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Così la storia di Enea poteva essere diversa

Così la storia di Enea poteva essere diversa

Sul gesto della madre che ha lasciato il suo neonato davanti a una clinica si sospenda il giudizio. Ma è certo che l’Italia non favorisce chi mette al mondo figli.


È nota ormai a tutti la vicenda del piccolo Enea, guance rosse, capelli scuri, 2 chili e 600 grammi e circa una settimana di vita quando, il giorno di Pasqua, è stato abbandonato dalla mamma alla clinica Mangiagalli di Milano. Qui, infatti, c’è una Culla per la vita dove le mamme che lo decidono lasciano il loro bambino o la loro bambina in quella che una volta si chiamava «Ruota», all’interno dei conventi. La Culla permette alle mamme di non arrivare a scelte più estreme, che comunque esistono, come quelle che hanno impressionato tutti, cioè sacchetti di plastica contenenti neonati in un cassonetto. Fin dal Quattrocento, a Firenze , si lasciavano i piccoli – non desiderati o che non si potevano allevare – presso un ospedale fondato per questo.

Enea è diventato il pupillo di tutto l’ospedale. Come in altre occasioni, si è riversato su di lui l’affetto di tutti coloro che ci lavorano e anche l’affetto di quei genitori che erano lì con il loro bambino, non abbandonato. È molto difficile entrare nella mente e nel cuore della mamma che si è separata dal piccolo Enea. Il primo istinto sarebbe il giudizio: «Che madre è questa?», «Come si fa a non avere il cuore di tenere con sé il bambino nato da pochi giorni?».

Ma questi giudizi, se vogliono essere giudizi morali veri e non moralismi da accattone, devono tenere in conto le condizioni reali di una madre che, certamente con dolore, è giunta a quella scelta vedendosi in un vicolo cieco, che spesso è non avere l’essenziale per assicurare al bambino un futuro degno. In Italia sono ancora circa 300 i piccoli abbandonati ogni anno. Fa impressione, non tanto per il numero quanto per il fatto che siamo in un Paese dove ne vengono al mondo sempre meno. Basti pensare che nel 2022 i 700 mila decessi hanno superato i 400 mila (scarsi) nati. Un record assoluto che ha portato negli anni l’Italia da 60 a poco più di 58 milioni di abitanti.

Si è riversata una ridda di commenti sia su internet (qui gli imbecilli sono senza numero) ma anche sulle televisioni contro Ezio Greggio, il popolarissimo conduttore tv, che – tra l’altro con molto garbo e delicatezza – ha affermato che il bambino avrebbe diritto alla sua vera mamma (e chi può negare il contrario?), ma ha anche aggiunto che tutto ciò sarebbe possibile solo a condizione che qualcuno si offrisse di dare un aiuto alla madre in modo che lo venga a sapere (avendo lei mantenuto l’anonimato, del resto in Italia si può partorire anche così), e con l’ovvio consenso di questa persona.

Greggio non ha lanciato alcuna caccia alle streghe, né si è permesso di infierire su quella donna che non conosciamo e della quale non sappiamo né perché lo ha fatto né quali sono i problemi che l’hanno portata a una simile, tremenda decisione. Il primario di Neonatologia della Mangiagalli, Fabio Mosca, ha detto: «Se la madre naturale dovesse ripensarci, e io le vorrei parlare, saremo qui ad aiutarla perché non è accettabile che nella ricca Milano una donna in difficoltà rinunci a crescere un figlio». Così come il professor Mosca si è offerto di dare una mano, così lo ha fatto Greggio. E qui finiscono le chiacchere, le invettive e i discorsi a vanvera. La scrittrice Maria Grazia Calandrone, autrice di Dove non mi hai portata (è tra i 12 candidati al Premio Strega), ha raccontato la sua storia, simile a quella del piccolo Enea, e ha detto: «Nessuno compie una tale scelta a cuor leggero, può essere un gesto d’affetto». Ma ha anche aggiunto che lei «ci ha messo quasi sessant’anni» a ribaltare la prospettiva dell’abbandono a favore di una visione meno severa, ossia «la compassione per chi ha compiuto un simile gesto».

Giova ricordare che i suoi genitori, una volta abbandonata, si suicidarono gettandosi nel Tevere. Giusto per ribadire la tragicità di quel tipo di gesto. Certo, non possiamo escludere che ciò possa dipendere anche da situazioni psichicamente lacerate e da traumi impossibili per noi da conoscere. Ma altrettanto sicuramente possiamo escludere che la condizione economica della mamma di Enea fosse così prospera da assicurare anche solo l’essenziale al suo bambino. Se le mamme in Italia potessero considerare la gravidanza e il parto come una ricchezza invece che un giogo, a causa dei mancati interventi dello Stato, forse non ci troveremmo a parlare di questa storia.

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