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I ministri sottovuoto

I ministri sottovuoto

L’editoriale del direttore

Il governo guidato da Giuseppe Conte è un guscio vuoto. Con un enorme nulla al centro.


Per spiegare qualcosa che è andato storto in italiano si dice che non tutte le ciambelle vengono con il buco. E tuttavia ci sono anche ciambelle che sono tutto buco, con niente intorno, una specie di guscio vuoto, con un enorme nulla al centro. Ecco, questa è l’immagine che mi viene in mente quando penso al governo guidato da Giuseppe Conte.

C’è il nome: Consiglio dei ministri. Ci sono i portavoce e i portaborse. Ci sono le spese e le pompe. Ma poi non c’è il resto, cioè non ci sono i ministri, nel senso che sì, sono lì al ministero, hanno un nome e un cognome, ma poi scompaiono perché oltre al nome e al cognome non c’è altro. Non c’è la capacità politica, non hanno la competenza della materia che è loro affidata, non sanno letteralmente che fare. Tralasciamo Giuseppe Conte, di cui ho già scritto più volte ciò che penso, e prendete uno come Roberto Gualtieri, recuperato all’ultimo momento nell’armadio delle cose vecchie di Massimo D’Alema.

Prima nessuno sapeva chi fosse e quali esperienze avesse per sedersi alla scrivania che fu di Quintino Sella. Oggi, a distanza di nove mesi dal suo arrivo a via XX settembre, sappiamo che non era nessuno e non aveva nessuna esperienza, e nella situazione più dura per l’Italia dopo la guerra continua a essere nessuno e a non avere esperienza. Le funzioni non sono completamente paragonabili a quelle del passato perché un tempo il ministero dell’Economia era diviso in tre, ossia Tesoro, Bilancio e Finanze.

Tuttavia provate a pensare che, dalla nascita della Repubblica, su quelle poltrone si sono seduti Luigi Einaudi, Ezio Vanoni, Bruno Visentini, Beniamino Andreatta, Franco Reviglio, Francesco Forte, Vincenzo Visco, Franco Gallo, Luigi Spaventa, Guido Carli, Piero Barucci, Lamberto Dini, Rainer Masera, Carlo Azeglio Ciampi, Giulio Tremonti. E quando non erano tecnici, professori di economia, manager o banchieri, erano leader politici come Ugo La Malfa, Giulio Andreotti, Giovanni Malagodi, Amintore Fanfani, Giuliano Amato, Antonio Giolitti, Rino Formica o Emilio Colombo, tanto per restare ai più noti.

Certo, ogni tanto nel mazzo della Prima Repubblica spuntava anche qualche scartina, ma nessuna paragonabile a Gualtieri, al punto che l’attuale ministro è riuscito nell’opera giudicata impossibile da tutti i bookmaker del mondo di far rimpiangere Pier Carlo Padoan, che almeno sapeva di che cosa parlava.

E che dire del ministero del Lavoro? Oggi lo guida una signora di nome Nunzia Catalfo, esperta di disoccupazione più che di occupazione. Ma prima di lei c’erano stati personaggi come Amintore Fanfani, Benigno Zaccagnini, Giacomo Brodolini, Gino Giugni, Carlo Donat-Cattin, Tina Anselmi, Gianni De Michelis, Rino Formica, Franco Marini, Tiziano Treu, ossia personaggi con un curriculum politico e professionale lungo un chilometro, mentre quello della Catalfo si esaurisce in poche righe: diplomata in un liceo scientifico e specializzata come «orientatore e selezionatore del personale. Progettista e tutor di percorsi di e-learning e stenotipista». Niente altro, se non una collaborazione con i centri dell’impiego. Una precaria, insomma.

Ma il meglio lo dà Lucia Azzolina, ministro dell’Istruzione, tra le più giovani collaboratrici di Giuseppe Conte. Ha due lauree, in filosofia e giurisprudenza, oltre a una specializzazione come insegnante di sostegno. E tuttavia sembra non riuscire a mettere a frutto nemmeno uno dei molti corsi frequentati. Nonostante l’esperienza sindacale e la pratica forense accumulate negli anni, in tv balbetta, nei convegni incespica e quando deve spiegare che scuola sarà quella che verrà, nessuno ne capisce niente.

Anche nel suo caso deve confrontarsi con il passato, e se si esclude Valeria Fedeli, la ministra dell’Istruzione senza istruzione, gli altri sono gente del calibro di Aldo Moro, Riccardo Misasi, Giovanni Spadolini, Luigi Berlinguer e Tullio De Mauro. Per non dire di tre futuri presidenti della Repubblica come Antonio Segni, Oscar Luigi Scalfaro e Sergio Mattarella, che magari non piaceranno a tutti, ma dei quali non è lecito dubitare quanto a esperienza e competenza. Ebbene, oggi, dopo questo parterre di stelle del firmamento politico ecco una Cinque stelle che in nove mesi non è riuscita neppure a farci capire che cosa vuole fare e, nell’ora più buia dell’istruzione, con le scuole chiuse e gli studenti a casa collegati a un computer, fa ogni giorno confusione su esami e lezioni, riuscendo perfino a inventare le frequenze scolastiche a giorni o settimane alterne, come le targhe delle macchine ai tempi dell’austerità.

Per tornare alle ciambelle, Gualtieri e la Catalfo sono senz’altro un buco senza intorno niente. Ma la Azzolina è forse il vuoto più vuoto che ci sia. Anzi, il sottovuoto spinto. Fosse a un esame, farebbe scena muta e dopo la sua interrogazione i professori o la commissione non potrebbero che rimandarla a casa con un giudizio senza appello: inclassificabile.

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