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Quell’inferno chiamato famiglia

Quell’inferno chiamato famiglia

Oltre un anno di convivenze forzate hanno lasciato il segno sulle relazioni: un boom di divorzi, separazioni, violenze domestiche. Mentre i matrimoni sono crollati dell’80 per cento. Spesso, poi, a innescare la crisi è la «riscoperta» dei figli che, costretti in casa, rivelano vite parallele fatte di disagi e fragilità. Piccoli estranei ai quali i genitori non sanno più come parlare.


Ci vorrebbe Filumena Marturano a ricordare alle famiglie in preda alla sindrome d’impazienza acquisita che «i figli so’ piezze e core». Ma la vita non è come il teatro di Eduardo De Filippo, né si specchia nel film capolavoro di Vittorio De Sica Matrimonio all’italiana. Stavolta è una tragedia vera.

Una delle conseguenze più devastanti del virus è l’esplosione di divorzi e separazioni segnalata con tanto di statistiche dai matrimonialisti e un ulteriore e più pericoloso effetto collaterale: l’incremento delle violenze domestiche. La famiglia non è più abituata a viversi e a percepirsi come tale perciò scoppia e la miccia sono proprio i figli. Il boom di divorzi, separazioni e violenze è un fenomeno globale.

A New York sono incrementati in un anno del 30 per cento i divorzi, in Gran Bretagna l’effetto lockdown ha fatto sfasciare una famiglia su quattro, in Cina lo scorso anno tanto i divorzi quanto le denunce di violenza sono triplicati e per il Global Times (governativo in lingua inglese) il «90 per cento dei casi di violenza sono legati alla convivenza forzata causa Covid». In Italia non va meglio, anzi: sono già 14 i femminicidi da inizio anno, le denunce di violenze sono aumentate di un terzo e organizzazioni come Save the children avvertono che «le misure di contenimento possono portare a un aumento e aggravamento delle violenze domestiche» che coinvolgono anche i figli.

Stando all’Associazione nazionale divorzisti, nel 2020 le separazioni sono aumentate del 60 per cento rispetto al 2019. A determinarle quattro volte su dieci è l’infedeltà, tre volte le violenze psicologiche, e negli altri casi si è litigato per incapacità di gestire i figli. Per contro ci si sposa sempre meno.

I dati Istat disponibili per il 2020 indicano un crollo dell’80 per cento dei matrimoni e del 60 per cento delle unioni civili, difficile stupirsi poi dell’effetto culle vuote: dopo nove mesi di confinamento le nascite sono crollate del 21,9 per cento con un saldo di 300 mila nati a fronte di 700 decessi. Andamenti che segnalano una patologia.

«Non c’è dubbio che stiamo vivendo una patologia psicologica e affettiva legata agli effetti del coronavirus e alle misure di contrasto» commenta a Panorama la psicologa Vera Slepoj, in libreria con il suo ultimo saggio L’orologio della mente, manuale di automedicazione psicologica dagli effetti della pandemia. «La famiglia, costretta nelle sue stanze, ha dovuto di colpo prendere atto che non sapeva più chi era. Ci sono diversi elementi che portano a questa disgregazione».

Uno è sicuramente, continua Slepoj, «l’emersione delle vite parallele, l’altro è il tenere in piedi la casa, i figli, i legami e coniugarli con lo smart working che è diventato un aggravio di fatica. Un terzo elemento è che si sono trovati a vivere in case non fatte per essere un focolare: hanno cucine che sembrano sale anatomiche, hanno open space dove la condivisione diventa messa in scena dei contrasti, hanno le stanzette dove la virtualità li estranea dal reale e non vivono più secondo il ritmo biologico. Le coppie sono saltate perché in realtà non erano coppie, non condividevano. E poi c’è stata la scoperta dei figli: dalle incombenze di gestire i piccoli ai problemi degli adolescenti – ne ho molti tra i miei pazienti – che sono degli sconosciuti per i genitori. Sono i ragazzi che non esplorano la sessualità, ma si immedesimano nei pornoattori, non hanno il senso di comunità, ma lo vivono nella movida esasperata. E una volta che è loro preclusa si chiudono, si smarriscono, non comunicano con genitori che sentono estranei e per i quali loro medesimi sono estranei».

Un’affermazione condivisa dalla matrimonialista Annamaria Bernardini de Pace, scrittrice di successo, che conferma: «C’è stato un aumento delle separazioni molto consistente. Le ragioni più evidenti sono due: l’incapacità a gestire per tanto tempo la convivenza e i figli che stanno stabilmente a casa. Sembrerà paradossale, ma molte separazioni sono scaturite da liti sull’usare o no nei social le foto dei figli. Essendo abituati a stare insieme solo sabato e domenica, manca la capacità di condividere il tempo».

Infine c’è l’elemento «vita parallela»: il fattore amanti. «I maschi per vederle si sono inventati runner» prosegue Bernardini de Pace. «Si è passati dalla scappatella alla corsa, noi abbiamo usato investigatori che sono diventati campioni di jogging, le donne sono più accorte e non avevano la scusa dell’estetista! E c’è un dato: con la pandemia le amanti hanno preteso di emergere. Questi contrasti hanno portato a una maggiore pressione psicologica nei rapporti, a vere violenze che talvolta purtroppo diventano fisiche. L’aumento delle separazioni ha riguardato tutti i ceti, per chi ha meno possibilità abbiamo inventato la “convenzione di separazione in casa”. È un accordo con cui i quasi ex coniugi, in attesa di potersi separare, si distribuiscono le ore di occupazione delle stanze, la gestione della cucina e dei figli».

Fenomeno soprattutto metropolitano questo, perché la questione economica e l’esser costretti a trovarsi un domicilio dove «scontare» le quarantene è invece un freno al dirsi addio in provincia. Dice Luciana Cerbini Picuti, matrimonialista di Foligno: «Abbiamo osservato un acuirsi del disagio di coppia, ma un calo nelle separazioni. Il divorzio ormai è cosa da ricchi, perché gli altri non se lo possono permettere economicamente. Le misure anti-Covid e la perdita di reddito costringono a convivenze forzate». Il che spesso sfocia in violenze. Lo conferma l’avvocato romano Marco Valerio Verni (ha ottenuto l’ergastolo di Innocent Oseghale, il nigeriano che ha stuprato e smembrato Pamela Mastropietro) che si occupa anche di violenze domestiche e conflitti familiari. «In ambiente metropolitano la pandemia ha fatto esplodere le coppie. Sia per l’incapacità di gestire una convivenza assidua e i figli sia perché spesso si vive in spazi angusti dove non c’è possibilità di avere una propria dimensione. E questo porta a un incremento di violenze sia fisiche che psicologiche. Faccio sempre intervenire una mediazione familiare, una terapia psicologica di coppia prima di indicare la strada della separazione, ma certo il fenomeno sta diventando preoccupante. Chi pensa e attua le misure per i contenimenti dei contagi dovrebbe riflettere anche su quali effetti collaterali provocano questi confinamenti così severi».

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