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La sindrome da banco vuoto

La sindrome da banco vuoto

Sempre meno bambini frequentano la scuola, come effetto immediato del calo demografico. Che domani sarà perdita di identità.


Secondo dati forniti dalla Flc-Cgil nazionale, a settembre ci saranno 9.000 alunni in meno all’interno delle scuole statali lombarde. Non è una novità perché sono quattro anni che il fenomeno si ripete. Il fenomeno non riguarda, ovviamente, solo Milano e la Lombardia dove si registrerà un -0,7%, ma l’Italia intera che farà registrare un 1,4% in meno, il doppio. E non è colpa del Covid. È questione di calo delle nascite e l’Istat ha calcolato che nella fascia tra i tre e i 18 anni l’andamento verso il basso non si arresterà.

Meno nascite significa il crescere della sproporzione tra numero degli anziani nel Paese e quello dei giovani, con problemi enormi per il pagamento delle pensioni. A oggi un lavoratore paga la pensione, in media, a 1,3 pensionati. Con questi trend non sarà difficile arrivare a pagare un carico pensionistico di contributi che andrà a diminuire ulteriormente il reddito disponibile dei lavoratori e delle famiglie, con tutte le conseguenze relative che è persino superfluo, purtroppo, ricordare.

Neanche i bambini immigrati bastano più a compensare la diminuzione progressiva di alunni e delle alunne. Sappiamo bene che questo è un punto di forza di chi sostiene che senza gli immigrati questo Paese non può andare avanti, come se un Paese debba diventare un contenitore di persone indipendentemente dalla sua storia, dalla sua cultura, dalle sue tradizioni, dalla sua economia, dal popolo che costituisce la sua patria.

Non occorre essere sovranisti per riconoscere un fatto semplice. Tanto evidente quanto misconosciuto: il declino demografico di un popolo può significare, a determinate condizioni, il declino di una civiltà. Questo non stupisce in un momento in cui i predicatori del cosmopolitismo (siamo cittadini del mondo prima di esserlo di una nazione) teorizzano che sia più importante l’incrocio delle culture che non le culture stesse. Sarebbe come dire che è più importante l’incrocio tra due persone che le due persone stesse.

Ma che cosa si incrocia se si distrugge ciò che si deve incrociare? Che scambio ci può essere tra due identità deboli, inconsistenti, prive di un proprio peso specifico? Badate, non stiamo andando oltre il tema con il quale abbiamo iniziato questo articolo. Stiamo piuttosto provando a valutare le conseguenze a lungo termine di questo fenomeno e le radici culturali che lo hanno generato e lo fanno prosperare.

C’è poi un’altra questione, quella cruciale. A scuola ci sono meno bambini perché non si fanno figli, e non se ne fanno perché in certe condizioni è impossibile – diciamolo con un’espressione bruttissima – «permetterseli». Questo Paese che entro i suoi confini ospita la sede del Papa, e ha una tradizione cattolica che ha dominato la politica per mezzo secolo, ha la più scarsa legislazione pro-famiglia d’Europa.

Non occorre neanche ricordare ciò che manca perché è noto a tutti: lavoro, agevolazioni fiscali per le famiglie e per i figli (un singolo paga le stesse tasse di una famiglia con tre figli), assenza quasi totale di aiuti alle donne che devono conciliare la maternità con il lavoro. Capite che diventa una questione di coscienza: questi giovani non saranno mica tutti fannulloni e privi di qualsiasi senso della vita, del loro futuro, dell’esigenza di realizzare il progetto esistenziale…

Certo, una quota a parte la penserà e agirà così, ma è certo che la maggioranza, se ci fossero diverse condizioni, sarebbe ben contenuta di mettere su famiglia e di fare figli. Purtroppo li circonda un ambiente sfavorevole, non motivante e che non incentiva in questo senso. E purtroppo, anche in questo caso, destra e sinistra non si sono distinte che per interventi deboli, marginali, e comunque neanche minimamente risolutivi.

Poi ci si meraviglia che diminuiscono i bambini a scuola. O forse, non ci si meraviglia neanche più. Si accetta passivamente una situazione che porterà effetti negativi e duraturi, per l’economia, per la società e, come dicevamo sopra, per la cultura di questo Paese e per la conservazione della sua importante civiltà.

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