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El Greco, la pittura più potente del tempo

El Greco, la pittura più potente del tempo

Vissuto nella seconda metà del Cinquecento, l’artista sarà protagonista di una mostra a Palazzo Reale, a Milano, con oltre 40 capolavori. Un percorso che dimostra la sua assoluta «contemporaneità». E l’intensità delle sue opere lo mette in dialogo con altri grandi, da Diego Velázquez a Pablo Picasso.


Prima di dire cosa penso di El Greco vorrei anche dire che il mese scorso ero a vedere la conclusione, l’ultimo giorno, della grande mostra di Guido Reni a Madrid, con alcune opere che confluiranno nella mostra che sto preparando per le Scuderie del Quirinale, in occasione del Giubileo. E mentre camminavo per le sale e vedevo un balletto di artisti che mimavano i quadri come tableaux vivants, vedevo nelle stanze laterali una mostra importante seppure limitata a una dimensione da camera, El Greco – Picasso: alcuni quadri del periodo cubista del pittore e alcuni del Greco, che dialogavano in maniera molto intelligente. Avevo sentito, dall’altra parte, che questa cosa era stata pensata e avevo ricordi anche della visione di un capolavoro di El Greco da parte di Pablo Picasso nella casa di Ignacio Zuloaga, che ispirò evidentemente la ricerca dell’artista di Guernica.

Quindi l’affinità con Paul Cézanne e il rapporto con Picasso sono segnali di evidente attualità. Chiunque guardi El Greco, senza conoscere la storia dell’arte, non può pensare che sia un pittore del Cinquecento e neanche del Seicento benché ci siano, dal punto di vista cronologico, alcuni dati interessanti. El Greco è nato 30 anni prima di Caravaggio. Quest’ultimo nel 1571, El Greco nel ’41. Ed El Greco muore quattro anni dopo Caravaggio, nel 1614. È chiaro che quando El Greco arriva a Roma Merisi non è ancora nato, sta nascendo e tra l’altro, a Milano. Quindi non c’è alcun contatto fra i due. Non ci sono due pittori più lontani. Caravaggio è un pittore moderno, affine alla nostra sensibilità e arriva piuttosto tardi a Roma quando El Greco non c’è più. Quando si è iniziato a studiare il Manierismo è stato evidente che il campione di esso, nella dimensione più proiettata verso il futuro, è El Greco, e il rapporto con un grande artista come Parmigianino che lui avrà guardato e divorato – artista di modernità assoluta è determinante, in una visione che resta tardo-cinquecentesca.

El Greco non conosce il naturalismo, è profondamente antinaturalista e il suo opposto, in Spagna, profondamente legato a Caravaggio, è Velázquez, il pittore del vero, forse ancora più di Caravaggio. E questo resta importante – la realidad – perché io sono appena stato a Madrid a rendere omaggio a un amico, il più grande pittore vivente, cosa che è difficile da dire ai cultori di arte contemporanea, finti conoscitori che hanno miti fasulli, figli delle mode. Il più grande artista vivente è in Spagna, ammiratissimo, e quando cammina per strada viene trattato come se fosse Raffaello: ha 87 anni e si chiama Antonio López García. Io ho deciso di onorarlo nel 2025 con una grande mostra al Mart di Rovereto. Vorrei poi che la città di Milano fosse in combinazione, con Palazzo Reale.

È notevole che un artista come lui, lento, paziente e misurato, sia così umile da dire: «Se io fossi stato italiano non avrei potuto dipingere. L’Italia è così sovraccarica di geni da Antelami a Giotto, Masaccio, Beato Angelico, Piero della Francesca, Perugino, Signorelli, Mantegna, Donatello, Verrocchio, Botticelli, Nicolò dell’Arca, Raffaello, Leonardo, Michelangelo, Caravaggio, Tintoretto, Veronese, Tiepolo, Canova, e mille altri, che, davanti a loro, sarei stato impotente. Invece in Spagna ne abbiamo solo sei, e quei sei sono: El Greco, Murillo, Velázquez, Zurbarán, Goya e Picasso». Ecco, il settimo grande artista universale della Spagna è Antonio López García. Lo dico da tempo. E credo che sia arrivato il momento di dire anche che c’è una grande arte contemporanea che non passa attraverso le maschere del mercato, attraverso valori consolidati solo dal denaro.

López García vive come un artista povero, e povero non è. Abita in una piccola casa, con lo studio. Gli sono morti tutti gli amici e parenti. È morta la moglie María Moreno, è morto Francisco López, è morto Julio López, è morta Isabel Quintanilla, che erano gli artisti che lavoravano con lui alla scuola di Tomelloso. E vive in questa sconcertante e meravigliosa ingenuità come un vero poeta, come un fanciullino pascoliano. Volevo dirlo perché penso che una mostra di López García possa stabilire una continuità del rapporto con la Spagna attraverso le grandi mostre che allestisce Palazzo Reale.

Vorrei dire ora che, se io guardo con una sconfinata ammirazione El Greco, è perché è effettivamente più contemporaneo di molti artisti contemporanei. E perché è diventato quello che è diventato in opposizione a Michelangelo e alla grande pittura romana. A Roma veniva chiamato «uno stupido straniero»; e lui rispondeva «un brav’uomo Michelangelo, ma non sapeva dipingere». È vero, Michelangelo non era un pittore, era uno scultore. La sua pittura è appesantita dalla scultura, e non è tale da comunicare vibranti emozioni come la pittura di Tiziano, di Bassano, di Tintoretto, morti quando ormai anche El Greco si era allontanato dall’Italia. La linfa della grande pittura veneziana di Tintoretto e di Bassano e anche di Tiziano è essenziale per capire El Greco. Per questo avrei immaginato la sede naturale della mostra a Venezia. Da bambino partecipai a una mostra sul manierismo dove era coinvolto anche il genio spagnolo. E sono convinto che sia El Greco sia Velázquez siano più grandi di tutti i grandi artisti italiani; purtroppo, per me che sono nazionalista. Quando vedo Velázquez vedo un pittore assoluto in cui c’è da Giotto a Bacon; c’è tutto dentro Velázquez. E nel El Greco c’è una capacità unica di superare la barriera del tempo, qualunque artista è nelle sue tele, anche Pontormo, anche Parmigianino, anche i manieristi che lui ha sentito come nessuno.

El Greco vive come se il tempo non gli fosse addosso, come se non gli fosse addosso il suo principale nemico Filippo II mentre tentava di essere il pittore dell’Escorial senza riuscirci. Per questo gli ha fatto contro il meraviglioso dipinto El entierro del conde de Orgaz, un dipinto assoluto, al cui confronto sparisce anche Picasso. Questa contemporaneità impressionante, di taglio, di forma, di invenzione, di El Greco è sorella della capacità di una pittura, quella di Velázquez, di essere già Manet, di essere già Monet, di essere già Bacon. Guardi un dipinto di Velázquez, guardi il Marte a riposo e vedi Bacon. Ora come due spagnoli siano riusciti a sottrarsi al loro tempo ed El Greco ancora di più sul piano iconografico, trasformando il mondo bizantino da cui parte, che è un mondo visionario, un senza tempo, sorprendente. Quando guardi un dipinto di El Greco – io ho visto la grande mostra di Parigi, che ha preceduto questa di Milano, una mostra molto ambiziosa – lo guardi e, se non sai la storia dell’arte, intesa come un percorso storico, ti sembra un artista che ha dipinto ieri. Questa capacità di far prevalere il colore, le masse. C’è qualcosa di impressionante. Fuori della storia.

Ci sono due pittori italiani che vorrei ricordare, che forse non sono stati considerati nel percorso Bassano-Tiziano-Veronese-Tintoretto, verso El Greco, essenziale per capire cosa lui ha rubato a Venezia per portarlo a Toledo. Si chiama Simone De Magistris, di Caldarola, Macerata, ed è l’El Greco italiano. Naturalmente con segmenti, con geometrie quasi cubiste che sono impressionanti in El Greco e che vengono semplificate con uno schema grafico. Ma fa impressione perché è un pittore visionario, un protosurrealista. L’altro è un pittore di Ferrara, Sebastiano Filippi, detto il Bastianino, che a un certo punto perde tutto e propone una interpretazione nebbiosa, che sarebbe piaciuta a El Greco, del Giudizio Universale di Michelangelo nell’abside del Duomo di Ferrara. Ed è un Giudizio che crolla come se fosse di cenere, fumo, nebbia. Non c’è più la struttura potente dello scultore Michelangelo. In questo catino absidale osserviamo come tutto finisce. È una visione diversa da quella di El Greco, ma certamente potrebbe suggerire una serie di accostamenti per questi artisti che riescono, a un certo punto, a sfuggire come sogliole al loro tempo e diventare qualcosa di imprendibile, senza corpo, senza forma. Lo stesso per cui, quando vedo El Greco, vedo il primo paradigma assoluto dei pittori contemporanei. Così Bastianino è un pittore potente che riesce a smontare il Giudizio Universale, lo ha fatto contro Michelangelo, e nella direzione di un memento mori, di un diventare cenere, di un sentimento estremo della fine di tutto.

Questo stesso cupio dissolvi io sento nella grandezza del El Greco. Lo sento nel bellissimo Ritratto di Giulio Clovio che gli favorì il rapporto con Filippo II, di cui egli fece un ritratto meraviglioso, più bello qualunque ritratto di Tintoretto. Insomma un grande pittore veneziano, un grande pittore universale, un grande pittore contemporaneo. Ma non voglio dire altre cose che sono la riflessione che un critico fa quando si sente inevitabilmente annichilito davanti a El Greco. È la sfida dei curatori fare una mostra su di lui. È la sfida contro sé stessi e contro la morte, perché El Greco non riuscirai a comprenderlo mai. Quindi forse il pittore più dotato di spirito che noi conosciamo, il più moderno e contemporaneo. Credo che la scelta di proporre la mostra di El Greco a Milano determinerà un grande successo che riuscirà a doppiare Banksy o Andy Warhol, e tutto quello che la modernità ci ha proposto come ostaggio dell’attualità. Ecco l’ostaggio dell’attualità, lo spirito del tempo è proprio quello che dice che alcuni pittori vanno bene, e López García non andrebbe bene perché legato a un tempo perduto. Ma quel tempo «perduto» è l’unico che abbiamo perché, quando noi non ci saremo più, ci sarà ancora El Greco con la sua potentissima impresa umana e spirituale.

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