Home » Attualità » Opinioni » Elly a pezzi

Elly a pezzi

Elly a pezzi

Nel PD c’è la fila per lasciare il partito, nelle mani della «zarina» e di una politica estremista. Un fuggifuggi che avvantaggia soprattutto le ambizioni di Matteo Renzi…


Il trench verdolino, imposto dall’esosa armocromista, torna utile. Può servire a Elly per fronteggiare la piovosa primavera e il diluvio di abbandoni nel Pd. Addio, compagna Schlein. Non è uno smottamento, ma una slavina. Fughe, agguati, tormenti. E siamo appena agli inizi. D’altronde, le priorità democratiche sono state ridefinite: fisco infernale, capitalismo canaglia, diritti gender, immigrazione selvaggia, cieca transizione ecologica, case sfitte da requisire. Urge adesso portare avanti le grottesche istanze. La segretaria dem s’è già cinta di improbabili e accomodanti fedelissimi. E chi osa eccepire? Riformisti, cattolici, moderati devono farsene una ragione. Zitti e mosca. Non si muove una foglia che Elly non voglia. La zarina arcobaleno silenzia ogni dissenso: dal centralissimo parlamento ai remoti consigli comunali.

Così, è il fuggifuggi. A mai più rivederci, odiatissima. Hanno cominciato, in sordina, due ex: Giuseppe Fioroni, fu ministro, e Andrea Marcucci, già capogruppo al senato. Poi il vicepresidente del Copasir: il senatore Enrico Borghi. A seguire, una bandiera dell’antimafia: l’europarlamentare Caterina Chinnici. Per finire, l’illustre economista eletto tra le fanfare: Carlo Cottarelli. Cinque. In appena due mesi. E mentre scriviamo, si palesa il terrore di un’ulteriore defezione da contabilizzare a rotative avviate. Comunque sia, l’argomentare dei raminghi è sempre lo stesso: questo Pd è «massimalista». Anzi: mas-si-ma-li-sta. Certo, i riottosi evocano speranzosi il «pluralismo». Ma considerano Elly, in ruspante sintesi, una svalvolata da centro sociale. Vedasi il delirante attacco all’a.d. dell’Eni Claudio Descalzi: «Possiamo considerare la mancata collaborazione dell’Egitto sull’omicidio di Giulio Regeni come un prezzo da pagare sull’altare degli interessi economici». Ovvero, l’energia per scaldare gli italiani, infreddoliti compagni compresi, dopo lo stop al gas russo. Ma Elly è così: supercazzolara, iperbolica.

Al Nazareno si arrovellano: «Chi sarà il prossimo?». Vincenzo De Luca? Gli inconsolabili destabilizzatori sognano. Il governatore campano, d’altronde, ha già promesso «momenti di effervescenza». Elly lo considera il più indomito tra i detestati «cacicchi e capibastone»: ha commissariato il Pd nella sua regione, gli nega il terzo mandato e avversa il primogenito onorevole. Don Vincenzo medita allora una mossa clamorosa. Lanciare il partito del Sud con l’omonimo Cateno, scatenato leader siciliano del movimento Sud chiama Nord, che già azzarda: «Due De Luca sono meglio di uno». Sarebbe il sogno neoborbonico. Il Regno delle due Sicilie che rinasce. Anche il figliolo Piero, onorevole piddino, seguirebbe le orme paterne? Di sicuro, al Nazareno danno in partenza alcuni parlamentari.

E quando si parla di defezioni, lo sguardo si volge verso Lorenzo Guerini, presidente del Copasir e capo di Base Riformista, la corrente più riottosa. Lui alza gli occhi al cielo: «Sarebbe sbagliato sottovalutare e mostrare indifferenza: le uscite preoccupano». Intanto, alcuni parlamentari d’area osano eccepire. Sono Lia Quartapelle, Marianna Madia e Filippo Sensi. Cosa li accomuna? Indizio per il commissario Schlein, l’indagatrice dall’impermeabile verdolino: erano renzianissimi. Torneremo a breve sulla dirimente coincidenza. I tre, comunque, hanno organizzato un ciclo di «seminari sul futuro», in aperto distinguo dalla svolta ultraprogressista. E proprio le due deputate, assieme al collega Enzo Amendola, si sono rifiutate di votare un ordine del giorno di Verdi e Sinistra italiana, insomma la premiata coppia Bonelli&Fratoianni, sulla sospensione degli accordi con la Libia decisi dal governo Gentiloni.

A Bruxelles potrebbe lasciare Giuliano Pisapia, ex sindaco di Milano. Così come Pina Picierno, vicepresidente dell’Europarlamento, che però nega: «La forza del Pd è il suo pluralismo». Sì, certo. Peccato che l’implacabile Elly allontani chiunque si astenga dai riveriti ossequi. E, più prosaicamente, molto passerà dalle candidature per le europee del 2024. Schlein, che ha iniziato a Bruxelles la sua carriera, prepara la rifondazione. Per la segretaria sarà lo snodo decisivo. Potrebbe costarle il posto. Dovrà dunque dare chiari segnali di nuovismo, con nomi che porgeranno l’altra guancia. Guarderanno altrove, magari. Come Chinnici, già passata con Forza Italia.

«E ora che faccio? CottarElly?» s’è domandato in un raro lampo d’ironia Carlo, prima delle dimissioni dal Senato. Matteo Renzi, che l’aveva nominato mister Spending review mentre era a Palazzo Chigi, avanza diritto di prelazione: si candidi con Italia Viva a Bruxelles. Già mesi fa, profetizzava: se Elly diventa segretaria, «metà partito passa con noi». L’inaspettata vittoria della rivale ha schiarito l’angusto orizzonte e cambiato le geometrie variabili di Matteo: da soffre a s’offre. A Giorgia Meloni, s’intende. Per gli alti scopi governativi, a partire della riforme.

Nulla sarà come prima. Altro che lasciare il palcoscenico all’ingombrante Carlo Calenda. Renzi matura piani più ambiziosi: riconquistare la fiducia dei sodali piddini, quelli che l’adoravano quando teneva il partito e l’Italia. Per Cottarelli si vedrà. Marcucci e Borghi, intanto, sono già passati tra le file renziane. Ma la folta pattuglia di riformisti e cattolici dem ribolle. E Italia Viva resta l’unico approdo. Matteo esulta: «Il Pd di Schlein perde pezzi. È solo l’inizio».

Per settimane, dopo il divorzio da Calenda, il rovello. Perché? Soldi, potere o egolatria? La risposta è solo una: strategia. Quella in cui l’ex Rottamatore ha sempre dimostrato di eccellere, a dispetto dell’epocale emorragia di voti e i mastodontici conflitti d’interesse. Basta rimettere in fila gli eventi. A fine della scorso marzo, Schlein viene eletta segretario. Fino a quel momento, Matteo e Carletto giuravano reciproca lealtà. Si continuava a lavorare per un partito unico, alla macroniana. Poi accade l’imprevisto: Elly trionfa alle primarie. E il pokerista di Rignano sull’Arno abbandona il tavolo. Per gettare l’ex alleato nella soffocanti braccia di Elly e cominciare a raccogliere i figlioli prodighi costretti a lasciare il Pd.

A muovere i destini dei fuggiaschi non è solo la pulsione ideologica, ma soprattutto la mancanza di prospettive. La Ocasio-Cortez del Ticino s’è circondata di fondamentalisti e pivelli. A parte i padrini, Francesco Boccia e Dario Franceschini, i dissonanti potrebbero avere qualche speranza? Per esempio: quale sarà il luminoso futuro per un cattolico dossettiano come Graziano Delrio, ex ministro e capogruppo dem con Renzi? La mangiapreti italo-svizzera avanza. Certo i giovani e improbabili astri nascenti del Pd, di fronte alle ambasce delle odiose cariatidi che ne offuscavano la grandezza, adesso gioiscono. Come Mattia Santori, l’ex Sardina diventato spigola: «Per un Fioroni che se ne va, arrivano altri duecento iscritti». O Marco Furfaro, già vendoliano: «In poche settimane, ventimila nuovi iscritti. Dopo tanto tempo in cui non sembravano né carne né pesce, siamo il primo partito di opposizione».

Ammettiamo allora che i sondaggi non mentano. Il Pd identitario e sinistrorso risale. E ipotizziamo pure che tale progressione venga sancita nelle urne. Rimane un gigantesco impedimento per Schlein. Matteo è il primo a saperlo: «Se tutto va come deve andare, Meloni arriva al 2027». Restano, insomma, altri quattro anni e mezzo. Durante i quali Renzi cercherà di arruolare i democratici delusi e reietti. Ex potentoni che non avranno nulla da perdere. La loro dipartita svuoterebbe il Pd, consegnandolo all’irrilevanza parlamentare. Senza considerare gli inevitabili danni d’immagine per Elly, che sarà tacciata di autoritarismo. Quello che imputa a Meloni con impeti da sessantottina.

Già: Elly sembra destinata a vedere assottigliate le sue truppe. Mentre Italia Viva, a dispetto del suo due per cento, potrebbe diventare sempre più determinante in aula. Renzi adesso controlla pure la linea editoriale del quotidiano Il Riformista, già concentrato sulle mire di Italia Viva. Matteo gongola e balla il twist. Promette che non sarà una gazzetta di partito, ma dopo l’ennesimo addio tra i dem non trattiene l’entusiasmo: «Ciao, ciao bambina» titola in prima pagina sotto il volto arcigno della segretaria. Spera di avvalorare uno speranzoso adagio dell’editoria: le copie non si contano, si pesano. La stessa logica muove i tormentati destini di Italia Viva: un manipolo di elettori, ma tanti parlamentari. Per diventare, all’occorrenza, il pendolo della legislatura. Al Senato, dopo l’arrivo di Borghi, sono già sei. «Ma la situazione è proficua» gongola, dopo mesi di smarrimento, l’eterno colonnello. Renzi ha già offerto aiuto alla premier sulle riforme costituzionali. Persino sul fisco, nonostante continui a menar antichi vanti, ammette «un timido passo nella direzione giusta». Sembra solo l’inizio. Il luciferino Matteo vuole diventare il miglior nemico di Giorgia. E a Elly non basterà abbigliarsi come un sagace commissario.

© Riproduzione Riservata