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Si è rotto il volontariato

Si è rotto il volontariato

Il Servizio civile universale, scelto da chi vuole dare una mano ricevendo una piccola retribuzione, non interessa più. I posti disponibili aumentano, ma le richieste dei giovani sono in drastico ribasso. Troppo spesso per il timore di perdere il diritto al Reddito di cittadinanza.


Antonio ha 28 anni. Ha da tempo terminato gli studi e da circa un anno riceve il Reddito di cittadinanza. È lui stesso a dirlo durante uno dei colloqui a cui, tramite il benestare di un’associazione di volontariato di Roma, riusciamo ad assistere con i ragazzi che hanno fatto domanda per il Servizio civile universale (Scu). «Non so se accettare il posto disponibile» confessa candidamente durante l’incontro «non vorrei perdere il contributo che ricevo col Reddito: parliamo di una cifra simile e intanto potrei concentrarmi nel cercare lavoro, senza perdere ulteriore tempo e farmi distrarre da altro».

In realtà, come ci spiegano durante quello stesso incontro, è possibile – almeno finché non verrà abolito – continuare a ricevere l’assegno del Reddito di cittadinanza pur aderendo a uno dei progetti dello Scu. «Il problema però è che, anche se spieghiamo a tutti che non c’è alcuna eventualità di sospensione perché le due cose per legge sono del tutto compatibili, tanti i ragazzi preferiscono rinunciare al posto disponibile per non correre pericoli. Quasi avessero paura». Anche su Google, una delle domande più ricercate associate al Reddito di cittadinanza è proprio se sia possibile partecipare a un progetto mantenendo però intatto il benefit di cui già si gode.

Ecco uno dei tanti paradossi del Servizio civile universale, un mondo entrato ormai da tempo in crisi e che stenta a riprendere quota. Sono i numeri, al di là di ogni parere, a disegnare un quadro piuttosto chiaro: mai come quest’anno i posti offerti dal bando per il Servizio civile sono stati così numerosi. Eppure, mai come ora le richieste dei giovani sono in calo. Se già nel 2022 le domande avevano fatto segnare un meno 11 per cento rispetto al 2021, con 112 mila richieste (il 63 per cento da donne e il 37 da uomini), quest’anno gli invii sono diminuiti ancora fino alla quota di 105 mila per i progetti in Italia e 3.500 per quelli all’estero. Circa il 5,5 per cento in meno rispetto all’anno precedente. E questo nonostante la differenza di posti messi a bando: 56 mila nel 2021 e oltre 71 mila (cifra record) nel 2022.

Considerato che, in media, il 5 per cento dei ragazzi abbandona dopo l’entrata in servizio e un altro 30 per cento di chi ha fatto domanda non si presenta neanche ai colloqui preliminari o scompare dopo questi ultimi (come probabilmente accadrà col nostro Antonio), è evidente come pure nel 2023 il fallimento rischia di essere inevitabile. Non solo. Secondo una recente indagine di Vita, il portale di riferimento di tutto il mondo del Terzo settore e del sociale, anche andando a vedere singoli casi il calo delle domande per il 2023 è disarmante: la confederazione nazionale delle Misericordie, la più antica associazione di volontariato in Italia, ha registrato un calo di richieste del 20 per cento rispetto all’anno scorso; la Caritas il 15, le Acli l’8 per cento, il Csvnet (Centro per i Servizi di Volontariato) il 25 per cento; la Croce rossa addirittura il 40 per cento. Ormai da tempo diverse associazioni abbiano lanciato appelli agli esecutivi che si sono succeduti, segnalando tutto ciò che non funziona nei meccanismi del Servizio civile. Perché se è certo che nessuno mette in dubbio la validità dell’esperienza formativa, è evidente che l’appeal per i giovani è andato via via perdendosi.

La ragione? Innanzitutto economica. Il fatto che dal 2002 il rimborso mensile previsto è pari a 440 euro e non è mai cambiato, certo non incentiva a fare domanda. Specie se, come nel caso di Antonio, per un importo simile si può ricevere il Reddito di cittadinanza. Ci sono poi le canoniche lentezze burocratiche: «Oggi per un permesso di una giornata per un esame universitario, è enorme la modulistica da compilare per l’ente e il ragazzo stesso per ottenere una manciata di ore» spiega a Panorama Simone Romagnoli, giovanissimo responsabile nazionale del servizio civile delle Acli. Che fa notare anche altre criticità che ruotano attorno allo Scu, dovute «alla scarsa flessibilità, al lasso di tempo eccessivamente lungo dalla domanda alla presa in servizio e, per ultimo, alla carente comunicazione, anche istituzionale, dell’istituto».

E all’estero? La situazione resta ugualmente critica. A confermarlo è Pierpaolo Bravin, responsabile del Servizio civile per la Fondazione Avsi, una delle maggiori Ong attiva in una miriade di progetti sociali in quasi 40 Paesi del mondo: «Nell’ultimo bando di reclutamento, con il più alto numero di posizioni offerte nella storia del servizio civile, la Fondazione Avsi ha ricevuto una media di 3,2 domande per ciascuna posizione, superiore alla media nazionale ma in diminuzione del 19 per cento rispetto allo scorso anno, a conferma del trend di decrescita». E questo nonostante rimanga «molto alto l’interesse dei giovani per il servizio civile all’estero che permette di fare un’esperienza di grande importanza formativa e di acquisire specifiche competenze professionali».

Allora come uscire dalla situazione d’impasse? «Il punto centrale» spiega ancora Bravin «è garantire ai giovani l’effettiva opportunità di acquisire una formazione professionale». Ecco perché si dovrebbe, per esempio, «ridurre lo squilibrio tra domanda e offerta inserendo nei criteri di valutazione dei progetti presentati dagli enti la capacità effettiva della copertura dei posti, aumentare l’indennità di servizio civile per gli operatori volontari e valorizzare l’esperienza di servizio civile a vari livelli». Un punto, quest’ultimo, su cui battono da tempo anche le Misericordie: «Questa esperienza curriculare deve avere un peso maggiore nei concorsi pubblici» sostiene Ilaria Signori, delegata della Confederazione al Servizio civile. «Bisogna fare in modo che ai giovani siano riconosciute reali competenze trasversali reali». Anche perché, chiosa lo stesso presidente delle Misericordie, Domenico Giani, «il Servizio civile non è un modo per dare un sussidio ai giovani», bensì «permette di costruire una progettualità, sulla quale la politica per prima deve avere voglia di investire». Non è un caso che le proposte che le varie associazioni hanno fatto pervenire al ministro per i Giovani, Andrea Abodi, sono state recepite dal ministro stesso: il dipartimento per le Politiche giovanili, secondo quanto risulta a Panorama, sta lavorando in questa direzione. C’è un anno di tempo per rilanciare il Servizio civile prima del prossimo bando.

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