblico, le prove degli esperti a supporto della strategia delle chiusure. Negli scorsi giorni, il Presidente del Consiglio Mario Draghi ha informato la nazione che le restrizioni resteranno in vigore fino al primo maggio. Sul punto, però, ha ragione da vendere il professor Luca Ricolfi, poiché ciò che sappiamo per certo è che il lockdown duro del marzo-maggio scorso è una strategia che ha nettamente frenato la circolazione del virus. Mentre la seconda e la terza ondata, nonostante spostamenti limitati, coprifuoco e chiusure, hanno preso piede lo stesso. Dobbiamo concludere dunque che il lockdown duro sia l’unica soluzione come sembrano fare certi virologi?

No, perché il lockdown è la strategia dei governi deboli, che hanno rinunciato a gestire con efficienza il proprio apparato amministrativo. Non si tratta soltanto dei tempi nella somministrazione dei vaccini, ma anche e soprattutto della messa in sicurezza del trasporto pubblico, del potenziamento della medicina territoriale, della riorganizzazione delle scuole. Tutte questioni su cui tanto il governo precedente quanto quello attuale, con la complicità delle Regioni, sembrano aver rinunciato a prendere decisioni forti. Si continua ad imporre il coprifuoco penalizzando le attività commerciali e turistiche, a limitare gli spostamenti, a sacrificare i ristoranti in tutte le fasce orarie senza specifici dati a supporto di tali provvedimenti. Nel frattempo, però, si continuano a prendere mezzi pubblici affollati e le cure a domicilio stentano a funzionare. Ci si domanda per quanto tempo potrà reggere ancora quella parte di Paese costretta ad “incasso zero” per così lungo tempo e soprattutto quali saranno le reazioni politiche future di un popolo chiuso in casa per decreto per oltre un anno. Non è facile fornire una risposta, ma incognite e rischi si moltiplicano per le forze politiche. È sempre più difficile per i cittadini comprendere i criteri delle chiusure e perché nel frattempo i servizi pubblici non si siano attrezzati in mondo congruo per il contenimento e la gestione del contagio. Inoltre, ogni mese in più di restrizioni significa la necessità per lo Stato di impiegare maggiori risorse economiche per sostenere l’occupazione e le attività sottoposte a chiusura. Ciò implica un aumento di incertezze e danni per i titolari e, al tempo stesso, uno sforzo ulteriore per il governo che sarà costretto a varare maggiori scostamenti di bilancio. Senza contare l’inversione della logica nelle categorie da vaccinare: prima si sarebbero dovuti mettere al riparo sanitari, over 70, e soggetti fragili per poi passare alle categorie più esposte al pubblico e da ultimo a tutti coloro che possono lavorare in smart working.

Ad ogni modo si punta molto sulla realizzazione di una rapida campagna di vaccinazione, ma è evidente che al momento il problema della disponibilità di dosi per tutti i cittadini europei non è affatto risolto. La somministrazione vaccinale potrebbe stentare a decollare o potrebbero presentarsi nel frattempo nuove varianti del Covid-19. Eventi da scongiurare, ma che oggi non possono essere del tutto esclusi dagli analisti e che qualora si presentassero non potranno trovare a lungo la solita risposta delle restrizioni. Uno scenario che fa emergere due potenti contraddizioni su cui la classe politica dovrebbe mettere la testa. La prima è la fragilità dell’applicazione del paradigma scientifico alle questioni politiche. Per oltre un anno le decisioni politiche relative alla pandemia hanno poggiato su task force e consulenti di scienziati, ma le varie ondate e le misure spesso inefficaci e scarsamente motivate hanno mostrato quanto sia difficile applicare questo metodo positivista alla politica. La scienza al governo non ha dato buona prova di se. Poiché non ci sono dati che possono sostenere o sostituire il coraggio politico. Una crisi richiede sempre decisioni politiche che sappiano tenere insieme l’irrazionale ed il razionale della maggioranza dei cittadini, specie in uno scenario in cui le certezze scientifiche sono scarse o in divenire.

L’altra contraddizione è il fallimento intrinseco dello Stato. Il governo nell’ultimo anno è lievitato sul piano burocratico, sanitario ed economico. Il pubblico al momento occupa il 60% del prodotto interno lordo. Eppure gran parte dei problemi che affrontiamo sono riconducibili proprio a malfunzionamenti dello Stato. I prossimi mesi ci diranno se ed in quali aree del perimetro pubblico si potrà andare verso una maggiore efficienza, ma è chiaro che il governo diventerà più un peso ed un impaccio alla ripresa che un sostegno reale se non saprà collaborare con i privati e mettere al centro della propria politica economica l’industria ed il commercio.

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