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Sanità criminale: le mani delle cosche sull’emergenza

Sanità criminale: le mani 
delle cosche sull’emergenza

La pandemia ha acceso l’interesse della malavita organizzata sulla fornitura di mascherine e sanificazioni anti-Covid. In tutt’Italia, infatti, sono in corso oltre tremila procedimenti giudiziari legati al virus.


A Sellia Marina, in provincia di Catanzaro, è soprannominato il «Principino». Un mese fa i carabinieri hanno bussato alla sua porta con un mandato d’arresto per un’inchiesta del procuratore Nicola Gratteri nella quale si ipotizza l’associazione di stampo mafioso. L’ultimo imprenditore sponsorizzato dalla criminalità organizzata che è riuscito a fare breccia nel business del Covid-19 si chiama Antonio Gallo. Controlla due società tessili ed era riuscito ad agganciare un giovanissimo dipendente di Invitalia, membro dello staff del commissario per l’emergenza Domenico Arcuri, Natale Errigo.

Anche Errigo è finito in carcere (unica misura, secondo il gip che l’ha arrestato, «in grado di recidere i legami con i contesti ‘ndranghetisti»), ma per lui l’accusa è di scambio elettorale politico-mafioso. Nonostante una brillante carriera in Invitalia (che l’ha subito sospeso), sostengono i magistrati, Errigo sembra non aver mai tagliato i ponti con la famiglia con cui risulta «imparentato»: «La cosca De Stefano-Tegano di Archi e segnatamente con Francesco Antonio Saraceno condannato in via definitiva» e con altri presunti criminali. Con un titolo da commercialista, sul suo profilo Linkedin fa sapere di essere dal 2013 un business analyst di Invitalia e i pm di lui scrivono: «Professionista e consulente di Invitalia, società pubblica di enorme interesse nazionale, ha mostrato una non comune capacità relazionale interagendo con politici e faccendieri».

A Roma, ricostruisce l’indagine, incontrava Gallo alla presenza di un assessore regionale calabrese che, stando all’accusa, cercava canali per l’imprenditore in odore di mafia. E i canali Gallo alla fine deve averli trovati, visto che dal maggio scorso, coincidenza, oltre agli abiti da lavoro, business di riferimento della sua impresa, produce anche mascherine.

Come si legge sul sito di Invitalia, la sua è una delle imprese che hanno ottenuto incentivi per convertire la propria produzione: 180 mila euro. Si tratta della Ala Confezioni, amministrata di fatto, secondo i magistrati, da Gallo attraverso un socio al 50 per cento che nelle carte dell’inchiesta viene indicato come un prestanome e, per questo, è finito indagato. Con una deroga ottenuta dall’Inail, poi, Gallo era riuscito a importare dalla Cina mascherine FFp2 con la sua azienda principale, la Antinfortunistica Gallo, che è stata individuata come fornitrice con affidamenti diretti e procedure d’urgenza anche dalla Regione Calabria per una commessa da 113 mila euro.

Lo stesso ha fatto la Amc, una partecipata del Comune di Catanzaro, per una fornitura da 14 mila euro, la Lamezia Multiservizi per altri 14 mila euro, il Comune di Crotone per soli 500 euro, l’Asp di Catanzaro per oltre 5 mila e l’ospedale Mater Domini di Catanzaro 54 mila. Ci sono anche commesse oltre i confini regionali, in aree, coincidenza, infiltrate dalla ‘ndrangheta: l’Asl di Novara ha comprato 52 mila euro di mascherine, l’Usl di Reggio Emilia 40 mila, l’Usl di Bologna 8 mila e l’Usl della Romagna 48 mila. L’uomo delle cosche, insomma, era riuscito a fare affari con la pubblica amministrazione.

Ma non è l’unico. L’allarme l’ha lanciato il procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, spiegando che «in tutta Italia sono in corso oltre 3 mila procedimenti legati al Covid-19 e agli acquisti di materiale sanitario». Numeri impressionanti. Soprattutto se paragonati a quelli delle interdittive antimafia per aziende con interessi nel settore dell’emergenza registrate dal ministero dell’Interno: oltre 1.500 dall’inizio della pandemia. E la ‘ndrangheta spicca per prima, non solo per gli interessi nell’industria sanitaria.

C’è, per esempio, lo smaltimento dei rifiuti prodotti a seguito dell’emergenza. Alessandra Dolci, capo del pool antimafia di Milano, coordina un fascicolo nel quale è emerso che i calabresi sarebbero riusciti a rilevare tramite prestanome, società che sono in possesso di autorizzazione per la gestione dei rifiuti e per la sanificazione degli ambienti. Nell’inchiesta si ipotizza il 416 bis del codice penale, ovvero l’associazione di stampo mafioso.

L’altro settore che fa gola è quello dei servizi funerari. In un fascicolo milanese, i magistrati si sono accorti che con l’aumento dei decessi durante la prima fase della pandemia era spuntata subito una compartecipazione di un indagato per reati associativi nel capitale di un’agenzia di pompe funebri.

La camorra, invece, si è subito distinta per il contraffazione dei dispositivi di protezione. Appena scoppiata l’emergenza a Forcella, nel cuore di Napoli, ha subito aperto i battenti la fabbrica clandestina di mascherine non a norma, con loghi del lusso contraffatti. I sodalizi, stando alle valutazioni di Maurizio Vallone, direttore della Dia, la Direzione investigativa antimafia, si sono infiltrati anche «nella realizzazione di lavori edili, nei servizi cimiteriali e di onoranze funebri, di pulizia e sanificazione». Cosa nostra, invece, per la Dia avrebbe messo a punto una strategia che mira a consolidare e «mantenere il controllo di molte filiere produttive» connesse alla sanità. Ottenuti gli appalti, grazie alla possibilità di distribuire posti di lavoro agli affiliati o di subappaltare alle aziende satelliti, «si consolida» afferma Vallone «la base del proprio consenso sociale».

In questo caso rischiano anche le imprese sane, con gli imprenditori dei clan che cercano di impossessarsene «entrando con il prestito e l’usura», ricostruisce il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho. Così come «con le false fatturazioni, delle quali si avvantaggiano anche le società in salute. Ma nel momento stesso in cui si usano questi servizi, si entra in un circuito di illegalità dal quale non è più possibile uscire».

In Lombardia è stata scoperta un’associazione mafiosa formata da una decina di imprenditori accusati di reati fiscali e false fatturazioni aggravati dall’articolo 7 (metodo mafioso), con centinaia di imprese che hanno preso parte al gioco. Anche a Foggia una spietata nuova criminalità sta lavorando in silenzio, investendo ingenti somme di denaro. Si è concentrata sulla distribuzione di dispositivi di protezione. Un’inchiesta ha svelato un’operazione speculativa su una partita di mascherine importate dall’estero: sono state oggetto di tre cessioni con connessi rincari di prezzo, passato da quello iniziale d’importazione di 0,25 euro più Iva a quello finale di 20,80 euro più Iva. Soldi facili, grazie al Covid.

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