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Baldassarre Castiglione e Raffaello: tra armonia e cultura

Baldassarre Castiglione 
e Raffaello: tra armonia e cultura

A Urbino, un’esposizione sorprendente racconta le vite intrecciate di due grandi protagonisti del Rinascimento: l’insuperato intellettuale di corte e il divino pittore.


Volevo realizzare a Urbino l’opera che nel 1513 fu messa in scena nel teatro di allora, in prossimità del Palazzo Ducale: La Calandria del cardinal Bernardo Dovizi da Bibbiena, l’uomo che voleva far sposare (con sua nipote). Sentite Vasari: «Avendo Raffaello stretta e domestica amicizia con Bernardo Divizio cardinale di Bibbiena, e però lo infestava già molti anni per dargli moglie: et egli non la recusava, ma diceva volere ancora aspettare quattro anni». Rimandava, non voleva offendere l’amico: Raffaello era un uomo gentile. L’unica cosa che gli interessava era dipingere: nessuno ha dipinto meglio di lui e più di lui.

Vasari ci dice della perfetta condizione di artista del potere: «Con ciò sia che quasi la maggior parte degli artefici passati avevano sempre da la natività loro arrecato seco un certo che di pazzia e di salvatichezza, la quale, oltra il fargli astratti e fantastichi, fu cagione il più delle volte che assai più apparisse e si dimostrasse l’ombra e l’oscuro de’ vizii loro che la chiarezza e splendore di quelle virtù che giustamente fanno immortali i seguaci suoi: dove per adverso in Rafaello chiarissimamente risplendevano tutte le egregie virtù dello animo, accompagnate da tanta grazia, studio, bellezza, modestia e costumi buoni, che arebbono ricoperto e nascoso ogni vizio, quantunque brutto, et ogni mac[c]hia, ancora che grandissima. Per il che sicurissimamente può dirsi che i possessori delle dote di Rafaello non sono uomini semplicemente, ma dèi mortali».

La condizione più significativa ed eloquente del Rinascimento italiano è quella del cortigiano. Non lo dico io: lo dice Antonio Gramsci. Nei Quaderni dal carcere, scrive che Raffaello Ramat, grande studioso di letteratura italiana, aveva intuito che «per conoscere il Rinascimento è più importante Il Cortigiano di Baldassare Castiglione dell’Orlando furioso». Un testo per la storia, non favole ma dialoghi su tutto ciò che avviene a corte. E che corte è, per un uomo nato a Casatico vicino a Mantova, con i Gonzaga? La corte di Urbino, dei Montefeltro, reale città ideale. Nella lettera alla madre da Roma, nel luglio 1520, Castiglione confida qualcosa che fa intendere il suo rapporto affettivo con Raffaello. Dice: «Io sono sano, ma non mi pare essere a Roma, perché non vi è più il mio poveretto Raffaello». Cioè, muore Raffaello ed è come se morisse Roma. In un’altra lettera del 1513, Castiglione sottolinea il successo e indugia nella descrizione della regia e della scenografia della Calandria. Il Cortegiano è un libro fondamentale, come Il principe di Machavelli.

Mi è sembrato pertinente chiamare Elisabetta Soletti, la principale studiosa di Baldassarre Castiglione, con cui ha collaborato Pietro di Natale, e portare a Urbino alcune testimonianze, libri, oggetti, sculture, antichità, che consentano di ricostruire la Weltanschauung: una novità metodologica, perché da qualche anno sono state concepite mostre di personaggi che sono stati grandi stimolatori di cultura: Pietro Bembo, celebrato a Padova nel 2013; Ariosto, celebrato non nella ricorrenza delle sue date di nascita e morte, 1474 e 1533, ma del suo capolavoro scritto a Ferrara, nella casa che comprò mio nonno, nel 1516, prima delle edizioni del 1521 e del 1532, l’ultima ispirata alle Prose della volgar lingua di Pietro Bembo, veneto, che stabilisce che la lingua in cui scrivere è quella toscana, come intende ancora Alessandro Manzoni quando «va a sciacquare i panni in Arno».

Ecco, questo processo di risciacquo dei panni comincia con l’Orlando furioso, che viene «risciacquato» nel 1532, con l’ultima edizione. La terza, analoga mostra, fu quella su Aldo Manuzio, all’Accademia di Venezia. E la quarta, agli Uffizi è su Pietro Aretino, genio del male, uomo straordinario, di grande fascino e potenza, colui che sostenne e promosse Tiziano. Dunque quattro mostre, questa è la quinta, di personalità protagoniste. Non più Leonardo,Tiziano, Raffaello… Alla corte di Urbino potranno tornare a parlare sul Cortegiano e sulla sua attualità esponenti del potere culturale come furono, in tempi moderni, André Malraux e Giuseppe Bottai: Jack Lang, già ministro della Cultura francese, Bernard-Henri Levy, Giuliano Amato. Anche scrittori e architetti. Mettendo a confronto diverse personalità sul tema, sempre vivo, di politica e cultura, e facendo sessioni su teatro, musica, poesia.

La mostra, con i contributi della Soletti, è una mostra che parla. A Venaria reale il regista Peter Greenaway inventò scenografie con personaggi storici animati. Dialoghi ideali su testi classici.In mostra sono materiali e documenti importanti, come la lettera di Raffaello e Baldassare a Leone X, e preziosi oggetti da Wunderkammer. Castiglione è il riferimento di una dimensione plurale, ricca, che è stata perfettamente descritta da studiosi come Carlo Dionisotti, interprete di una concezione nuova della letteratura, che scrive: «Quale il Castiglione l’ha descritta la corte di Urbino accoglieva un gran numero di uomini di eccezionale carattere e statura intellettuale, Castiglione stesso e Cesare Gonzaga venuti da Mantova, Ludovico di Canossa da Verona, Ottaviano e Federico Fregoso da Genova, il gruppo fiorentino Medici, Giuliano e Bibbiena… Era in piccolo l’Italia, con tutta la grazia e il vigore di una cultura non professionale ma neppure dilettantesca. Patrimoni e attività di spiriti per nascita e per educazione liberi e ambiziosi e stimolati dall’esilio stesso ad affinare le loro virtù. Era il fiore aristocratico della cultura cortigiana… A questa udienza il Bembo, che è uno di quelli chiamati a Urbino, non poteva imporre senza discussione le sue idee. Era la problematica di un piccolo parlamento di uomini di provenienze diversissime che insieme rappresentavano Urbino e l’Italia umanistica, che era la più bella del mondo».

Molte furono le corti, ma la prima è questa, più grande perché fatta di uomini pensanti e intelligenti. Dalla mostra dei documenti, al Castellare, a un percorso nel palazzo dove avvennero i fatti descritti nel Cortegiano, attraverso una serie di spie e richiami, in un andito dove si incontrano personaggi con cui discutere, come fece Marina Abramovic nella sua performance: lei stava seduta in attesa, si andava a vederla, si andava a trovarla. Perché non fare lo stesso con Baldassarre Castiglione e i suoi simulacri? Tu entri a Palazzo Ducale e trovi chi ti aspetta e ti racconta cos’è stato il Rinascimento, chi è stato Raffaello. Da Urbino a Novilara. Chi era Castiglione? Era il signore di Novilara. Attendiamo conferme, da Macron, da Mattarella.

Queste presenze alla corte di Urbino ne restituiscono il significato. Senza Giulio II e Leone X, finissimi politici, Raffaello non sarebbe stato nulla, per quanto grande, sarebbe stato solo il figlio di un piccolo pittore. Invece diventa il pittore del potere, il pittore di un grande regime, della gloria della Chiesa. Raffaello non è un ribelle, non è un pittore contro, non è un pittore dissidente, non è astratto e fantastico: è il pittore che celebra la grandezza del potere. Che poi è la grandezza dell’Italia, perché senza il potere non sarebbe quella che è. Anche questo è interessante: una dialettica fra principe e cortigiano…

In fondo Raffaello fu un cortigiano, contrariamente a Leonardo che, anche a corte, non lavorava per nessuno se non per se stesso e neanche per il re, quando arriva in Francia, perché era uomo totalmente libero e modernissimo. Raffaello è il paradigma del cortigiano, così come lo è Ariosto, a lui simmetrico. Benedetto Croce, quando cercava di cogliere il senso profondo dell’opera di Ariosto, elusa da De Sanctis che non riusciva a inserirlo nella sua visione progressiva, lo definì «Poeta dell’armonia». La parola «armonia» è quella con cui si connota anche Raffaello. Ariosto e Raffaello sono il poeta e il pittore di un’armonia che è l’armonia del mondo, del mondo che funziona, anche e soprattutto dentro la corte. Fuori non c’è nulla. Intanto Il Cortegiano e Baldassarre Castiglione restituiscono il senso di una grande storia che si fa a Urbino. Come si è fatta nel passato, si fa oggi. La Muta guarderà tutto, silente, distante, in attesa che torni l’ora di Urbino. E noi saremo, come siamo, al centro del mondo, in questa capitale del mondo che è Urbino.

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