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Il diritto di costruire il futuro

Il diritto di costruire il futuro

Passa anche dagli asili la possibilità di sviluppo di una società. In Italia, invece, queste strutture sono poche e costose. E così si tradisce un principio della Costituzione.


Il prezzo degli asili privati per molte famiglie è insostenibile quindi o le mamme guadagnano bene e non spendono tutti i soldi per la baby sitter o rinunciano al lavoro anche perché in queste strutture pubbliche c’è posto per un bambino su tre. Prendiamo l’esempio di Milano, quindi di una città dotata di servizi e certo in una posizione primaria rispetto ad altri comuni italiani, anche di maggiori dimensioni, come Roma. Ebbene, a Milano un asilo nido (fonte Corriere della Sera) costa in media 756 euro al mese, la metà di uno stipendio già piuttosto buono.

Ora, come si può pensare di mettere al mondo dei figli, oltre a tutti gli odierni problemi che ci sono, se si sommano anche questi costi altissimi nell’assistenza unitamente alla mancanza di servizi pubblici adeguati (si chiamerebbe Welfare) che garantiscano a chi non ha le possibilità di affidare per parte della giornata i figli – in una fase particolarmente delicata della loro vita – a istituiti pubblici che, se non gratuiti, abbiano costi sopportabili per una famiglia media? Sembrerebbe di parlare di qualche cosa di assolutamente evidente, scontato, che implica un dovere sociale fondamentale per le istituzioni in risposta al diritto delle donne di poter coniugare maternità e lavoro.

Sappiamo bene che non è la prima volta che ne parliamo, ma chiediamo al lettore una certa indulgenza. La colpa non è di chi scrive svariate volte a proposito di questo tema, bensì di coloro che non adempiono ai loro doveri: cioè i pubblici poteri a livello nazionale, regionale, comunale (non parliamo delle Province perché pochi italiani hanno capito se ci siano ancora, se non ci sono più e nel caso in cui ci siano di cosa dovrebbero occuparsi).

È per questo che siamo piuttosto titubanti, e lo siamo sempre di più quando si invocano le famose «quote rosa» come una specie di panacea che dovrebbe risolvere ogni problema che riguarda le donne. Non c’è dubbio che in alcuni casi abbiano prodotto effetti positivi. Per esempio, in politica: nei due rami del Parlamento, certamente dopo la legge che lo prevede, le liste elettorali hanno visto la presenza di molte più donne, di conseguenza molte più deputate e senatrici. Così è avvenuto anche nelle Regioni come nei Comuni.

Non c’è altrettanto dubbio che la maggiore presenza femminile – come abbiamo già scritto – in ruoli apicali all’interno delle imprese gioverebbe (se sono ovviamente capaci di ricoprire questi ruoli: una regola che vale per tutti gli esseri umani a prescindere dal sesso, dalla propensione sessuale o dal genere). A quelle aziende conferiscono maggiore efficienza, com’è stato ampiamente dimostrato dalle ricerche su donne che svolgono funzioni dirigenziali, manageriali o in consigli di amministrazione.

Non c’è poi da meravigliarsi che nel 2021 si siano registrate meno di 400.000 nascite, il dato più basso in 160 anni. Non ci è dato di sapere come sarà il futuro, possiamo però azzardare con un certo grado di sicurezza che, se ci saranno nascite, vuol dire che prima ci sono stati altri figli, maschi e femmine, che hanno messo al mondo altri esseri umani. Quindi la prima «quota rosa» sarebbe quella – anzi, è quella – che permette ai papà e alle mamme di attaccare fuori dalla porta un fiocco rosa o azzurro. In un certo senso si tratta di quote «rosa-azzurre».

È o non è il diritto al lavoro un diritto fondamentale riconosciuto dalla Costituzione? È o non è il diritto alla maternità un diritto fondamentale riconosciuto anch’esso dalla nostra Carta? Lo sono. E non sono in concorrenza: o l’uno o l’altro, nel senso che se esercitandone uno si deve scegliere di non esercitare l’altro, sono invece diritti che in gergo giuridico si chiamano di «pari dignità» o «equipollenti». Anche perché la stessa Costituzione riconosce la famiglia come nucleo fondamentale della società e prima cellula dell’organismo civile.

I diritti sono chiari, fondamentali, imprescindibili. Le inadempienze sono altrettanto chiare e non ci stancheremo mai di parlarne. Del resto, siamo in buona compagnia: la Chiesa da ventuno secoli parla del peccato perché non è scomparso e continuerà a parlarne – magari con i suoi membri che ne commettono di molto gravi – non sappiamo ancora per quanto tempo, tuttavia, perché riguardo alla fine del mondo non abbiamo informazioni precise.

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