
Cimitero cristiano profanato dall’Isis a Bartella, in Iraq.

Una tomba cristiana profanata dall’Isis a Bartella, in Iraq.

La chiesa di San Giorgio distruta dall’Isis a Bartella, in Iraq.

Una tomba cristiana profanata dall’Isis a Bartella, in Iraq.

La campana della chiesa di Sant’Addai a Qaramles, in Iraq, tornata a suonare.

I cristiani profughi ad Erbil riportano i loro morti nel cimitero cristiano di Qaramles, in Iraq, profanato dall’Isis.

I cristiani profughi ad Erbil riportano i loro morti nel cimitero cristiano di Qaramles, in Iraq, profanato dall’Isis.

L’ingresso della chiesa di Santa Maria del perpetuo soccorso, a Mosul ovest, sulla cui facciata si legge la scritta “Dovete chiedere il permesso a Isis per entrare”.

La chiesa di Santa Maria del perpetuo soccorso, distrutta e saccheggiata dall’Isis, a Mosul ovest, in Iraq.

Due soldati iracheni seduti all’interno della chiesa di Santa Maria del perpetuo soccorso a Mosul ovest. Distrutta e saccheggiata dall’Isis, è stata liberata durante l’avanzata delle truppe anti-jihadiste.

La chiesa dell’Immacolata concezione distrutta dal’Isis a Qaraqosh, in Iraq.

La chiesa dell’Immacolata concezione distrutta dal’Isis a Qaraqosh, in Iraq.

La croce piegata su un campanile del villaggio cristiano di Qaraqosh, in Iraq, liberato durante l’offensiva per la riconquista di Mosul.

Monsignor Francesco Cavina, vescovo di Carpi, celebra la Messa nella chiesa dell’Immacolata concezione a Qaraqosh, in Iraq, distrutta dall’Isis.

La lapide del martire cristiano Ragheed Ganni, ucciso a Mosul prima dell’avvento dele bandiere nere nel 2007, distrutta dall’Isis nella chiesa di Sant’Addai a Qaramles, in Iraq.

Un raffigurazione di Maria con il volto sfregiato e il buco di un proiettile, a Qaramles, in Iraq.

Un miliziano cristiano a Qaramles, in Iraq, davanti al simbolo dello Stato islamico che per due anni ha occupato il villaggio.
“Noi cristiani in Iraq rischiamo l’estinzione. Per questo dobbiamo essere aiutati a tornare nei nostri villaggi da poco liberati. Le case però sono state distrutte o saccheggiate dallo Stato islamico. Non dimenticateci”. L’appello è di padre Thabet Mekku, ordinato sacerdote come don Paolo, profugo ad Erbil nel nord dell’Iraq assieme a 132 mila cristiani dopo l’avanzata delle bandiere nere nell’estate del 2014.
Per rimettere in piedi i villaggi della piana di Ninive, a nord di Mosul, ci vogliono oltre 200 milioni di dollari solo per le case. Tre chiese cristiane hanno fondato il 30 marzo scorso un Comitato per la ricostruzione. Secondo lo studio della fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che soffre, quasi 12 mila abitazioni sono state danneggiate dalle bandiere nere e dai combattimenti. Ben 669 residenze non esistono più.
“Vogliamo lanciare una sorta di piano Marshall, con l’obiettivo di far tornare alla vita i villaggi cristiani della piana di Ninive. Per il rientro degli sfollati ci vogliono non solo case, ma anche acqua, elettricità, cliniche” spiega Alessandro Monteduro, direttore della costola italiana di Aiuto alla Chiesa che soffre.
Secondo un sondaggio, il 57 per cento dei cristiani intervistati ha subito la distruzione o il saccheggio delle sue proprietà. Il 41 per cento vuole tornare, ma in gran parte hanno ancora paura.
“I cristiani vorrebbero la protezione della comunità internazionale con caschi blu armati. In alternativa potrebbero sentirsi sicuri con una forza di sicurezza cristiana, che garantisca l’ordine nella piana di Ninive grazie a un’amministrazione e a uno statuto speciale” conferma don Paolo, responsabile caldeo della diocesi di Mosul.
Le famiglie cristiane che hanno già lasciato l’Iraq sono 25 mila. Nel nord del Paese rimangono sfollate 90 mila persone. I nuclei familiari aiutati dalla Chiesa sono costretti a vivere in stanze di 4 metri per 4. I prezzi dell’affitto arrivano anche a 650 dollari al mese per appartamento (cifra elevatissima nel nord dell’Iraq).
Intanto, all’orizzonte si profila una nuova minaccia. Le milizie sciite, vittoriose a Mosul, hanno piazzato posti di blocco all’ingresso dei villaggi cristiani più importanti. Grazie all’appoggio militare e finanziario dell’Iran, vorrebbero occupare gran parte della fertile (nonché strategica) piana di Ninive. “Anche per questo motivo invochiamo una visita, il prima possibile, di papa Francesco” sottolinea padre Paolo. “Qualcosa di enorme che ci aiuterebbe a resistere per non far morire la cristianità in Medio Oriente”.
