Durante il lockdown, con i voli bloccati, era impossibile rimandare indietro clandestini e immigrati irregolari. E ora il governo sospende i procedimenti di espulsione. Così restano in Italia spacciatori di droga e islamisti radicalizzati.
Mentre il 21 marzo una circolare del Dap ribattezzata «svuotacarceri» liberava, con la scusa del Covid, boss e gregari della mala perfino dal 41 bis, scaricando sui giudici della Sorveglianza tutta la responsabilità in caso di contagio, una circolare molto simile veniva emanata dal Viminale, e più precisamente dal Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione, per i Centri di permanenza per il rimpatrio: ossia i Cpr, luoghi che ospitano irregolari, clandestini e immigrati pericolosi in attesa che vengano rispediti nel loro Paese d’origine. Tra loro ci sono islamisti radicalizzati, spacciatori di droga, uomini violenti. Persone che i questori, di solito, cercano di cacciare dall’Italia. E che ora si ritroveranno di nuovo tra i piedi.
Oltre alle norme igienico sanitarie, la circolare stabiliva la riduzione delle visite e non la sospensione (aspetto che scatenò le rivolte negli istituti di pena). Per il resto, tutto è rimasto come prima: i parenti entravano e uscivano, aumentando il rischio di contagio, e nelle nove strutture operative (in piena emergenza diventate otto) il Viminale ha continuato ad ammassare immigrati da rispedire al mittente. Un dettaglio importante, però, deve essere sfuggito al ministro dell’Interno Luciana Lamorgese: con gli aeroporti chiusi causa Covid i rimpatri erano impossibili. E con l’ennesimo decreto pasticciato, quello denominato Rilancio, nell’introdurre la regolarizzazione degli immigrati, il governo ha disposto la sospensione dei procedimenti di espulsione fino al 15 agosto. E presto potrebbe aggiungersi il dimezzamento da 180 a 90 giorni di permanenza massimi in un Cpr, come previsto nel testo di sintesi realizzato dai tecnici del ministero dell’Interno, insieme a Lamorgese, che potrebbe essere approvato a settembre.
Un assist per gli avvocati dei ristretti nei Cpr, che hanno subito ritenuto illegittimo il trattenimento nelle strutture, presentando centinaia di ricorsi. E, proprio com’è accaduto per i Tribunali di sorveglianza, le commissioni territoriali che esaminano le richieste di protezione internazionale durante l’emergenza sono andate in crisi: dal 1° gennaio al 12 giugno 2020 sono state adottate 21.144 decisioni, di cui 2.268 di riconoscimento dello status di rifugiato; 1.907 di protezione sussidiaria e 35 di protezione speciale. Ci sono stati anche, però, 16.384 dinieghi.
La situazione si è aggravata tra il 13 marzo e il 12 giugno: le decisioni sono state solo 4.243. I Cpr, quindi, in un primo momento hanno cominciato a riempirsi: a Ponte Galeria (Roma), si è passati dalle 17 presenze (nove uomini e otto donne) alle 70 della rilevazione del 25 giugno e alle 101 del 2 luglio, con un aumento di 84 ristretti in soli 14 giorni.
Poi le associazioni e il Garante per i diritti dei detenuti hanno assunto una linea precisa: «Il problema che si è posto» spiega Daniela De Robert, membro dell’autorità Garante, «non riguarda più l’efficacia del sistema ma la stessa legittimità di un trattamento amministrativo nei Centri per i rimpatri in un momento in cui non vi è possibilità di allontanamento entro i termini previsti dalla legge, almeno per una parte delle persone ristrette. L’applicazione o il mantenimento della misura restrittiva in questa situazione può apparire priva di un necessario presupposto di legittimità, cioè la realizzabilità del rimpatrio». E siccome c’è una legge dell’Ue che prevede che quando non esiste più alcuna ragionevole aspettativa di allontanamento per motivi di ordine giuridico o per altri motivi, il trattenimento non è più giustificato e la persona interessata deve essere subito rilasciata, i Centri si sono svuotati velocemente.
Le decisioni sono state affidate ai giudici di pace competenti territorialmente nelle aree in cui ci sono i Cpr. Così si è arrivati a tre sentenze che, per i temi trattati, hanno fatto giurisprudenza. Ora le decisioni sembrano prodotte con il ciclostile. A Roma il giudice di pace non ha autorizzato la proroga del trattenimento di un richiedente asilo del Bangladesh, che era a Galeria e il 16 gennaio aveva presentato domanda reiterata di protezione internazionale dal Cpr di Brindisi. Nella sua decisione, il giudice Silvia Albano sottolineava l’assenza dell’indicazione, da parte dell’autorità di polizia, della motivazione sulla necessità di prorogare il trattenimento e, come è accaduto per lo «svuotacarceri», ha effettuato una valutazione sulla ragionevolezza del trattenimento nel contesto emergenziale caratterizzato dalle misure adottate dal governo contro il Covid-19. Concludendo che l’immigrato da espellere andava rilasciato.
A Trieste, invece, il giudice ha emesso un provvedimento con cui non ha convalidato il trattenimento di un richiedente asilo ristretto a Gradisca d’Isonzo, affermando che il trattenimento aveva perso la finalità di essere «strettamente funzionale alla tempestiva trattazione della domanda di protezione internazionale e alla successiva ed eventuale esecuzione dell’espulsione».
La terza decisione che ha aperto la strada della libertà agli immigrati da espellere riguarda una richiedente asilo venezuelana: il provvedimento del Tribunale di Roma si sofferma sulla legittimità del trattenimento in relazione alle misure di interruzione dei collegamenti aerei che rendono difficile il rimpatrio in un arco di tempo ragionevole. A Melfi, competente sul Cpr di Palazzo San Gervasio, le decisioni giudiziarie, prima della chiusura del Centro per una ristrutturazione, erano quasi tutte su questa linea. L’unico tribunale di segno contrario è a Cagliari, dove i giudici della Sezione speciale hanno ritenuto sussistenti i presupposti del trattenimento nonostante la sospensione dei termini dei procedimenti per il riconoscimento della protezione internazionale.
I sit-in di protesta davanti alla Prefettura di Nuoro ormai non si contano più. «Dalla viva voce delle persone recluse abbiamo la certezza del superamento del limite di detenzione» dicono i manifestanti del gruppo «No Cpr né a Macomer né altrove». È facile prevedere che al più presto anche la Sardegna sarà costretta a svuotare i Cpr, rimettendo in libertà i ristretti che attendevano l’espulsione.
E pensare che a fine 2019 Lamorgese dichiarava che la percentuale dei rimpatriati rispetto agli sbarcati era di oltre il 60 per cento, che aveva fatto meglio di Matteo Salvini e che l’invasione di immigrati era fantasia. E se tra novembre e febbraio scorso la media era 20 espulsioni al giorno, contro le 18 di Salvini e le 17 del governo Gentiloni, si è passati, causa Covid, a zero. All’assalto alle coste, ripreso in modo massiccio, e all’impossibilità di rimandare gli immigrati indietro si è aggiunto il terzo elemento: i ristretti dei Cpr tornano liberi. Ma guai a chiamarla invasione. n
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