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La sinistra attacca Piantedosi e non i teppisti

La sinistra attacca Piantedosi e non i teppisti

Pd, Avs e media amici muti sui gruppi di antagonisti che, per protestare contro il Remigration summit, hanno vandalizzato Milano. I paladini della libertà, invece, se la prendono col Viminale, reo di aver garantito la sicurezza e lo svolgimento di un evento pubblico

Proprio non ce la fanno, questa faccenda stravagante della libertà di parola non riescono a concepirla, è totalmente estranea alla loro mente, la rifiutano a livello epidermico. Da mesi e mesi cianciano di democrazia in pericolo, di ritorno del regime e di intolleranza. Però hanno passato gli ultimi giorni della settimana scorsa a cercare di impedire lo svolgimento di un convegno – il Remigration summit – poiché non ne gradivano le tesi. Gli albergatori contattati per ospitare l’evento venivano inondati da mail minacciose e costretti a tirarsi indietro, il sindaco di Milano, Beppe Sala, ha di fatto proibito che la manifestazione si svolgesse nel suo feudo, altri sindaci hanno debitamente preso le distanze. Nonostante tutto, il summit si è svolto lo stesso – a Gallarate, in provincia di Varese – e non ha creato alcun problema, non ha danneggiato la vita democratica della nazione e non ha turbato i deboli di cuore. Tutto tranquillo e rispettoso. 

A fare danni, a disturbare la quiete pubblica e rovinare l’arredo urbano hanno invece provveduto i sempre cortesi rappresentanti dei centri sociali che sabato si sono ritrovati a piazza Cairoli, a Milano, per protestare contro il Remigration summit. Che gli antagonisti si sarebbero riuniti e sarebbero stati bellicosi era più che noto: lo avevano annunciato con giorni di anticipo. E in effetti tutto è andato secondo copione: caschi neri, fazzoletti a coprire il viso, proverbiali scontri con le forze dell’ordine, fumogeni e cagnare di varia natura.

Insomma, ciò che è previsto dal manuale per il pomeriggio del perfetto sobillatore antifa. Roba che chiunque fosse davvero interessato alla democrazia e al quieto vivere dovrebbe condannare o per lo meno sdegnare. Ma una larga fetta della politica italiana e la rappresentanza mediatica di quest’ultima a prendere le distanze non riescono. Non si pretende, per carità, che gli amici progressisti alzino le barricate in favore della libertà di espressione e dichiarino – come sarebbe giusto e naturale – che un convegno si può e si deve svolgere anche se loro non ne apprezzano i contenuti (per altro bisognerebbe ascoltarli, questi contenuti, prima di berciare contro di essi). No, non pretendiamo tanto, non ci aspettiamo che la sinistra pratichi quel liberalismo che a lungo ha preteso di frequentare. 

Però, se non altro, gradiremmo che i sinistrorsi mostrassero un minimo di decenza e spendessero due parole di denuncia dell’atteggiamento violento e intollerante dei centri sociali. Anzi, abbassiamo perfino l’asticella: ci accontenteremo di un rispettoso e dignitoso silenzio, pur imbarazzato e imbarazzante. Ma nemmeno questo si riesce a ottenere. Giornali e politici non ha trovato di meglio da fare ieri che prendersela con il governo italiano, in particolare con il ministro Matteo Piantedosi

«In democrazia non bisogna avere paura di nulla, anche di idee che possano apparire molto forti, molto controverse, molto discutibili anche, non condivise in qualche modo. Io da ministro dell’Interno ho l’obbligo di garantire la libera espressione del pensiero da parte di chiunque», ha detto giustamente Piantedosi. Il quale ha pure notato – sempre giustamente – che a Milano si sono dati appuntamento «i soliti professionisti del disordine, che con il pretesto di manifestare contro il Remigration summit, hanno provocato scontri contro le forze di polizia presenti. Ai militari feriti», ha concluso il ministro, «e a tutti gli uomini e le donne in divisa va il mio più convinto sostegno. Operano ogni giorno con coraggio e professionalità, anche in contesti estremamente complessi».

Che cosa ci sia di sbagliato in queste frasi è molto difficile da comprendere. Un ministro deve garantire il rispetto dell’ordine pubblico e deve fare in modo che tutti possano esprimere le proprie idee senza censure, violenze e impedimenti di altra natura. Ma secondo Elly Schlein «è grave che ci sia anche nel governo italiano chi dà sponda a raduni di questo tipo». Per Nicola Fratoianni invece è «vergognoso che un ministro degli Interni non abbia nulla da dire sull’accolita di un gruppo di neonazisti e neofascisti sul nostro territorio». 

Non un fiato, da sinistra, sulle intemperanze antagoniste. Se ne deduce che per l’opposizione i centri sociali detengano il diritto di mettere a ferro e fuoco le città, menare la polizia e spargere caos, mentre chiunque altro non sia titolato a parlare, a meno che non professi idee compatibili con il programma di Avs o del Pd. Questa regola vale anche per i media che di solito esprimono grande preoccupazione per le sorti degli Stati liberali, quei giornali che sfoderano corposi editoriali contro Trump e la tecnodestra ma sorvolano sulle discriminazioni (vere) messe in atto dalla parte avversa. 

Repubblica ieri titolava indignata su Piantedosi che «difende il Remigration summit» (e che avrebbe dovuto fare, impedire una riunione pubblica ed educata in una sala regolarmente pagata?). Persino Avvenire si concentrava sul «sostegno» di Roberto Vannacci alla manifestazione. 

Il fatto che ci siano stati a Milano «scontri fra polizia e antagonisti» è stato liquidato con serenità, come qualcosa di assolutamente normale, un avvenimento privo di relazioni con la sinistra istituzionale. Pd e compagni sono scesi in piazza a Milano, non lontano dal luogo in cui si sono riuniti i picchiatori dei centri sociali, dunque avallavano la protesta e anzi l’hanno favorita. Ma ciò non rileva. Perché il punto è sempre lo stesso: tutti sono liberi di parlare finché le opinioni restano nel perimetro stabilito dai progressisti. I quali, non avendo idee, temono come la peste coloro che ne hanno qualcuna. In fondo, è solo una questione di invidia che uno psicologo appena decente potrebbe risolvere.

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