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MafiAfrica: così riciclano cosa nostra camorra e ’ndrangheta

MafiAfrica: così riciclano 
cosa nostra
camorra
e ’ndrangheta

Chi sono i boss della criminalità italiana che stanno «ricolonizzando» il continente con le attività alimentate dai proventi del traffico di stupefacenti. Dall’estrazione mineraria al turismo: ecco la mappa dl business illeciti e miliardari.


Ma quale Cina, in Africa a comandare sono le mafie italiane. Che qui hanno trovato l’Eldorado del riciclaggio del denaro sporco e la base logistica perfetta per smistare la droga proveniente dai Paesi produttori del Sudamerica con destinazione Europa.

Il mercato degli stupefacenti, d’altronde, si conferma l’attività criminale più redditizia al mondo. E la logistica legata al narcotraffico è di gran lunga la preoccupazione principale per questi «imprenditori» nostrani: un affare miliardario, visto che ogni anno in Europa vengono consumati circa 91 tonnellate di cocaina (dato 2019). E anche le stime emerse dai report dell’Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze (Emcdda), valutano l’economia illecita della sola polvere bianca in Europa capace di generare profitti per non meno di 5,7 miliardi di euro.

La gran parte del traffico di coca mondiale, come noto, proviene principalmente da Colombia, Perù e Bolivia. Ma le aree principali di transito non sono più – o non soltanto i Caraibi – e le isole Canarie: a partire dai primi anni Duemila le rotte sono mutate e oggi quasi tutto passa dall’Africa atlantica, con l’immensa area desertica tra Sahel e Sahara che è ormai la testa di ponte preferita dalle mafie italiane. Senza le quali, è bene ricordarlo, la droga in Europa non arriverebbe in tali quantità, dal momento che queste organizzazioni hanno una sorta di «esclusiva» del traffico di stupefacenti nel Vecchio continente. Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine (Unodc), ogni anno attraverso il Sahel transitano circa 18 tonnellate di cocaina, per un valore complessivo che supera il miliardo di euro. Il primo approdo è la costa: Capo Verde, Guinea e Gambia, dove non a caso lo scorso 10 gennaio è stato effettuato un sequestro record di 2,9 tonnellate di cocaina (valore: 72,4 milioni di euro) all’interno di una spedizione di sale proveniente dall’Ecuador.

A fare da manovalanza sono i criminali comuni e persino i jihadisti, che hanno fatto del deserto del Sahara un territorio di loro esclusivo potere. Dietro il paravento della guerra santa, però, si cela un mero commercio di droga, per quanto impura agli occhi dell’islam.

Secondo Antonio Nicaso, tra i più importanti analisti internazionali di fenomeni mafiosi, «attualmente si riesce a sequestrare il due per cento soltanto della droga che arriva in Europa. Ma il dato importante che emerge è soprattutto la grande capacità delle mafie di cambiare i propri piani operativi, tanto che per un periodo la cocaina non è più arrivata nei porti italiani, ai quali si è preferita la rotta spagnola».

La versatilità e l’abilità di diversificare i propri affari è confermata anche da atti giudiziari. Spiega Nicaso: «Negli anni, numerosi documenti di processi hanno dimostrato come a gestire interessi in Africa ci siano le famiglie Piromalli e i Grande Aracri, così come è certo che molti altri clan della Locride abbiano messo radici in questo continente».

Anche Gennaro Pulice, uno dei rari pentiti di ‘ndrangheta (è finito nel maxi processo della Procura di Catanzaro sotto la guida di Nicola Gratteri, denominato Rinascita-Scott) conferma e aggiunge: «L’obiettivo finale è portare i proventi illeciti all’estero dove le normative sono meno restrittive, e in definitiva riciclare non solo il denaro ma anche il nome della famiglia».

Già, il riciclaggio di denaro. Gli immensi capitali frutto del traffico di stupefacenti necessitano di essere reinvestiti di continuo. Per questo motivo, le mafie italiane hanno scelto l’Africa: un territorio dove il riciclaggio non soltanto è possibile, ma viene incoraggiato dalla corruzione endemica di governi e potentati locali, che non richiedono particolari requisiti di trasparenza o la provenienza dei capitali. In questo modo, associazioni mafiose e criminalità organizzata sono incentivate a riversare grandi quantità di denaro nelle casse degli Stati più indebitati al mondo.

Soldi illeciti che poi finiscono nei settori più disparati: dall’agroalimentare al turismo, dall’edilizia ai trasporti, dal business dello smaltimento dei rifiuti a quello minerario. Esempi? Gli hotel e i resort di lusso lungo le coste nordafricane e atlantiche, più attrattive per il turismo mondiale. Ma anche le miniere di diamanti e di coltan – minerale cruciale per la tecnologia – nelle aree più impervie: quali Repubblica Centroafricana e Repubblica Democratica del Congo, proprio la zona dove hanno trovato la morte la scorsa settimana il diplomatico Luca Attanasio e il carabiniere Vittorio Iacovacci.

Questi traffici sono favoriti da un settore bancario locale che, nel suo complesso, è scarsamente regolamentato; i depositi ingenti di contanti sono visti come un’opportunità di sviluppo per i creditori locali e, più in generale, per l’economia regionale, considerata la quasi totale impossibilità di tracciamento dei flussi di provenienza.

Secondo l’International Narcotics Control Strategy Report, i Paesi più a rischio in questo senso sono: Costa d’Avorio, Kenya, Seychelles, Sierra Leone Sudafrica e Tanzania. Non a caso le nazioni dove il turismo occidentale è più concentrato. L’intelligence italiana monitora da tempo questo schema di riciclaggio e più volte ha ricostruito la mappa dell’infiltrazione mafiosa: le ‘ndrine di Plati, dei Morabito e degli Arena di Capo Rizzuto risultano essersi stabilite soprattutto in Senegal e operare principalmente da Dakar; mentre a Lagos, in Nigeria, la ‘ndrangheta vede la presenza dei Di Giovine e ancora del clan Morabito.

Prima della ‘ndrangheta è stata la mafia siciliana a sbarcare in Africa: capostipite, Tano Badalamenti e poi soprattutto Vito Roberto Palazzolo, che in Sudafrica cambiò nome in Robert Von Palace Kolbatshenko e tra il 1976 e il 2012 è stato capace di costruire un impero non solo di lussuose proprietà, ma anche miniere di diamanti tra Angola e Namibia. Tesoriere di Salvatore Riina e Bernardo Provenzano, la sua carriera è finita la sera del 30 marzo 2012 all’aeroporto internazionale di Bangkok, dove un controllo dell’immigrazione thailandese ne ha svelato la vera identità. Nel frattempo, però, con la società di comodo Van Palace Diamond Cutters aveva riciclato miliardi di dollari realizzando allevamenti di struzzi, locali notturni, aziende per imbottigliare l’acqua; persino agenzie di sicurezza private come la Ops e la Pro-Security.

Le sue frequentazioni erano arrivate fino al conte Riccardo Agusta, discendente del fondatore dell’impresa elicotteristica, quando anche quest’ultimo risiedeva a Città del Capo. Dopo l’estradizione e la condanna a nove anni di carcere, nel marzo 2019 Palazzolo è stato scarcerato e oggi è in prova ai servizi sociali, ma nulla si sa del patrimonio miliardario.

Non meno avventurosa è la storia del boss giramondo Antonino Messicati Vitale: partito dalla siciliana Villabate, è arrivato in Zimbabwe e qui ha organizzato un gigantesco commercio di diamanti con la Zimbabwe Diamond Opportunity. Vitale si era messo in società con la famiglia Ferrante, ricchi trader del vicino Sudafrica. Anche lui è stato arrestato nel 2012 in Oriente: stavolta a Bali, Indonesia (attualmente, è recluso in attesa di giudizio della Cassazione). Infine, una delle menti finanziarie più fini è quella dell’imprenditore calabrese Roberto Recordare, finito al centro di un’operazione di maxiriciclaggio da 136 miliardi di euro.

Quanto alla Camorra napoletana, ha una serie di attività sospette soprattutto a Casablanca, in Marocco, riconducibili alle famiglie dei Marano e dei Casalesi. L’odierna mafia siciliana si è invece insediata con le famiglie di Partinico, Cinisi e Terrasini a Windhoek, in Namibia; e i Cuntrera-Caruana a Bissau, capitale della Guinea. Ad Abidjan, in Costa d’Avorio, a fare affari è la cosca dei Madonia di San Lorenzo.

Altre «sedi di rappresentanza» delle mafie sono state individuate in Egitto, Somalia, Tunisia e in Ghana, dove sono presenti soprattutto esponenti delle ‘ndrine Pelle Vottari e dei Coco Trovato. Questi Paesi rappresentano delle opportunità oggettive per investimenti «puliti», essendo tra le economie intermedie in più rapida ascesa del continente (eccezion fatta per la Somalia, dilaniata dalla guerra).

Se un tempo i confini del continente africano venivano tracciati con il righello dagli imperi coloniali, oggi la spartizione è appannaggio della criminialità organizzata. Dove l’Italia, manco a dirlo, occupa un posto privilegiato.

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