Fino a poche settimane fa erano perfetti sconosciuti. Nessuno sapeva chi fosse Maria Rita Gismondo e ancora a gennaio il grande pubblico ignorava l’esistenza di Walter Ricciardi.
Eppure all’improvviso sono diventati volti familiari che la mattina appaiono sulla stampa e la sera in tv, dove i giornalisti li interpellano come oracoli. Giovanni Rezza, Ilaria Capua, Roberto Burioni, Fabrizio Pregliasco, Silvio Brusaferro, Massimo Galli per restare ai prezzemolini che imperversano nei talk show: le loro opinioni ormai sono più consultate dell’oroscopo di Branko.
Quotidianamente sfornano previsioni e pareri su quando finirà l’emergenza, sulle misure da mettere in campo per mantenere il distanziamento sociale, sui dispositivi di sicurezza, sulle cure e le origini dell’epidemia. Perfino il presidente del Consiglio pende dalle loro labbra, al punto che nell’ultima conferenza stampa serale, quella in cui annunciò l’allentamento del lockdown, ossia il parziale ritorno alla normalità e la riduzione degli arresti domiciliari a cui erano costretti gli italiani, per giustificare alcune decisioni, ovvero il divieto di riaprire le chiese, Conte li ha chiamati in causa. «C’è stata un’interlocuzione con gli esperti» ha spiegato usando il linguaggio aulico dell’uomo di diritto. «Ci affidiamo alla scienza e seguiamo ciò che ci dice». In pratica voleva chiarire che prima di vietare le messe, ma anche il taglio dei capelli e la riapertura dei caffè, ne aveva discusso con i virologi e alla fine avevano deciso loro, decretando che gli ingressi ai luoghi di culto e a quelli di cura della persona rimanessero vietati, al pari dei bar. Sì, alla fine dell’interlocuzione con l’autorità politica, la parola definitiva l’ha avuta l’autorità scientifica, con il risultato che qualcuno ha ipotizzato la trasformazione dell’Italia da democrazia a «virolocrazia», brutto neologismo per spiegare come ormai le scelte politiche non siano nelle mani delle istituzioni, cioè di Parlamento e governo, ma in quelle dei «cosiddetti esperti».
Se uso «cosiddetti» non è per diminuirne l’autorevolezza scientifica, ma perché il primo a metterne in dubbio la competenza è stato il professor Massimo Galli, primario dell’ospedale Sacco di Milano, uno dei centri che, insieme allo Spallanzani di Roma, è tra i più specializzati in Italia nella lotta contro i virus. Sì, Galli ha attaccato i virologi di pronto intervento tv, spiegando che «c’è stata un gran bel po’ di confusione anche da parte di coloro che avrebbero dovuto avere una funzione di esperti e che hanno detto una serie di cose non solo profondamente inesatte, ma anche molto nocive». Sin dal principio, quando ancora l’epidemia non era arrivata in Italia, professori e ricercatori hanno dispensato una quantità di opinioni e spesso in contrasto tra loro, nonostante avessero più competenze di laboratorio che epidemiologiche e cliniche. Come ha documentato il nostro Antonio Rossitto, c’è chi ha dichiarato che non c’era motivo di preoccuparsi del coronavirus perché era poco più grave di un’influenza. Chi ha sconsigliato l’uso delle mascherine e negato l’utilità dei tamponi e dei test sierologici. E anche chi ha criticato le trasfusioni di plasma ricavato da malati guariti dal Covid-19. Sì, a rileggere adesso quelle frasi, alcune delle quali pronunciate poche settimane fa, quando l’epidemia ormai dilagava e aveva già fatto migliaia di morti, si capisce che i cosiddetti esperti sono sicuramente esperti nell’uso del mezzo televisivo, dove infatti soggiornano in maniera quasi stanziale, ma un po’ meno della materia di cui discettano. Sarà perché il virus è bastardo e non si hanno certezze definitive, sarà perché trascorrendo molte ore negli studi televisivi molti di loro non hanno tempo per documentarsi a dovere, sta di fatto che al grande pubblico non solo hanno fornito informazioni contraddittorie, ma spesso le hanno date completamente sbagliate. E tuttavia questo non li ha indotti a una maggior prudenza nel dichiarare. Anzi. Alcuni di loro sono divenuti delle vere e proprie presenze fisse nei talk show, personaggi consolidati dei palinsesti tv e non solo. C’è chi, come Maria Rita Gismondo, la studiosa che per prima sentenziò che il coronavirus era poco più grave di un’influenza promettendo di regalarsi un ciondolo a forma di Covid-19 da portare al collo, ora scrive ogni giorno una rubrica sul Fatto quotidiano. C’è chi come Roberto Burioni è regolarmente ospite della trasmissione di Fabio Fazio, in onda su una rete del servizio pubblico. C’è poi chi, come Ilaria Capua, pur essendo emigrata in Florida è come se fosse ancora in Italia, perché a prescindere dal fuso orario, è in collegamento perenne con un gran numero di canali tv.
L’epidemia non ha solo fatto guadagnare notorietà al gruppo di «cosiddetti esperti»: in qualche caso ha fatto loro conquistare anche importanti consulenze. Per riaprire e mettersi al riparo da critiche e contravvenzioni molte aziende si sono infatti rivolte ai virologi da salotto televisivo. Così Burioni, per esempio, è stato ingaggiato da Gucci, dalla Ferrari e pure dalla Fca, ossia dalla Fiat: nominato sul campo consulente per la sicurezza contro il Covid-19. Sì, se fino a pochi mesi fa erano oscuri medici, oggi i virologi brillano nel firmamento mediatico, politico e perfino industriale. Dal loro giudizio dipendono le nostre convinzioni, ma soprattutto le decisioni del governo e la vita delle aziende. L’ex ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble, oggi presidente del Bundestag, un tipo conosciuto per l’asprezza dei giudizi, una decina di giorni fa se l’è presa con chi affida il futuro della comunità alle decisioni ispirate a un criterio meramente scientifico. Tranquilli, non ce l’aveva con Burioni o la Gismondo. Voleva dire che la scienza va ascoltata, ma poi le scelte devono essere politiche. Perché è vero che i politici sbagliano, ma anche gli scienziati non sono da meno. E quando la vanità, televisiva, tracima anche l’esperto rischia di esserne travolto.
