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Il fuoco (e le polemiche) che sa accendere Caravaggio

Il fuoco (e le polemiche) che sa accendere Caravaggio

La recente scoperta a Madrid del dipinto Ecce Homo, attribuito al pittore del Seicento, dimostra la sua potenza espressiva. Capace di scatenare conflitti tra i critici, ma soprattutto di parlarci attraverso il tempo. Un libro del critico di Panorama fa un punto aggiornato su questa personalità assoluta dell’arte.


La scoperta di un nuovo dipinto di Caravaggio crea scompiglio, per molte ragioni. Intanto, rispetto a ogni altro maestro del passato, ha un margine di modernità che va oltre l’importanza della scoperta e impone un confronto con la nostra sensibilità, con il nostro essere contemporanei. Nessun pittore prima di lui, anche tra i più tardivamente valorizzati, ha sofferto di una così radicale incomprensione, potremmo dire moralistica, da dover aspettare il secolo delle avanguardie per essere scoperto.

Soltanto nel 1951, dopo un lungo travaglio di studi, largamente egemonizzati dalla personalità di Roberto Longhi, Caravaggio, con la grande mostra di Palazzo Reale a Milano, ebbe il suo definitivo riconoscimento. Tutto questo avveniva dopo la caduta del Fascismo, con una nuova costituzione, con un grande partito della sinistra, con l’affermazione di un pittore come Renato Guttuso, con il cinema neorealista, con l’incubazione, proprio nella Università di Bologna dove insegnava Roberto Longhi, del pensiero di Pier Paolo Pasolini.

Il chiaroscuro della vita e dell’opera, il mondo e perfino il volto dei ragazzi di vita di Pasolini sono la testimonianza di un transfert del grande pittore nel grande scrittore. Perfino la morte dei due personaggi mostra impressionanti affinità. Siamo dovuti arrivare a Pasolini per comprendere fino in fondo Caravaggio. E, in una mostra recente al Mart di Rovereto, Caravaggio, il contemporaneo, ho cercato di dimostrarlo. La cifra delle due esistenze fu lo scandalo, e la vita di pittore rientra perfettamente nella dimensione maledetta propria dei Céline e dei Genet.

Dopo Roberto Longhi l’impegno di studiosi come Ferdinando Bologna, Mina Gregori, Denis Mahon, Maurizio Marini, Federico Zeri, e anche il loro merito, si potevano misurare sul numero del Caravaggio scoperti, al punto che un restauratore italiano a Dublino, Sergio Benedetti, divenne celebre per la scoperta della versione migliore, tra quante conosciute, della Cattura di Cristo.
Anche dell’Ecce Homo perduto si è molto discusso, accettando prima la proposta di Roberto Longhi in favore della versione di Palazzo Bianco a Genova, poi la proposta di Gianni Papi in favore della versione, riferita agli anni giovanili, in collezione Sgarbossa a Cittadella. Io ho voluto raccontare, nel libro appena uscito presso La Nave di Teseo, Ecce Caravaggio. Da Roberto Longhi a oggi, la fortuna di Caravaggio da Roberto Longhi a oggi, nei settant’anni che vanno dal 1951 al 2021, indicando il limitato numero di opere su cui la critica si è espressa pressoché unanimemente.

Si tratta di non più di 15, benché la critica si sia prodigata in molto più numerose attribuzioni. Naturalmente, con il clamore della scoperta, c’è anche l’eccitante fruscio delle valutazioni milionarie. Poco prima dell’apparizione a Madrid del nuovo Ecce Homo, totalmente incompreso e proposto con una valutazione di 1.500 euro, in Francia era misteriosamente emersa una Giuditta e Oloferne molto propagandata, esposta anche in Italia alla Pinacoteca di Brera, con gran rumore, e finalmente esitata a un’asta Labarbe a Tolosa, dalla quale fu ritirata per una misteriosa offerta da circa 100 milioni di euro.

L’opera, molto discussa, oltre del suo scopritore, Eric Turquin, aveva ottenuto il consenso critico dei soli Nicola Spinosa e Keith Christiansen. Diversissimo, e molto più intrigante, è il caso del dipinto madrileno. Il 25 marzo scorso, alle 12,27, un amico pittore, originario di Lavello, in Basilicata, ma pendolare con la Spagna, proprio per la ricerca di cose antiche, Antonello Di Pinto (sembra un nome finto), mi invia la fotografia di un Ecce Homo con la richiesta di un parere.

Resto senza parole, pensando immediatamente a Caravaggio, e non voglio chiedere dove sia il dipinto. Ma, sospettando che possa apparire a un’asta, giro l’immagine al mio assistente Pietro Di Natale perché verifichi. Alle 14,44 Di Natale mi segnala che il dipinto è in vendita, presso la casa d’aste Ansorena a Madrid, l’8 aprile. Scoperto in tempo reale il piccolo segreto di Di Pinto, tengo per me la notizia, e attendo il fatidico giorno, preoccupandomi di trovare un finanziatore per quella che ritengo una preda ambita che può certamente avere un risultato clamoroso. La mia convinzione è ferma, ma, com’è di regola, non mi agito, non faccio rumore, convinto che altri abbiano capito il quadro, e che sia quindi una gara difficile. Il 7 aprile Di Pinto mi scrive un nuovo messaggio: «Buongiorno Vittorio, ci sono novità sul dipinto, appena puoi chiamami. Grazie».

Lo richiamo, e mi comunica che il dipinto è stato ritirato. Immagino la febbre di quei giorni, montando interesse e curiosità, con offerte fuori asta. Capisco l’imbarazzo della casa d’asta per il clamoroso errore, tale da creare sospetti e preoccupazioni nei proprietari del dipinto che decidono per il ritiro e ottengono una sostanziale manifestazione d’interesse dello Stato che conferma l’importanza del dipinto. Da quel momento gli studiosi avvertiti che, diversamente da antiquari agitati ed eccitati (come non erano quelli di un tempo), hanno mantenuto la consegna del silenzio, iniziano a dare segnali di certa convinzione della autografia caravaggesca del nuovo Ecce Homo.

Il primo a pronunciarsi sono io, in un articolo apparso su Il Giornale l’8 aprile. Parallelamente, e contemporaneamente, Dario Pappalardo, in un’intervista su la Repubblica registra l’identica convinzione di Maria Cristina Terzaghi che il 9 aprile pubblica, sulla stessa testata, un argomentato articolo, con una letterale e metaforica illuminazione: «È lui e basta, evidente come il sole di oggi».
Nulla di più propizio per la grandinata che segue, con interventi, come in un coro dove non avrebbe senso cercare un primato, per l’evidenza dell’opera, di Massimo Pulini, di Giuseppe Frangi, di Tomaso Montanari, di Stefano Causa, di Rossella Vodret. È un tripudio di consensi.

Mentre sembrano di circostanza i pareri più misurati di quanti, come Michele Danieli, Roberto Lattuada, Keith Christiansen, Stefania Macioce e, soprattutto, Nicola Spinosa, si riservano un giudizio definitivo solo dopo la visione diretta del dipinto e il suo restauro. Chiudono il corteo dei convinti Alessandro Zuccari e David M. Stone. Il dibattito infuria, e la palestra nella quale gli studiosi, spontaneamente o intervistati, si misurano, è la vivace aboutartonline.com di Pietro di Loreto che raggiunge un numero di contatti senza precedenti.

Caravaggio ha acceso un fuoco come soltanto negli anni della sua folgorante carriera romana, tra 1596 e 1606, prima di iniziare a scappare, in un’emozionante caccia all’uomo che non ha limitato la forza e la libertà del pittore. Accade all’Ecce Homo l’opposto di quello che toccò alla costruita apparizione della Giuditta e Oloferne di Turquin, con una singolare coincidenza. I soli due convinti dell’attribuzione a Caravaggio del dipinto francese, Spinoza e Christiansen, sono quelli più scettici sul dipinto madrileno. Sono studiosi preparati ed esperti, ma sembra agire in loro uno spirito di bastian contrari, per l’eccessiva facilità con cui l’Ecce Homo si è affermato in modo assolutamente casuale e imprevedibile, a partire dalla ridicola valutazione originaria, come opera di scuola di Jusepe de Ribera.

Christiansen, tra l’altro, è responsabile dell’acquisto per il Metropolitan Museum di New York di un dipinto formidabile tra quelli scoperti dopo Longhi (che pur lo conosceva): la Negazione di Pietro, sicuramente esportata illegalmente dall’Italia, senza che il nucleo Carabinieri si sia mai preoccupato, carte alla mano, di recuperarlo all’Italia. Questa, con mille argomenti e sottili considerazioni, è la materia del mio libro Ecce Caravaggio una ricerca scrupolosa condotta con il contributo determinante di Michele Cuppone e con saggi su questioni caravaggesche di giovani e seri studiosi come Giacomo Berra, Francesca Curti, Sara Magister, Barbara Savina.

È la storia di un lampo che mette in luce in modo folgorante, com’è dei lampi, un nuovo dipinto di Caravaggio che impone la risistemazione del corpus delle sue opere, almeno a partire dal 1606 quando il pittore uccise Ranuccio Tomassoni ed entrò in un delirio di sensi di colpa e tentativi di salvare la vita e la libertà. «Poca favilla gran fiamma seconda».
Mai, come nel caso dell’Ecce Homo, questi versi di Dante furono pertinenti.

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