Gli Stati Generali sono una perdita di tempo, una dimostrazione di totale assenza di idee, una carnevalata. Una nazione non si governa con un seminario, ma assumendo decisioni
Anni fa venni invitato a condurre una giornata degli Stati Generali a Milano. Era il 2015 e in vista dell’Expo nel capoluogo lombardo si erano riunite le menti più brillanti per discutere di come «nutrire il Pianeta». Gli organizzatori avevano messo in calendario per la mattinata una trentina di interventi e ricordo che toccò a me stabilire che, per rimanere nei tempi e chiudere per l’ora di pranzo, ogni relatore non potesse parlare più di 5 o 6 minuti. La mia fu una corsa a ostacoli, perché nessuno dei presenti si dimostrò in grado di rispettare la regola. A Carlin Petrini, fondatore di Slow food, ricordo che strappai letteralmente il microfono. In pratica, sul palco del teatro in cui si svolse l’incontro, mi dovetti trasformare in una specie di buttafuori, anche senza averne il fisico.
La giornata trascorsa a dirigere il traffico di opinionisti in vista della grande esposizione alimentare mi è tornata in mente in questi giorni. Allora pensai che la passerella di persone che potevano disporre di ampie scorte alimentari e in pochi minuti discutevano di «come sfamare il mondo» fosse una presa in giro. Oggi penso che parlare di un piano di rinascita dell’Italia con gente che non vede come stanno morendo imprese e attività commerciali sia ugualmente una presa in giro.
Forse sarò vittima di un pregiudizio, dovuto all’esperienza poco positiva che vi ho raccontato. Tuttavia, la stessa idea di Stati Generali provoca in me una sensazione fortissima di perdita di tempo. Riunire le teste più brillanti, come ha voluto fare il presidente del Consiglio, non significa trovare le idee più intelligenti per risollevare il Paese, ma solo dare la sensazione di farlo. Ecco, se dovessi fare una sintesi di ciò che penso, quella di Giuseppe Conte è un’inutile carnevalata. Politici, industriali, sindacalisti ed economisti: tutti lì per giorni a dire la loro. Ma una nazione non si governa con un seminario, per quanto autorevole. Una potenza economica seppure in declino come l’Italia si governa assumendo decisioni, non discutendo, né organizzando appuntamenti assembleari. Paradossalmente, fare gli Stati Generali non è una dimostrazione di ricerca di idee, ma – ahinoi – della totale assenza di idee di chi, per il ruolo che esercita, dovrebbe averle. Che cos’è uno statista? Secondo la Treccani è la persona che ha una profonda esperienza, teorica e pratica, dell’arte di governare uno Stato. Lo statista si può circondare di collaboratori e utilizzare quanti consiglieri desidera. Ma è lui, solo lui, a dover prendere quelle decisioni che per mandato gli toccano: nei momenti migliori e in quelli peggiori.
È fuor di dubbio che a Conte sia toccato il momento peggiore, tuttavia gli è anche capitata un’occasione rara nella vita delle persone: essere scelto dal caso per guidare un Paese. L’avvocato di Volturara Appula non aveva un partito, né si era candidato alle elezioni, ma il destino ha voluto che da semplice docente di diritto si trovasse nel posto giusto al momento giusto e così, da due anni, siede a Palazzo Chigi. Sulle prime il suo ruolo è stato quello di fare andare d’accordo le due anime di governo, quella grillina e quella leghista, ma dopo il ribaltone dello scorso agosto la sua figura è diventata centrale, perché liberatosi dai vincoli del Movimento e trasformatosi in garante dei rapporti con il Pd, Conte ha voluto in questi mesi ballare da solo. Certo, in principio l’epidemia lo ha aiutato, perché non c’è nulla come un’emergenza che cementa un Paese attorno a chi lo guida. Probabilmente sarebbe stato così anche se al posto suo ci fosse stato un altro, tuttavia il premier all’inizio ha dato la sensazione di avere le idee chiare sulle cose da fare. Ha chiuso il Paese, forse un po’ in ritardo, ma lo ha fatto. Ha disposto misure rigide. Ha annunciato piani per curare l’Italia. Il problema è che, passata l’emergenza e superata la paura, sta mancando ciò che sarebbe necessario: un’idea di rinascita. Conte si è circondato di decine, anzi centinaia di consulenti, ma non è servito a nulla, perché ciò che quelli hanno prodotto, poi è stato buttato via. Quindi ha deciso, all’insaputa di tutti, di organizzare gli Stati Generali. Come chi non sa che cosa fare si circonda di tante persone nella speranza che siano loro a saperlo, il presidente del Consiglio ha schierato l’equipaggio per fare l’ammuina.
Una grande parata per nascondere una piccola manovra. No, non è con le passerelle o con i dibattiti che l’Italia uscirà dalla crisi in cui il coronavirus l’ha precipitata. Abito a Milano e ogni giorno percorro un pezzo di città a piedi guardandomi attorno e quotidianamente conto il numero di saracinesche abbassate: ristoranti, negozi, alberghi. La capitale economica del Paese sembra in certi suoi angoli una città al capolinea. Come spiega a pagina 48 l’amministratore delegato di Conad Francesco Pugliese, altro che Stati Generali, è con quel Paese che non riesce a tirar su la serranda che Conte dovrebbe parlare per capire lo stato generale dell’economia. Artigiani, commercianti, professionisti, industriali: gente che sgobba da mattina a sera e conosce i problemi reali. Non serve una passerella con Ursula von der Leyen o con Massimiliano Fuksas: che ne sanno una politica che vive a Bruxelles o un archistar della vita reale di chi lotta con il fisco e con le banche? No, l’unica passerella utile è quella in mezzo alla gente. Ma come si è visto qualche giorno fa, quando si è avventurato in mezzo alla folla di via del Corso e sono partiti fischi e accuse, il presidente del Consiglio ha fatto marcia indietro. Meglio affrontare gli Stati Generali che il Paese reale.
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