Il caso «Giambruno» ci dice che sembra che mettere in guardia i giovani, ricordando i pericoli della vita, scateni indignazione. Davvero un mondo al contrario
Ma si può ancora dire «state attente»? O «state attenti»? Si possono ancora invitare ragazzi e ragazze a non buttarsi senza precauzione nelle situazioni scabrose? Si può ancora insegnare loro che ubriacarsi e drogarsi non va bene? Che può essere pericoloso? Si può ancora dire, come hanno sempre detto le nostre mamme e le mamme delle nostre mamme, che è meglio non accettare passaggi da sconosciuti e tanto meno aggirarsi assieme a loro a notte fonda nei quartieri più bui e desolati? Si può ancora dire che, potendo scegliere, è meglio stare alla lontana da certe situazioni? Si può ancora dire «fai attenzione», «non correre in auto», «non infilarti in un sottopassaggio deserto alle due di notte», «non dare confidenza a chi non conosci» e «attenzione a chi ti affidi quando hai bevuto più del solito e il tuo cervello non connette più». Si può, insomma, insegnare ai nostri figli che la prudenza non è un a malattia della pelle ma una virtù?
A seguire il dibattito degli ultimi giorni sembrerebbe di no. Basta infatti che qualcuno (conduttore tv, ospite, opinionista, ecc) sollevi una domanda del genere e subito parte il coro indignato: «Volete colpevolizzare le vittime». O in versione Fratelli Grimm: «Volete dire che se il lupo è cattivo la responsabilità è di Cappuccetto Rosso». No. Ovviamente no. Le vittime non vanno mai colpevolizzate, e Cappuccetto Rosso può stare tranquilla: non esiste alcun tipo di situazione che non dico giustifichi ma nemmeno spieghi un gesto orrendo come lo stupro, e neppure altri gesti appena un po’ meno orrendi ma comunque sempre molto criminali come un’aggressione o una rapina. Chi viene stuprato o stuprata, ovviamente, non ha colpe. Né, ovviamente, chi viene aggredito, aggredita, rapinato o rapinata. Non ci piove. Ma, detto ciò, per l’amor del cielo, cerchiamo di tornare con i piedi sulla terra: c’è qualcuno di voi che non s’è mai sentito dire dai genitori, oppure non ha mai detto ai figli, «stai attento» o «stai attenta»? E perché dovremmo smettere di dirlo proprio ora che le situazioni pericolose si moltiplicano nelle nostre città?
Mia figlia Sara, 23 anni, vive da sola a Torino e frequenta un corso universitario in una zona della città piuttosto, diciamo così, turbolenta. Ogni tanto le capita di fare tardi, ci sono lezioni che finiscono a sera più che inoltrata. Ogni volta che la sento, le ripeto: «Stai attenta». Le dico: «Non uscire da sola». Le suggerisco: «Guardati intorno». Mia figlia Camilla, 20 anni, usa i treni regionali per andare all’università a Milano. Capita spesso di leggere di violenze e aggressioni a bordo. E così, ogni volta che mi capita, le ripeto: «Stai attenta». «Non stare nello scompartimento da sola». «Guardati intorno». Sto forse colpevolizzando le mie figlie? Sto pensando che se succedesse qualcosa sarebbe colpa loro? Le sto ritenendo responsabili di eventuali violenze che (Dio non voglia) potrebbero accadere? Certo che no. Così come non credo di colpevolizzarle se dico loro che non bisogna mai stordirsi con droghe e alcol, e che per di più farlo in presenza di sconosciuti può diventare molto pericoloso. Sbaglio?
Certo: ci vogliono pene dure per chi stupra e aggredisce. Condanne severe da fare rispettare. Ma per fermare quest’orrore temo non basti. Bisogna anche smetterla di perdonare ai ragazzi quella che oggi sta diventando una pericolosa quotidianità. Non può passare l’idea che una serata sia riuscita solo se c’è lo sballo. Non può passare l’idea che il divertimento sia solo stordimento. E abuso di alcol e droghe siano routine. Non si possono tollerare le scene che si vedono regolarmente fuori dai locali con giovanissimi trasformati in zombie, che barcollano e poi crollano, incapaci di controllare i loro cervelli e tanto meno i loro istinti. Non bisogna colpevolizzare le vittime, certo. Ma se, per non colpevolizzare le vittime si assolve tutto ciò che le circonda, non si riuscirà mai a venire a capo di un problema che già era grande. E ora, dopo lockdown eccessivi e segregazioni assurde, sta diventando insostenibile.
In questo mondo al contrario (cit. generale Vannacci) sembra che ogni eccesso sia diventato normale, e che la normalità sia invece eccessiva. È normale stordirsi e denudarsi con il primo che passa; non è normale avvertire: «Stai attento a comportarti così». Non può essere. Va detto. Senza offendere nessuno, tanto meno Cappuccetto Rosso. Ma bisogna dirlo. Così come bisogna dire che è stato criminale trasformare il porno in routine e OnlyFans in una moda, aver sdoganato la mercificazione del corpo e aver eletto Pornhub a fonte primaria di conoscenza sessuale, come se tutto ciò che si vede lì, violenze e ammucchiate, fosse la regola. Bisogna dire ai ragazzi che quel che si vede lì (e vedono sempre prima: cominciano a sette anni, dicono le ultime ricerche) non è la realtà. È una deformazione mostruosa e pericolosa della realtà. Dalla quale bisogna stare attenti, per l’appunto. Sempre se si può ancora dire.