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Proteste e rivolte negli Usa potrebbero fare il gioco di Trump

Proteste e rivolte negli Usa potrebbero fare il gioco di Trump

Gli innumerevoli disordini esplosi in decine di città americane, come reazione all’assassinio arbitrario di George Floyd da parte della polizia di Minneapolis, possono far nascere l’errata convinzione che i moti di protesta siano il sintomo di una insofferenza generalizzata nei confronti del Presidente Trump.


Non v’è dubbio che le manifestazioni siano la cartina di tornasole di un paese spaccato, dal sottosuolo violento e con problemi d’identità ed integrazione che portano il peso di una storia tormentata e ferite mai rimarginate nella convivenza civile. Appurato questo, sul piano politico è bene considerare che il carattere violento delle rivolte sembra giocare più a favore del Presidente che dei democratici.

Trump, infatti, può cogliere l’occasione per rilanciare uno dei messaggi chiave della vittoria del 2016, quello di una politica “legge e ordine”, al tempo declinata in prospettiva anti-immigrazionista. Al contrario il candidato dei democratici Biden appare a disagio poiché preso tra due fuochi: non può giustificare le proteste violente dei collettivi e dei movimenti radicali, pena la perdita di credibilità nell’elettorato moderato, ma non può nemmeno schierarsi in toto dalla parte dell’ordine costituito, perché verrebbe schiacciato dalla posizione di Trump.

In termini generali, inoltre, il carattere aggressivo delle proteste complica lo scenario, rischiando di oscurare una doverosa condanna delle pratiche criminali della polizia e la ricerca dei responsabili di soprusi e discriminazioni verso gli afroamericani. In questo schema, gli spazi per avere una posizione politica incisiva si restringono per il candidato democratico.

A favore del Presidente gioca anche la geografia della protesta: tra le 50 città colpite dai disordini in questi giorni solo quattro hanno un sindaco repubblicano, l’epicentro di Minneapolis è guidato dai democratici sia a livello locale che statale. Gran parte dell’America profonda, provinciale e distante che ha votato per Trump è aliena dalle proteste e probabilmente infastidita dalla rottura dell’ordine pubblico, mentre i democratici non sono esenti dalla più generale contestazione verso il potere politico che ha scatenato l’ondata di protesta.

In questo quadro il Presidente, sotto di circa dieci punti nei sondaggi del voto popolare rispetto allo sfidante Biden, ha scelto di correre il rischio di una posizione netta. Orientamento non privo di razionalità sul piano elettorale poiché tradizionalmente il messaggio law and order attraversa senza divisioni tutto il partito Repubblicano. In altre parole, Trump potrebbe aver trovato la chiave, quella della sicurezza, per mobilitare tutto il proprio elettorato. Una mobilitazione fondamentale per racimolare voti negli Stati e nei distretti dove si decide la partita delle presidenziali. Non è un caso che il Presidente abbia aggiunto la posizione legalitaria sul piano interno a quella dura e securitaria nei confronti della Cina sul piano esterno.

L’operazione ricalca, per certi versi, quella intrapresa con successo da Richard Nixon nelle elezioni del 1968 e del 1972, con campagne all’epoca fondate sulla risoluzione della guerra del Vietnam e della politica law and order. Di fronte ad un’economia instabile e probabilmente in peggioramento, in competizione con un avversario temibile come Biden che cercherà di porsi come il pacificatore di una società dilaniata, Trump cercherà invece di ritagliarsi il ruolo del protettore, uomo d’ordine e sicurezza interna ed esterna.

Dopo l’abbassamento delle tasse sulle imprese e la politica dei dazi, potrebbe dunque emergere in questi giorni un nuovo asso da giocare per sfruttare politicamente le proteste violente. I prossimi mesi ci diranno se in un paese sempre più diviso e radicalizzato Donald Trump, che per molti versi ha anticipato questa deriva aggressiva della politica americana, riuscirà come il suo predecessore Nixon a sedurre la maggioranza silenziosa per riconfermarsi alla Casa Bianca.

Non è detto, dunque, che dallo studio ovale le rivolte siano avvertite come un problema, perché potrebbero anche diventare un’opportunità nel momento più difficile della Presidenza.

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