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Terroristi di Hamas liberi in Europa? Il caso al-Khatib e il buco nero della sicurezza UE

Terroristi di Hamas liberi in Europa? Il caso al-Khatib e il buco nero della sicurezza UE

Un dossier belga accusa un miliziano coinvolto nel massacro del 7 ottobre di vivere e muoversi liberamente nell’Unione europea. Ma nessuno sa quanti altri casi simili restino invisibili.

Il caso di Mohannad al-Khatib rischia di trasformarsi in uno spartiacque nel dibattito sulla sicurezza europea e sulla reale capacità dell’Unione di intercettare chi è coinvolto nel terrorismo jihadista internazionale. Secondo un rapporto del Centro belga per il monitoraggio dell’antisemitismo (JID), l’uomo indicato come terrorista di Hamas e coinvolto direttamente nel massacro del 7 ottobre 2023 in Israele vive oggi in Belgio ed è libero di circolare in tutta Europa. Un’accusa che, se confermata, avrebbe conseguenze politiche e operative di enorme portata. Ma soprattutto pone un interrogativo destinato a restare sospeso: quanti altri casi come questo esistono nel continente senza che nessuno sia in grado di dirlo con certezza?. Il JID afferma che al-Khatib non rientra nella categoria dei semplici sostenitori ideologici di Hamas, ma in quella ben più grave di chi ha preso parte alle violenze del 7 ottobre, uno degli attacchi più cruenti degli ultimi decenni. Il vicepresidente dell’organizzazione, Ralph Pais, ha dichiarato al canale israeliano Channel 12 che il Centro ha consegnato alle autorità un dossier di 65 pagine, contenente prove ritenute significative del coinvolgimento diretto dell’uomo nei massacri perpetrati nel sud di Israele.

Secondo quanto riferito dal JID, il materiale raccolto non si limiterebbe a ricostruzioni generiche o a testimonianze indirette, ma includerebbe elementi utili a identificare un ruolo attivo di al-Khatib nei fatti del 7 ottobre. Un quadro che, se validato dagli inquirenti, metterebbe in discussione l’efficacia dei meccanismi europei di prevenzione e controllo, soprattutto in un contesto come quello dello spazio Schengen, dove la libertà di movimento è uno dei pilastri fondanti. La questione però non riguarda solo il passato. Il rapporto accusa al-Khatib di aver continuato a operare dal Belgio come attivista e propagandista, diffondendo messaggi anti-israeliani attraverso i social network e tramite alcuni media ritenuti vicini all’area pro-Hamas. Un’attività che, secondo il JID, contribuirebbe a tenere viva una narrativa giustificazionista della violenza, alimentando radicalizzazione e ostilità ben al di là del conflitto mediorientale. In altre parole, l’Europa non è soltanto soltanto un rifugio, ma anche una piattaforma comunicativa.

Ed è proprio qui che il caso assume una dimensione sistemica. Nessuna autorità europea è oggi in grado di fornire una stima attendibile sul numero di individui coinvolti in organizzazioni terroristiche che si trovano sul territorio dell’Unione. Non esiste un censimento, né una mappatura chiara di ex combattenti, miliziani o soggetti direttamente implicati in crimini di guerra che negli ultimi anni potrebbero aver raggiunto l’Europa sfruttando falle nei controlli, procedure d’asilo frammentate e una cooperazione di intelligence spesso insufficiente.Il timore, sempre più diffuso tra analisti e organismi di monitoraggio, è che il caso di al-Khatib sia solo uno dei pochi emersi, mentre altri restano sommersi. Persone che non attirano l’attenzione perché non agiscono in modo violento sul suolo europeo, ma che mantengono legami ideologici, politici o operativi con gruppi jihadisti attivi all’estero. Un’area grigia che rende estremamente difficile distinguere tra protezione umanitaria e rischio per la sicurezza.

Questo scenario pone l’Unione europea di fronte a una contraddizione sempre più evidente. Da un lato, Bruxelles rivendica un ruolo guida nella lotta al terrorismo e nella difesa dei valori democratici; dall’altro, casi come questo alimentano la percezione di una pericolosa sottovalutazione della minaccia. La presenza indisturbata di soggetti accusati di aver partecipato a massacri terroristici mina la fiducia dei cittadini e rafforza la sensazione di un sistema incapace di proteggere i propri confini interni.Il dossier del JID è ora nelle mani delle autorità belghe ed europee. Ma, al di là dell’esito giudiziario del singolo procedimento, resta una questione più ampia e irrisolta: quanti Mohannad al-Khatib vivono oggi in Europa senza essere stati identificati? Finché a questa domanda non verrà data una risposta trasparente e fondata su dati concreti, il rischio è che questo caso resti non un’eccezione, ma il simbolo di una vulnerabilità strutturale destinata a pesare a lungo sulla sicurezza del continente.

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