Rispetto alla media europea (33 per cento) in Italia appena il 25 per cento dei piccoli va in queste strutture. I motivi? Tanti: sono cari, e poi manca una vera politica a sostegno delle famiglie.
Ma quando ci sarà qualcuno che prende sul serio la questione delicatissima e importantissima degli asili nido dove anche quest’anno – per l’ennesimo anno – sono ben 15 mila i posti che mancano all’appello? A oggi solo il 25 per cento dei bambini va all’asilo nido e se ci fossero quei posti, si arriverebbe all’obiettivo – veramente minimo, stabilito in sede europea, del 33 per cento.
I dati del 2020 fotografano la seguente situazione: l’Italia spendeva per gli asili nido lo 0,08 del Pil, aggiudicandosi l’undicesimo posto su 14 Paesi europei. La Germania spendeva più del doppio, la Francia – che da sempre ha adottato una politica molto favorevole a sostegno della natalità anche dal punto di vista fiscale, sia per le famiglie esistenti sia per quelle in via di formazione (e che trovano in questi incentivi un motivo valido per compiere la scelta di avere figli) – spendeva otto volte di più e la Svezia 13 volte tanto; per non parlare della Danimarca in cui il 90 per cento dei bambini ha accesso agli asili nido. Lasciamo perdere i Paesi nordici che in termini di welfare non sono confrontabili con l’Italia: il modello scandinavo è lontano anni luce dal nostro, considerando anche, però, il carico fiscale che là è notevole; ma almeno, a fronte di tante tasse, i cittadini godono di molti servizi e di notevole qualità. Ma questa è tutta un’altra storia.
Ma perché i bambini italiani non vanno all’asilo nido? Anzi, perché i genitori «decidono» di non mandarceli? Le ragioni sono varie. Anzitutto c’è una questione di soldi. Non stupisce che in una regione come la Lombardia, per esempio, la media di questi bambini sia inferiore a quella di altre regioni: dove c’è più ricchezza i servizi costano di più. È una legge del mercato. È inutile e da farisei fingere di non saperlo. Essendo l’offerta di posti spesso proveniente da strutture private, in pochi possono permettersi di pagare la retta richiesta. La media nazionale delle famiglie che non possono sborsare queste cifre è l’11 per cento. Tenendo conto che in alcune regioni la media dei bambini che li frequentano supera la media richiesta europea, ossia il 33 per cento, è chiaro anche a uno poco esperto di statistica, come me, che ci sono regioni dove la percentuale si attesta attorno al 10 per cento, o anche meno.
Poi pesa la distanza degli asili nido da casa, soprattutto per le mamme lavoratrici che magari, tra accompagnare il figlio nella struttura e poi recarsi sul luogo di lavoro, passano anche più di un’ora in auto o sui mezzi pubblici, e al giorno fanno due ore. Inoltre molte famiglie preferiscono lasciarli, ove possibile, alla cura di un familiare, e sono ben il 38 per cento: ma per quanti di questi genitori è una scelta e non una necessità, sempre per problemi economici? Si dice che ci sia anche una questione di tipo culturale: tante famiglie ritengono che il bambino sia ancora troppo piccolo per poter essere affidato alle cure fuori dal proprio ambito. D’accordo, ma siamo sicuri che questo atteggiamento – diciamo di costume – non sia stato indotto, negli anni, anche dalla situazione oggettiva dell’offerta scarsa di posti?
Comunque, il punto rimane. Siamo indietro. Sarebbe ingeneroso dire non sia stato fatto nulla. Il Pnrr ha destinato molti quattrini per la ristrutturazione degli asili esistenti e per la costruzione dei nuovi. C’è stato il Family Act cui è seguito il Bonus Famiglie voluto dal ministro Elena Bonetti di Italia viva. Tutte cose buone ma insufficienti (la seconda) e con tempi lunghissimi (la prima). Nel frattempo in molte famiglie le madri sono costrette a rinunciare al lavoro, o a fare sacrifici enormi per permettersi una baby sitter.
Per questo fa sinceramente specie quando si sente parlare nelle campagne elettorali – e siamo nel pieno di una di esse – di politiche che favoriscono la compatibilità di maternità e lavoro per le donne e natalità in un’Italia dove il divario giovani/anziani sta crescendo a dismisura a favore di quest’ultimi. E meno male che siamo in un Paese cattolico e che la componente cattolica della Costituente riuscì a far scrivere nella nostra Costituzione che la famiglia è la cellula fondamentale della società. Pensa se fossimo stati laici come la Francia. E invece la Francia è molto avanti confronto a noi. Scherzi della storia.
