In un Paese normale ci sarebbe da aspettarsi che l’argomento della prossima crisi energetica fosse al centro della campagna elettorale. Invece si parla di solo alleanze, terzo polo, fascismo e antifascismo
In Germania i social network traboccano di preoccupati post degli utenti. Non si discute del cambiamento climatico o della possibile invasione di Taiwan e nemmeno della guerra in Ucraina, ma delle comunicazioni ricevute nelle scorse settimane dalle utility del gas. Un consumatore, per esempio, ha pubblicato la lettera che gli è stata spedita a luglio, con cui la società distributrice di metano lo informa che, in base ai consumi preventivati, dal primo di ottobre la sua bolletta passerà dagli abituali 210 euro a 1.157 euro. Una pensionata di 88 anni, che vive con un vitalizio di 1.300 euro al mese, su Facebook ha mostrato la lettera in cui le si annuncia che, invece di 170 euro al mese, in autunno pagherà 835 euro, vale a dire circa due terzi della sua pensione. Come se non bastasse, il presidente della commissione svizzera dell’energia elettrica pochi giorni fa ha lanciato un allarme, invitando i concittadini a fare scorta di candele e legna da ardere, paventando possibili interruzioni della fornitura di energia. Secondo Werner Luginbühl, i blackout potrebbero durare ore e dunque, onde evitare di congelare e restare al buio, meglio prepararsi a un’economia di guerra, con stufe a legna e candele. Da notare che in Germania, come spiega a pag. 54 Daniel Mosseri, in vista di una possibile riduzione della fornitura di metano, i Verdi hanno accettato di tenere aperte le centrali nucleari, rinunciando dunque a uno dei capi saldi del loro programma. In Francia invece, i reattori atomici sono stati autorizzati a scaricare acqua calda nei fiumi, evitando la procedura di raffreddamento del liquido. Mentre in Svizzera, dove parte dell’energia è prodotta da centrali idroelettriche, sono stati predisposti piani di emergenza per l’inverno.
In altre parole, l’Europa è in subbuglio a causa dell’aumento del prezzo del gas, ma anche per il rischio di interruzione delle forniture. Da Berlino a Parigi, passando per Berna, le preoccupazioni per i prossimi mesi sono oggetto di discussione. E in Italia? Se si esclude un accenno del presidente del Consiglio, che prima delle vacanze in conferenza stampa si è lasciato sfuggire un riferimento ai difficili mesi che ci attendono, nessuno sembra allarmato (Carlo Cambi ne scrive a pag. 30). E invece, le ragioni per essere preoccupati sono molte, a cominciare dalle quotazioni del gas sul mercato internazionale che non accennano a diminuire. A fine luglio il prezzo oscillava intorno ai 200 euro a megawattora, all’incirca dieci volte tanto rispetto all’inizio del 2021, cioè quando le tensioni per la guerra e nemmeno la ripresa produttiva della Cina ancora non si erano fatte sentire.
Ad ora la sola misura adottata è quella europea. Dopo una lunga discussione intorno all’idea di introdurre un tetto al prezzo del gas per evitare di finanziare in questo modo la guerra di Vladimir Putin, l’Unione europea ha deciso di ridurre i consumi. In pratica, resasi conto che sarebbe stato impossibile costringere Mosca a vendere il metano a un prezzo inferiore, Bruxelles ha scelto di comprimere la domanda e di utilizzare meno gas. Alla fine, la ricetta non si discosta molto da quella indicata mesi fa dal nostro presidente del Consiglio, il quale parlando dei sacrifici che gli italiani avrebbero dovuto sopportare per sostenere la lotta del popolo ucraino, disse che si trattava di scegliere tra aria condizionata e libertà. La battuta, di certo non tra le più riuscite di Mario Draghi, purtroppo, rischia di tornare di stringente attualità, perché dalle lettere pubblicate in Germania, dagli allarmi dell’ente che vigila sull’energia in Svizzera, si capisce che il prossimo inverno non sarà per l’Europa come i precedenti. I razionamenti, i blackout, gli stop programmati rischiano di essere presto una sgradevole realtà, con in più bollette difficilmente sopportabili, sia per l’industria che per le famiglie.
In un Paese normale ci sarebbe da aspettarsi che l’argomento della prossima crisi energetica fosse al centro della campagna elettorale. Invece, mentre si discute di agenda Draghi, di Flat tax, di pensioni e di posizionamento internazionale, pro e contro la Nato, nessuno apre bocca sul futuro prossimo venturo, ovvero sui costi record dell’energia e sul pericolo di restare al freddo. Al massimo, si parla di rigassificatori galleggianti o di trivelle, progetti interessanti a medio-lungo raggio. Ma nel prossimo inverno come le riscaldiamo le case? Con che cosa facciamo funzionare le aziende? E, soprattutto, come paghiamo le bollette decuplicate? Silenzio. Si parla di alleanze, terzo polo, fascismo e antifascismo. Sui pensionati che rimarranno al freddo, meglio sorvolare. E sui lavoratori che verranno messi in cassa integrazione per sospensione delle attività a causa della mancanza di energia nessuno ha nulla da dire.