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Euro digitale: ecco quanto ci costerà la rivoluzione che cambia tutto (e spaventa le banche)

Euro digitale: ecco quanto ci costerà la rivoluzione che cambia tutto (e spaventa le banche)

Dal 2027 iniziano i test dell’euro digitale e la prima emissione arriverà nel 2029. Una moneta pubblica che promette più sicurezza e sovranità, ma che rischia di creare fughe di liquidità, nuovi costi e timori per il sistema bancario europeo.

Questa volta ci siamo. Dopo un lungo dibattito e due anni di lavori, è scattato il conto alla rovescia. L’euro digitale verrà testato già nel 2027, come ha annunciato la presidente della Bce, Christine Lagarde, e vedrà la prima emissione nel 2029. Ma in questo lasso di tempo dovranno essere definiti i meccanismi di funzionamento di cui ancora si sa poco. Il regolamento sarà adottato nel 2026, con validità nei 27 Stati membri, e l’anno successivo partirà una fase pilota.

COSA CAMBIA PER I CITTADINI EUROPEI

Per i cittadini Ue questo progetto, però, resta un mistero. Innanzitutto l’euro digitale non va confuso con le criptovalute o con le stablecoin, che invece sono agganciate al dollaro – in futuro ad altre monete – e sono generate da privati. La nuova divisa sarà emessa dalla Bce e andrà ad affiancare, ma non a sostituire, banconote e monete che abbiamo nel portafoglio. Era proprio necessaria questa operazione? La digitalizzazione dei pagamenti ormai è una realtà, il contante è in declino, ma l’Europa non ha ancora dato una risposta a questo fenomeno.

IL DOMINIO DEI CIRCUITI STRANIERI

Secondo le ultime rilevazioni, il cash rappresenta circa il 24 per cento delle operazioni giornaliere. Tutto il resto avviene tramite canali digitali dominati da circuiti extra Ue come Visa e Mastercard, che attualmente gestiscono quasi i due terzi delle transazioni con carta effettuate nel Vecchio continente. Esistono anche piattaforme europee, come l’italiana Bancomat, ma quasi tutte funzionano solo a livello nazionale. Era quindi necessario colmare questa lacuna.

COME SARÀ STRUTTURATO: IL LIMITE DEI 3.000 EURO

Come detto, l’euro digitale è ancora un cantiere aperto. L’ipotesi allo studio è comunque di fissare un limite individuale, che nelle simulazioni fatte finora potrebbe essere pari o inferiore ai 3 mila euro, come tetto massimo detenibile da ciascun cittadino in un portafoglio virtuale (un digital wallet gestito non dalla Bce direttamente, ma da intermediari vigilati) da utilizzare tramite carta o applicazione via cellulare. Naturalmente la conversione sarà alla pari con l’euro fisico (1 euro digitale = 1 euro fisico) e l’obiettivo è che sia principalmente un mezzo di pagamento e non una forma di investimento o di risparmio. La Bce intende renderlo un bene pubblico gratuito per i servizi di base, utilizzabile in tutta l’Eurozona sia per acquisti in negozi fisici (online e offline) sia per trasferimenti da persona a persona. Si potranno effettuare pagamenti anche senza una connessione Internet, utilizzando tecnologie come Near field communication, cioè la comunicazione a corto raggio che consente lo scambio di dati tra due dispositivi di prossimità.

IL RUOLO DELLE BANCHE

Fondamentale il ruolo delle banche, che sarà di gestire i rapporti con il cliente finale (apertura del wallet e servizi). «Grazie a un collegamento con i conti presso gli istituti di credito, i cittadini potranno effettuare e ricevere pagamenti in euro digitali senza problemi, anche per importi elevati», ha spiegato Piero Cipollone, membro del Comitato esecutivo della Bce, in un intervento davanti alla Commissione per i problemi economici e monetari del Parlamento europeo nel quale ha tratteggiato i vantaggi del nuovo meccanismo. Cipollone ha evidenziato anche un risvolto di geopolitica. «Poiché l’euro rimane l’unica unità di conto, viene tutelata la nostra sovranità monetaria anche con la diffusione delle stablecoin, attualmente denominate perlopiù in valuta estera, e delle criptoattività non garantite».

I COSTI REALI DELLA RIVOLUZIONE DIGITALE

Tutto questo, naturalmente, ha un costo. La Banca centrale europea stima che gli istituti di credito dovranno mettere in conto tra 4 e 5,8 miliardi di euro. È un ammontare significativamente inferiore rispetto alle precedenti stime elaborate dal settore, perché riflette la possibilità che le banche condividano le infrastrutture e sfruttino le sinergie. «Mi auguro che siano solo questi i costi», ha commentato il presidente dell’Abi, Antonio Patuelli. È chiaro che sarà necessario intervenire non solo sull’infrastruttura informatica, ma anche sui sistemi antiriciclaggio e antiterrorismo, sull’interoperabilità dei circuiti domestici, sui pos e sui bancomat.

I TIMORI DEGLI ISTITUTI: UNA MINACCIA ALLA LIQUIDITÀ

Una delle preoccupazioni, infatti, è che l’euro digitale possa minacciare l’equilibrio del sistema bancario, mettendo in discussione il modello di business con il rischio di deflussi di depositi e quindi problemi di liquidità. Il quesito che si è posta la Bce è quanti soldi questo strumento di pagamento porterebbe via dai depositi bancari, avendo l’attrattiva di essere moneta digitale ma contante. Da una simulazione è emerso che, in una situazione normale, il deflusso di liquidità dalle banche ai wallet sarebbe «contenuto» e si fermerebbe a un centinaio di miliardi di euro, con il coefficiente di liquidità bancaria aggregato Lcr che scenderebbe dal 166 al 163 per cento.

LO SCENARIO DI PANICO: FINO A 700 MILIARDI IN FUGA

La storia però non è esente da situazioni drammatiche, come insegnano i fallimenti di Lehman Brothers e della SVB, la Silicon Valley Bank. La Bce ha valutato che in un momento di panico finanziario, con una fuga dai depositi bancari, potrebbero essere spostati in poche ore dai conti tradizionali ai portafogli digitali – percepiti più sicuri perché garantiti dalla Banca centrale – ben 700 miliardi di euro. Francoforte sottolinea che solo 13 istituti europei su 2.025 scenderebbero a una soglia di sicurezza di liquidità Lcr pari al 100 per cento e di questi solo nove andrebbero al di sotto, comunque rimanendo all’interno degli standard regolamentari. Le banche più piccole, meno capitalizzate, sarebbero le prime a soffrire, ma la Bce ritiene comunque questo scenario «altamente improbabile».

LE RESISTENZE DELLE BANCHE EUROPEE

Però gli istituti del Vecchio continente hanno espresso forti preoccupazioni per il possibile drenaggio di liquidità e la conseguente riduzione della capacità di erogare credito all’economia reale. Un gruppo capeggiato da Deutsche Bank, Bnp Paribas e Ing ha addirittura proposto che l’euro digitale, al pari del contante, non possa essere usato nei pagamenti online. Mediobanca, per esempio, ritiene che fino al 20 per cento dei profitti bancari potrebbe essere messo in discussione dal progetto.

PRO E CONTRO DI UNA MONETA DIGITALE PUBBLICA

L’altra faccia della medaglia, invece, sono i benefici quali la maggiore autonomia e sovranità dei circuiti di pagamento europei, con conseguente riduzione della dipendenza dai vari Visa, Mastercard, PayPal, Apple Pay; più elevati standard di sicurezza e stabilità, poiché l’euro digitale sarebbe emesso direttamente dalla Bce e quindi privo di rischio d’insolvenza; una maggiore efficienza e minori costi nei pagamenti, grazie all’assenza d’intermediari; più inclusione finanziaria, consentendo l’utilizzo anche a chi non possiede un conto bancario, tramite un’applicazione pubblica o carte prepagate.

I LIMITI STRUTTURALI DEL PROGETTO

Ma ci sono anche dei limiti. La moneta europea digitale resterebbe solo una valuta domestica difficilmente utilizzabile negli scambi internazionali con il resto del mondo. Insomma un progetto necessario, ma con tante sfaccettature ancora da definire. E l’interrogativo sempre presente nei cambiamenti: ci saranno anche maggiori oneri per il risparmiatore?

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