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«L’approccio con il Qatar deve cambiare. Trump trovi il coraggio di farlo»

«L’approccio con il Qatar deve cambiare. Trump trovi il coraggio di farlo»

Yigal Carmon, è il presidente e fondatore del Middle East Media Research Institute (MEMRI), ed è stato consigliere per l’antiterrorismo di due primi ministri israeliani, Yitzhak Shamir e Yitzhak Rabin.

Il prossimo 7 febbraio sarà il 27° anniversario della creazione del Middle East Media Research Institute (MEMRI) Da anni MEMRI è uno strumento unico nella lotta contro il fondamentalismo islamico. Abbiamo parlato con Yigal Carmon, presidente e fondatore del MEMRI e ex consigliere per l’antiterrorismo di due primi ministri israeliani, Yitzhak Shamir e Yitzhak Rabin.


Come le venne in mente di creare una piattaforma di questo tipo e come è cambiato il vostro lavoro?

«Quando terminai il mio pluridecennale servizio dell’intelligence militare israeliana, mi resi conto che le persone non sapevano che cosa stesse accadendo nel mondo. Il motivo non era legato al fatto che non avessero accesso a materiale segreto, ma che non conoscevano ciò che era già disponibile nel materiale open source (ovvero mass media, social media, ecc.). Uno degli ostacoli maggiori era che questo materiale era disponibile in lingue non parlate in Occidente. Ho quindi pensato che per dare accesso alle persone in Occidente ai materiali open source era importante iniziare a tradurre i mass media del mondo arabo e musulmano in lingue parlare in Occidente. Il nostro slogan è infatti “Bridge the Language Gap” (colmare il divario linguistico, creando un ponte). Negli anni, la nostra “mission” non è cambiata nella sua essenza, ma si è ampliata. Abbiamo, infatti, aggiunto anche le traduzioni dal russo e dal cinese, per avere una visione completa di ciò che accade a livello internazionale. A oggi, MEMRI traduce dalle seguenti lingue: arabo, turco, persiano, urdu, pashto, dari, curdo, russo e cinese».

Il 31 agosto 2023 lei pubblicò un articolo intitolato “Segni di possibile guerra nel periodo settembre-ottobre” nel quale ha descritto nei particolari quello che è poi accaduto poi il 7 ottobre 2023. Pur sapendo che questa domanda le è stata posta decine di volte le chiedo: Cosa ha pensato quella mattina, perché c’è stato il 7 ottobre e come spiegare l’inefficienza dell’apparato di sicurezza israeliano?

«Dal punto di vista prettamente professionale, si è rafforzata la mia convinzione che il materiale open source offre una maggiore e profonda comprensione dell’incredibile progresso tecnologico dell’intelligence israeliana. Avevamo tutte le informazioni, ma gli ufficiali israeliani non hanno creduto alla loro stessa intelligence. L’intelligence israeliana aveva infatti un preconcetto: pensava che Hamas fosse stato scoraggiato dall’attaccare, dopo gli scontri degli ultimi anni, e che tutti i preparativi militari del movimento terroristico fossero solo uno show. Inoltre, l’intelligence israeliana era convinta che Hamas fosse interessato allo sviluppo di Gaza e a governarla e non a iniziare un’altra guerra con Israele. Per questi motivi, tutte le indicazioni fornite erano state definite come “non valide”. Se gli ufficiali avessero dato la necessaria importanza al materiale open source (interviste ai leader di Hamas, video di istigazione alla guerra, video di esercitazioni militari, ed educazione al jihad nel sistema scolastico, ecc.) avrebbero capito che i piani e le intenzioni di attaccare Israele erano reali».

Hamas puo’ essere distrutto totalmente? Glielo chiedo dopo aver visto le spaventose immagini di propaganda dei jihadisti palestinesi durante la liberazione degli ostaggi. Come puo’ finire questa guerra e chi comanderà domani a Gaza?

«Le ideologie estremiste e violente potrebbero non essere distrutte completamente, ma possono essere indebolite fino al midollo (questo è già accaduto con il fascismo e il nazismo). Sfortunatamente, a Gaza, Israele è stata costretta a essere sconfitta ed è per questo motivo che vediamo queste immagini di esultanza e di vittoria da parte di Hamas. Israele ha dovuto accettare le condizioni di Hamas perché, da un lato, era l’unico modo per salvare gli ostaggi rimasti a Gaza, che includono donne e bambini, e, dall’altro lato, era sotto forte pressione dell’amministrazione americana, che vuole vedere la fine della guerra. Per queste ragioni, Hamas continua a controllare Gaza, con la sponsorizzazione del Qatar, che si presenta come un mediatore, mentre in realtà è l’incendiario che finge di essere il vigile del fuoco».

Il Qatar arma e finanzia i gruppi terroristici come Hamas, Hts e i Talebani, poi una mattina si cambia il vestito e diventa mediatore. Non è arrivato il momento di cambiare radicalmente approccio con loro?

«Da oltre un decennio, dico che l’approccio nei confronti del Qatar deve cambiare. Nel giugno 2017, il presidente Donald Trump aveva detto che il Qatar è stato “storicamente un finanziatore del terrorismo”. Il Qatar non si è fermato, anzi ha raddoppiato la sua politica di sponsorizzazione dei movimenti islamisti. Il primo ministro del Qatar, lo Sheikh Muhammed bin Abdulrahman Al Thani, ripete spesso che sono stati gli Stati Uniti a chiedere al Qatar di mantenere aperte le sue linee di comunicazione con le organizzazioni terroristiche. Quello che ha fatto il Qatar però non è stato “mantenere linee di comunicazione”, ma rendere disponibile la sua capitale Doha ai Talebani, ad Hamas e ad altre organizzazioni terroristiche per stabilirvi il loro quartier generale, supportandoli ampiamente sia politicamente che finanziariamente»

Il regime degli Ayatollah che esporta il terrorismo in tutto il mondo è in grande difficoltà. Può crollare?

«Vale la pena notare che la popolazione iraniana è stimata in circa 89.000.000 di persone, circa la metà delle quali sono di etnia persiana che vivono prevalentemente nell’Iran centrale, mentre il resto è composto da curdi, baluci, azeri, arabi ahwazi, turkmeni, lur, gilakis, mazandarani, ecc. Quindi, le minoranze etniche non persiane comprendono dal 40 al 50 percento della popolazione iraniana. Nel corso degli anni, diverse amministrazioni americane hanno deciso che la strategia da seguire nei confronti del regime dell’ayatollah fosse quella di sostenere solo la popolazione persiana, tenendo i gruppi etnici non persiani fuori dalla politica statunitense».

Cosa possono fare gli Stati Uniti?

«L’amministrazione Trump dovrebbe avere il coraggio di cambiare questa politica, poiché sostenere solo il gruppo etnico persiano non porterà alla capitolazione del regime islamico. In passato, le amministrazioni statunitensi temevano che aiutare i gruppi non persiani avrebbe portato alla divisione dell’Iran in diversi stati islamici. Tuttavia, non sarà così. In questo momento, c’è una grande opportunità, che l’Occidente può cogliere. I gruppi laici non persiani sono pronti a unirsi all’Occidente e guidare la lotta senza che gli Stati Uniti inviino le loro truppe. Gli Stati Uniti hanno lavorato con i curdi in Iraq e in Siria. È grazie ai curdi che gli Stati Uniti sono riusciti a sconfiggere l’ISIS. Gli Ahwazi, sotto la guida del dottor Aref Kaabi, sono laici e seguirebbero la strada della tolleranza tracciata dagli Emirati Arabi Uniti, che abbracciano l’alleanza abramitica. I Baloch, sotto la guida del Free Balochistan Movement (FBM), guidato da Hyrbyair Marri, sono una nazione laica. Data l’importanza della tribù Marri tra i Baloch, il leader dell’FBM Marri può placare i sentimenti islamisti di gruppi come Jaish Al-Adl. Il Free Balochistan Movement, che ha 40 anni, ha anche redatto una carta, il cui articolo 4 afferma: “La lotta nazionale del Baloch è un movimento laico. Sostiene la separazione della religione dallo stato e dalla politica. Sostiene il potere della ragione e si oppone a qualsiasi dogma religioso e ideologico”.Il movimento ha anche scritto un “Piano di transizione democratica per l’Iran”, che è stato presentato ad altri gruppi etnici presenti in Iran, come curdi, ahwazi e azeri. Al momento, questo è l’unico piano che trova un ampio consenso».


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