I calciatori permalosi, i leader di partito che fanno finta di stare al gioco, i social che fomentano l’odio e inducono all’autocensura. Riflessioni, ricordi e denunce nel racconto di uno dei comici più sofisticati e divertenti del panorama italiano. Che, dal 31 agosto, vedremo su Rete4 accanto al giornalista Nicola Porro nella trasmissione Quarta Repubblica.
In un tele-mercato fiacco e senza scossoni, il colpo d’inizio stagione l’ha messo a segno Nicola Porro, strappando Gene Gnocchi a Giovanni Floris per averlo nel cast fisso di Quarta Repubblica, al via dal 31 agosto. «Ma vorrei superare la classica copertina comica, è inflazionata» dice a Panorama l’attore, che vive il passaggio dal salotto radical chic de La7 a quello pop di Rete4 come l’ennesima novità professionale da battitore libero. «Voglio sfidare il politicamente corretto e l’ipocrisia dei social» spiega. Anche a costo di far arrabbiare qualcuno, com’è successo qualche tempo fa con Giorgia Meloni.
Come l’ha convinta Porro a passare a Quarta Repubblica?
Con Nicola c’era stato un abboccamento due anni fa, ma scelsi di rimanere a La7 da Floris. Quest’anno mi è scaduto il contratto, ci siamo sentiti e ci siamo trovati d’accordo su alcune cose: a cominciare dal possibile superamento della consueta copertina. Mi sembra un po’ passata di moda.
Che cosa farà?
Vorrei andare oltre il classico francobollo e, in questi giorni, stiamo ragionando su qualcosa di diverso, magari su uno o due interventi. Mi solletica l’idea di interagire con Porro in un curioso contraddittorio ironico. Oltre che con gli ospiti, ma quello dipenderà dalla loro disponibilità.
Politici e satira nei talk. I sorrisi sono di facciata o si divertono davvero?
Qualcuno si diverte, altri fanno sorrisi di circostanza perché gli hanno spiegato come stare al gioco. Al politico conviene ridere, o quantomeno abbozzare, perché così si dimostra superiore alla presa per il culo.
Chi incassa meglio: quelli di destra o quelli di sinistra?
Salvini è un buon incassatore, un altro che sta allo scherzo è Zaia. Bersani è uno che ride di gusto, idem Bonaccini che si è divertito molto quando l’ho imitato. D’Alema, invece, sorride sotto i baffi, ma si capisce che la cosa non gli piace. Gentiloni è un altro che, secondo me, non gradisce più di tanto. Da battitore libero, rivendico il diritto di non risparmiare nessuno.
Rimostranze ne ha avute?
No, a parte quando scoppiò il caos per una battuta sulla Meloni: continuava a postare sui social la foto del maiale che scorrazzava per Roma a caccia di rifiuti e dissi che quel maiale si chiamava Claretta Petacci. La battuta fu strumentalizzata: non ho mai detto che la Petacci era un maiale e se nella foto della Meloni ci fosse stato un colibrì avrei fatto la stessa battuta. Una persona mediamente intelligente può cercare di capire una freddura: non dico riderci su ma almeno comprenderla.
Con la Meloni si è chiarito?
No.
Querele?
Maradona si arrabbiò perché l’avevo accostato al cartello di Medellin durante una puntata de La Domenica Sportiva. Credo che la querela non l’abbia mai depositata ma solo minacciata.
È difficile fare satira mentre risale la cortina del politicamente corretto?
Per un comico sono tempi strani, tutto viene vivisezionato. Quando c’è stato il caso di Giovanna Botteri, pensai a una parodia con un finto fratello della giornalista, una cosa innocua, ma ho lasciato stare. L’autocensura scatta per evitare le reazioni scomposte dei social.
Sui social c’è un eccesso d’ipocrisia?
Sì. Una volta potevi dire: «La Juve gioca peggio del Canicattì». Oggi, se lo dici, arriva il sindaco di Canicattì e ti assale. Io resto sbalordito: ogni cosa viene sindacata.
Si può ridere su tutto?
Se lo fai con buongusto, senza cadere nel becerume, sì. Anche sui tic innescati dal coronavirus, come le esibizioni sui balconi o l’uso creativo della mascherina.
C’è più libertà di satira in Rai, a Mediaset o alla La7?
A Mediaset non ho mai avuto problemi e con Floris ho fatto tutto ciò che si poteva fare.
E in Rai?
Durante gli anni di Quelli che il calcio, con Simona Ventura, non ebbi difficoltà. A parte un’intemerata di Maurizio Gasparri, all’epoca ministro delle Telecomunicazioni, che chiamò in diretta dopo un servizio dove ironizzavo su di lui. Oggi quella scena è un piccolo cult tv.
Se le dicono che è un comico di sinistra s’infastidisce?
Ho una formazione di sinistra, perché mio padre era sindacalista e da casa mia sono passati Palmiro Togliatti e Luciano Lama, che discutevano di lotte sindacali e contratti di lavoro. Quella è la mia connotazione. Ma ho sempre rimproverato alla sinistra gli errori che ha fatto, dimenticando i giovani e il lavoro.
Sul lavoro è un partito che l’ha aiutata?
Non ho ricevuto alcun aiuto dalla sinistra e non l’ho mai cercato. Mio papà mi diceva: «Non chiedere mai perché se chiedi, è l’inizio della dipendenza». Io non voglio dipendere da nessuno.
A Renzi ha consigliato: «Devi sparire per un po’. Quarant’anni sono sufficienti».
Ma Renzi non sparirà mai. Una volta che avrà smesso con la politica, lo vedremo a Uomini e Donne. Ci sono quelli che hanno in testa il palco: lui è uno di quelli, non scenderebbe mai da lì.
Quando la realtà supera la satira. Le gaffe dei Toninelli e della Castelli sono materiale interessante?
In uno show ironizzavo su com’ero arrivato su quel palco, fingendo di chiamare il sindaco del paese dove mi esibivo. «La aspetto: dovevamo avere come comico Toninelli ma non è potuto venire». Come dicevo quella battuta, scoppiava il boato. Non c’è corsa: puoi pensare la gag migliore, loro ti superano sempre. E spesso ti lasciano interdetto.
Nello spettacolo Il procacciatore s’inventò il movimento «Il nulla», mettendo alla berlina la vacuità di una certa politica italiana. Quando è iniziato quel nulla?
È nato con «l’uno vale uno» che ha mortificato le competenze. È una cosa che non tollero perché ha imbarbarito tutto, ha impoverito il contesto. Detto ciò, conosco anche dei grillini avveduti, come il sindaco di Parma, Federico Pizzarotti, ormai ex grillino, uno che conosce i problemi e cerca di risolverli.
In Rompipallone prende in giro tutta la Serie A: i calciatori sono permalosi?
Una volta stavano al gioco, oggi è cambiata l’atmosfera. I procuratori sono invasivi, tutto viene letto come lesa maestà e i social hanno acuito l’intolleranza: è difficile far ridere senza scatenare dietrologie.
Con Berlusconi parlava di calcio?
Sempre. Ricordo un pomeriggio ad Arcore: dovevamo parlare di nuovi progetti tv, finimmo per discutere solo di Savicevic, di cui entrambi eravamo appassionati. Lui era incazzato perché Capello lo faceva giocare poco. Fu divertente.
Nel prossimo spettacolo a teatro con chi se la prende?
Debutto il 19 settembre a Salsomaggiore con Se non ci pensa Dio ci penso io, un nuovo testo in cui il protagonista rendiconta le mancanze di Dio, gli imputa le cose che non vanno, piccolezze e grandi insoddisfazioni. È una lettura ironica dell’attualità e del post lockdown.
Il grande sogno?
Aprire con la mia band un concerto di Bruce Springsteen, a San Siro. Se devo sognare, sogno in grande.
