Il critico di Panorama e sottosegretario alla Cultura scrive una lettera aperta al presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Il Green deal, com’è concepito, non soddisfa le necessità dell’Italia. E invece, la devasta.
Egregio Presidente,
la prova provata del disastro economico a cui l’Italia andrà incontro con la fanatica ideologia verde del «tutto rinnovabili» la si è avuta pochi giorni fa. Nell’Europa del Nord il tempo ha volto al freddo. Glaciale. Il cielo è diventato plumbeo e per giorni non è filtrato un solo raggio di sole in Inghilterra, Germania, Danimarca, Svezia, Polonia… Per fortuna di chi teme il freddo, per altrettanti giorni non ha spirato un filo di vento. Ma per la produzione elettrica da fonti rinnovabili è stata una tempesta perfetta in quei Paesi finto-virtuosi che vogliono affidarsi all’eolico e al fotovoltaico per arrivare ad azzerare le emissioni.
Le pale eoliche erano ferme, i pannelli fotovoltaici inerti. In Inghilterra, poi, con assenza di vento per giorni, il cielo coperto e i termometri che segnavano molti gradi sotto lo zero, le quotazioni del Megawattora elettrico hanno superato in alcuni momenti le 2 mila e persino le 3 mila sterline, ovvero 2 o 3 sterline al chilowattora. Per questo motivo le autorità elettriche avevano chiesto di scaldare i motori alle vecchie centrali a carbone tenute spente di riserva.
A tutto carbone sta già andando la Germania ormai da mesi. Sì: anche nella Germania verde e fanatica non sono così pazzi da aver eliminato neppure il carbone, dopo aver letteralmente ricoperto le loro noiose pianure e il nebbioso mare del Nord di pale eoliche (decine di migliaia!) e pannelli fotovoltaici. Già avevano riattivato le sporchissime centrali a carbone molto prima dell’emergenza gelo per fare fronte alla penuria e al costo del gas.
Cosa sarebbe successo nei giorni scorsi se non ci fosse stato un apparato di impianti a combustibili fossili? Una catastrofe. Un blackout di giorni e giorni. Irrimediabile. Con conseguenze inimmaginabili. Invece, così, tutto l’apparato produttivo «sporco» è entrato in funzione e il disastro è stato evitato. I costi per mantenere due sistemi elettrici paralleli, uno rinnovabile con priorità di dispacciamento e uno a gas come «backup», risultano perciò almeno duplicati, nella migliore delle ipotesi.
Riportiamo il tutto all’Italia. Se volessimo produrre l’intera l’elettricità consumata in Italia con i pannelli fotovoltaici, sarebbero necessari quasi 300 Gigawattora (GW) installati. Il quintuplo della massima potenza elettrica mai richiesta dal sistema Italia, che infatti è giunta nel tempo a una potenza massima (di picco, come si dice) di 61 GW. Invece, se volessimo produrre tutto con l’eolico, sarebbero necessari «appena» poco meno di 200 GW di aerogeneratori.
Oggi, in Italia, la potenza sommata di eolico e fotovoltaico è 35 GW. Una frazione di quanto occorrerebbe per la «decarbonizzazione» del solo sistema elettrico, ma già sufficiente a sfregiare intere province, tanto per non sottacere del danno al paesaggio e alle aspettative turistiche, agricole e agrituristiche di aree interne che hanno questo solo futuro economico e occupazionale possibile.
Se poi volessimo elettrificare entro il 2050 tutto il sistema energetico italiano, come si va farneticando, queste potenze «rinnovabili» andrebbero moltiplicate per 4,5 (l’elettricità contribuisce oggi solo al 22 per cento dei consumi energetici italiani complessivi) al netto di sistemi di stoccaggio energetico così ciclopici che non esistono e dai costi impossibili. Eppure, se anche spendessimo il necessario per costruire e per far funzionare tale gigantesco armamentario, non potremmo smantellare una sola centrale tradizionale (termoelettrica o idroelettrica a bacino) oggi esistente e funzionante, che dovrebbe sempre essere mantenuta di riserva. Moltiplicare per due, 10 o 100 il numero degli aerogeneratori o dei pannelli fotovoltaici non è una soluzione, perché se il vento non soffia le pale rimangono ferme e se il sole non splende i pannelli non producono elettricità.
Gli italiani, le piccole e medie imprese, le grandi aziende, tutti dovrebbero concorrere a pagare con le loro bollette e le loro tasse questo immane passaggio al «tutto rinnovabile» (salvo ritrovarsi con «niente rinnovabile» al momento di una tempesta perfetta senza vento e sole, circostanza peraltro molto frequente anche in Italia). Ma non è tutto, Signor Presidente, poiché il fanatismo verde europeo ed italiano (le potenti e aggressive lobby sono le stesse, mentre Legambiente, Wwf e Fai ne sono le mosche cocchiere) non intende fermarsi qui. L’idea, come dicevamo, è di passare al «tutto elettrico», sostituendo benzina e gasolio nei trasporti, nel riscaldamento, nell’industria. Ovunque. Sempre più motori elettrici nelle auto e nei grandi trasporti merci. Con la necessità di cambiare l’intero sistema di rifornimento con «rinnovabili».
Signor Presidente, Lei comprende quali sarebbero le conseguenze per le imprese italiane, per l’economia italiana – e soprattutto per l’industria italiana – con l’abbandono repentino di fonti energetiche sicure e a buon mercato per sostituirle con tanta fretta con altre aleatorie e costosissime, come si sono fin qui rivelate l’eolico e il fotovoltaico. In definitiva: un cumulo di spese e inutili investimenti che travolgerà per sempre la nostra economia, anche perché si fa affidamento su tecnologie di supporto ancora immature oppure, come per l’eolico offshore, gravate da costi insostenibili e incomprimibili.
Tutto questo, signor Presidente, per una fretta assurda e sospetta. Per far fronte, in apparenza, a necessità ideologiche pseudoreligiose. Qualcosa nelle politiche energetiche europee non sta funzionando e serve un cambio di rotta repentino. Si potrebbe fare molto di più se si abbandonasse una visione della transizione energetica fondamentalista, che mette in conto di distruggere lo stile di vita di centinaia di milioni di ignari cittadini europei. Speriamo non si finisca come l’Unione Sovietica, che aveva deciso di portare fino in fondo la rivoluzione comunista. Lo speriamo contro ogni speranza, perché già si parla di blackout, razionamenti energetici e limiti personali e familiari alle emissioni.
L’importante, per Bruxelles, è raggiungere il sogno green entro pochi anni, anche se bisognerà imporre la «tessera annonaria». Inutile ricordarle che scelte affrettate e totalizzanti non potranno che danneggiare la ricerca nelle tante plurime tecnologie che si affacciano prepotentemente all’orizzonte e nelle quali l’Italia non sarebbe e non dovrebbe essere tributaria, al solito come per l’eolico, di apparati integralmente costruiti e importati o peggio imposti da costruttori tedeschi, danesi, cinesi.
Con occupazione zero per gli italiani, fatte salve le opere edili di installazione. Addirittura con competenze italiane che stanno affinando normali reattori poco ingombranti (200 MW di capacità in 6×6 m.), capaci di produrre grandi quantitativi di energia, in sicurezza e riciclando le scorie! Competenze italiane che nel giro di pochi anni concretizzeranno la realizzazione di questi reattori commerciabili. All’estero.
Il progresso scientifico in questo settore propone la soluzione dell’altro problema fondamentale dell’energia, oltre alla programmabilità delle fonti di produzione: quello della «densità energetica», che è il parametro decisivo per la valutazione delle fonti primarie. Quanto a ricchezza energetica, tra fossili e nucleare non c’è partita. Ancor meno tra nucleare ed eolico e grande fotovoltaico in agricoltura con l’occupazione di centinaia di ettari per volta di terre fertili, che dunque andrebbero guardate e soppesate con estrema attenzione, per i motivi che abbiamo illustrato. Salvando invece il fotovoltaico distribuito tra famiglie e piccole imprese, portando con sé la positiva possibilità di accesso al potere energetico offerta a tanti operatori. Non facciamoci travolgere, arrivando a cancellare la bellezza unica del paesaggio italiano.
